Papa Francesco alla Comunità di Sant’Egidio: andate avanti senza paura

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Nel pomeriggio di domenica scorsa papa Francesco ha visitato la comunità di sant’Egidio in occasione del 50^ dell’anniversario della fondazione, ascoltando le testimonianze e celebrando la liturgia della Parola, ma soprattutto ha incontrato i giovani e poveri amici di Sant’Egidio, tra cui i profughi arrivati con i corridoi umanitari, anziani, bambini delle Scuole della Pace, persone con disabilità dei laboratori d’arte, senza dimora accolti in questi giorni di freddo:

“Grazie di essere qui e grazie della vostra generosità. Qui dentro c’è generosità. E anche il cuore aperto: il cuore aperto per tutti, tutti, tutti! Senza distinguere: ‘Questo mi piace, questo non mi piace; questo è amico, questo è nemico…’. No. Tutti, tutti! Il cuore aperto per tutti. E questo fa che la vita vada avanti. Vi ringrazio tanto e vi auguro il meglio, a ognuno di voi, alle vostre famiglie, e anche ai vostri sogni. Che il Signore vi benedica”.

Nella basilica di santa Maria di Trastevere il papa ha sottolineato la bellezza della parabola dei talenti, riproponendo il pensiero fatto nella visita del 2014: “Preghiera, poveri e pace: è il talento della Comunità, maturato in cinquant’anni. Lo ricevete nuovamente oggi con gioia. Nella parabola, però, un servo nasconde il talento in una buca e si giustifica così: ‘Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra’. Quest’uomo non ha saputo investire il talento nel futuro, perché si è fatto consigliare dalla paura”.

Ed ha invitato i presenti a non avere paura: “Se siamo da soli, siamo presi facilmente dalla paura. Ma il vostro cammino vi orienta a guardare insieme il futuro: non da soli, non per sé. Insieme con la Chiesa. Avete beneficiato del grande impulso alla vita comunitaria e all’essere popolo di Dio venuto dal Concilio Vaticano II, che afferma: ‘Tuttavia piacque a Dio di santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo’. La vostra Comunità, nata alla fine degli anni Sessanta, è figlia del Concilio, del suo messaggio e del suo spirito”.

Riprendendo una frase di papa Paolo VI sui ‘segni dei tempi’ il papa ha invitato i volontari a scrutarli senza paura: “Da quando la vostra Comunità è nata, il mondo è diventato ‘globale’: l’economia e le comunicazioni si sono, per così dire, ‘unificate’. Ma per tanta gente, specialmente poveri, si sono alzati nuovi muri.

Le diversità sono occasione di ostilità e di conflitto; è ancora da costruire una globalizzazione della solidarietà e dello spirito. Il futuro del mondo globale è vivere insieme: questo ideale richiede l’impegno di costruire ponti, tenere aperto il dialogo, continuare a incontrarsi. Non è solo un fatto politico o organizzativo.

Ciascuno è chiamato a cambiare il proprio cuore assumendo uno sguardo misericordioso verso l’altro, per diventare artigiano di pace e profeta di misericordia. Il samaritano della parabola si occupò dell’uomo mezzo morto sulla strada, perché ‘vide e ne ebbe compassione’. Il samaritano non aveva una specifica responsabilità verso l’uomo ferito, ed era straniero. Invece si comportò da fratello, perché ebbe uno sguardo di misericordia.

Il cristiano, per sua vocazione, è fratello di ogni uomo, specie se povero, e anche se nemico. Non dite mai: ‘Io che c’entro?’. Bella parola per lavarsi le mani! ‘Io che c’entro?’. Uno sguardo misericordioso ci impegna all’audacia creativa dell’amore, ce n’è tanto bisogno! Siamo fratelli di tutti e, per questo, profeti di un mondo nuovo; e la Chiesa è segno di unità del genere umano, tra popoli, famiglie, culture”.

Ed infine li ha esortati ad essere audaci: “Questo anniversario vorrei che fosse un anniversario cristiano: non un tempo per misurare i risultati o le difficoltà; non l’ora dei bilanci, ma il tempo in cui la fede è chiamata a diventare nuova audacia per il Vangelo. L’audacia non è il coraggio di un giorno, ma la pazienza di una missione quotidiana nella città e nel mondo.

E’ la missione di ritessere pazientemente il tessuto umano delle periferie, che la violenza e l’impoverimento hanno lacerato; di comunicare il Vangelo attraverso l’amicizia personale; di mostrare come una vita diventa davvero umana quando è vissuta accanto ai più poveri; di creare una società in cui nessuno sia più straniero. E’ la missione di valicare i confini e i muri per riunire.

Oggi, ancora di più, continuate audacemente su questa strada. Continuate a stare accanto ai bambini delle periferie con le Scuole della Pace, che ho visitato; continuate a stare accanto agli anziani: a volte sono scartati, ma per voi sono amici. Continuate ad aprire corridoi umanitari per i profughi della guerra e della fame. I poveri sono il vostro tesoro!”

All’inizio il papa era stato accolto dalla testimonianza di Mauro Garofalo, volontario nella Repubblica Centrafricana: “Ho conosciuto un popolo buono, ostaggio della violenza e di traffici illeciti, tra cui quello delle armi. Ero a Bangui durante la sua visita, quando tutto il popolo centrafricano ha gridato al cielo con Lei ‘Ndoye Siriri’, pace e amore. Quell’invocazione concorde di pace, quella preghiera a Dio, ha liberato energie di riconciliazione e guarito i cuori di tanti dalla schiavitù, dall’odio e dalla diffidenza.

Ho visto cristiani e musulmani, di nuovo insieme, accompagnarla per le strade di Bangui con rami di palma in mano. Un segno di pace nelle strade che fino a pochi giorni prima erano teatro di scontri violenti… Nella savana ho incontrato gruppi armati fatti di giovani e giovanissimi armati fino ai denti, con occhi da bambini, ma nell’odio invecchiati e tristi, che non hanno mai conosciuto una scuola o un’educazione.

Chi li ha armati? Non hanno mai avuto un libro o un quaderno, ma solo armi. E’ una follia troppo grande! Ho visto la gioia nei loro occhi alla proposta di lasciare le armi in cambio di lavoro o di formazione”.

E sullo stesso tenore la testimonianza di una giovane: “Essere Comunità, essere nella Chiesa è un grande dono nel tempo del virtuale e della solitudine di tanti miei coetanei. Più vivo nel virtuale, più gli altri si allontanano e ne ho paura. Triste è la vita in cui non ci sono amici. Triste è la vita in cui mi devo sempre difendere.

Così triste che può portare anche a compiere atti violenti. Ma in questa tristezza si è accesa una luce: l’incontro con i poveri. Quando ho incontrato i bambini poveri della periferia di Roma nella Scuola della Pace, quando ho capito la loro domanda di amicizia, sono cadute le difese. Ho capito che il problema non è difendersi dagli altri, ma difendere i poveri. Ho sentito di avere una responsabilità verso di loro”.

In questo senso il prof. Andrea Riccardi ha ribadito la natura della Comunità: “In questa prospettiva, Sant’Egidio non si sente una comunità di perfetti (come potremmo?), ma una comunità di popolo, magari piccola ma senza confini, perché coinvolta dai dolori vicini e dai lontani. La rabbia e l’egocentrismo si guariscono, se andiamo incontro con simpatia, rendiamo ragione della speranza e aiutiamo a incontrare i poveri, che sono veri maestri di verità della vita. Questa è la gioia del Vangelo che proviamo”.

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