Solidarietà, sussidiarietà, responsabilità: sfide a margine del voto

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La lunga notte tra il 4 e il 5 marzo sarà ricordata come la fine della Seconda Repubblica: il crollo delle forze moderate, che avevano guidato l’Italia negli ultimi vent’anni, seppur con ambigue vicende, lascia il passo ad una totale frammentazione del dato elettorale, tale da pregiudicare la formazione del nuovo esecutivo.

Gli unici vincitori sono il Movimento 5 Stelle e il Centro Destra, quest’ultimo frutto delle diverse anime che compongono una variegata coalizione. Non è mio compito commentare la bontà della scelta degli elettori: ciascuno di noi, nel segreto della cabina elettorale, avrà ponderato la difficile scelta; tuttavia, mi propongo di individuare qualche spunto per costruire il post-elezioni alla luce della Dottrina Sociale della Chiesa, unico faro certo nel mare della confusione di partiti e simboli.

Al di là degli scenari possibili, che saranno valutati nelle prossime settimane dal Presidente della Repubblica e dagli stessi gruppi parlamentari, bisogna mettere in luce la complessa responsabilità di tutti per il bene comune. Un bene comune che non si identifica con il programma elettorale di uno o più partiti, ma che è la sintesi della collaborazione di tutti; è finito il tempo per procacciarsi i voti, ora bisogna rimboccarsi le maniche per riavvicinare il popolo alla politica e la politica al popolo.

“Il bene comune esige di essere servito pienamente, non secondo visioni riduttive subordinate ai vantaggi di parte che se ne possono ricavare, ma in base a una logica che tende alla più larga assunzione di responsabilità” (Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n.167): il monito ecclesiale ben si attaglia ai nuovi parlamentari, specialmente, a coloro che siederanno per la prima volta su quegli scranni; abbiamo visto a cosa hanno portato anni di malgoverno, di qualunque colore politico, ma non per questo si può permettere il dilagare della sfiducia o dell’indifferenza.

Ci sono partiti con più voti, ma non c’è una maggioranza; il rischio della non governabilità e del ritorno alle urne è concreto: la tentazione dei partiti di agire come tante opposizioni è palpabile; tuttavia, proprio ora siamo tutti chiamati a convergere verso un equilibrio responsabile,

“attento al rispetto e alla promozione integrale della persona e dei suoi diritti fondamentali […] all’impegno per la pace, l’organizzazione dei poteri dello Stato, un solido ordinamento giuridico, la salvaguardia dell’ambiente, la prestazione di quei servizi essenziali delle persone, alcuni dei quali sono al tempo stesso diritti dell’uomo: alimentazione, abitazione, lavoro, educazione e accesso alla cultura, trasporti, salute, libera circolazione delle informazioni e tutela della libertà religiosa” (DSC 166).

Ciò può essere fatto con il dialogo con le minoranze e, soprattutto, applicando integralmente il principio di sussidiarietà, che si sostanzia in: “rispetto e la promozione effettiva del primato della persona e della famiglia; valorizzazione delle associazioni e delle organizzazioni intermedie, nelle proprie scelte fondamentali e in tutte quelle che non possono essere delegate o assunte da altri; incoraggiamento offerto all’iniziativa privata, […];

articolazione pluralistica della società […]; salvaguardia dei diritti umani e delle minoranze; decentramento burocratico e amministrativo; equilibrio tra la sfera pubblica e quella privata, con il conseguente riconoscimento della funzione sociale del privato; adeguata responsabilizzazione del cittadino nel suo essere parte attiva della realtà politica e sociale del Paese” (DSC 187).

Attuare queste istanze costituisce la bozza più chiara della forza politica trasversale dei cattolici: declinare gli obiettivi della Dottrina Sociale della Chiesa in misure giuridiche è affidato alla creatività e alla sapienza dei nostri governanti, ma pretenderli è compito di noi cittadini, titolari della sovranità.

E l’appello che si presenta a ciascuno nel momento attuale è la solidarietà: la frammentazione elettorale è segno di moti disgregatori della società (espressi anche dalle violenze verbali e non di questi ultimi giorni); ora, però, siamo chiamati a una pacificazione sociale.

‘Opus solidaritatis pax’: il traguardo della pace “sarà certamente raggiunto con l’attuazione della giustizia sociale e internazionale, ma anche con la pratica delle virtù che favoriscono la convivenza e ci insegnano a vivere uniti, per costruire uniti, dando e ricevendo, una società nuova e un mondo migliore” (Sollicitudo rei socialis 39).

La XVIII legislatura si apre nel segno della divisione: se sarà lo spartiacque verso un nuovo equilibrio sociale o un baratro verso la crisi, dipenderà dalle mosse dei nuovi attori sulla scena; siamo coscienti, però, di esserne corresponsabili.

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