Afghanistan dimenticato

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A fine gennaio papa Francesco nell’angelus domenicale aveva invitato a pregare per la situazione dell’Afghanistan, da tempo coinvolta da molti attentati: “Fino a quando il popolo afghano dovrà sopportare questa disumana violenza?”

E la situazione del Paese è seriamente minacciata, come ha raccontato all’Agenzia Sir p. Giovanni Scalese, religioso barnabita al quale papa Francesco, nel 2015, ha affidato la missione sui iuris in Afghanistan, in cui si combatte una guerra contro i talebani, Al-Qaeda e jihadisti:

“L’Afghanistan è stato completamente distrutto, non solo materialmente, da questa interminabile guerra. La gente è stanca e ha paura. Da alcuni segnali sembrerebbe di capire che entrambe le parti in causa, il governo e gli insorgenti, si rendano conto di non avere la forza per imporsi e, quindi, sentano il bisogno di giungere a un accordo. Per questo bisogna pregare molto perché la situazione si evolva in modo positivo… La vita pastorale si riduce alla messa quotidiana.

Altre iniziative è impossibile prenderle. Non esiste, al momento, alcuna forma di dialogo interreligioso; la situazione generale non lo permette. Il motivo dell’esistenza della missione è il servizio pastorale ai cattolici presenti in Afghanistan. Qualsiasi forma di proselitismo è esclusa dagli accordi con cui lo stato afghano ha autorizzato la costruzione di una chiesa cattolica all’interno dell’ambasciata d’Italia”.

Ed Amnesty International ha sollecitato i leader e i rappresentanti di 23 paesi, dell’Onu, della Nato e dell’Unione a mettere al centro dei colloqui la protezione dei civili e la ricerca della giustizia per i crimini di guerra e contro l’umanità commessi in Afghanistan, come ha dichiarato ha dichiarato Omar Waraich, vicedirettore di Amnesty International per l’Asia meridionale:

“La principale questione legata alla sicurezza è quella che riguarda la vita della popolazione civile. Nelle ultime settimane l’orrore visto negli anni scorsi si è dispiegato in pieno nelle strade di Kabul, dove i civili sono stati spietatamente colpiti in attacchi che costituiscono crimini di guerra. Sentiamo continuamente parlare, tanto il governo afgano quanto la comunità internazionale, delle loro preoccupazioni per la vita dei civili ma tanto l’uno quanto l’altra non hanno posto la protezione dei civili al centro delle loro politiche”.

Secondo la Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (Unama), il 2017 è stato il quarto anno consecutivo in cui il numero delle vittime civili, tra morti e feriti, ha superato quota 10.000. Nel 2017 gli attentati suicidi e gli attacchi indiscriminati e illegali con ordigni esplosivi improvvisati sono stati la prima causa dell’elevato numero di vittime civili. Il peggiore episodio è stato quello del 31 maggio, quando a Kabul sono stati uccisi 92 civili e ne sono stati feriti altri 500. Sempre nel 2017 le forze legate al governo, sia quelle afgane che quelle internazionali, sono state responsabili di un quinto delle vittime civili. L’Unama ha documentato 295 morti da attacchi aerei, il numero più alto da quando, nel 2009, ha iniziato a documentarli.

Inoltre Amnesty International ha accusato il governo afgano di aver abbandonato le donne che difendono i diritti umani, nonostante gli importanti risultati che cercano di raggiungere a fronte di una crescente violenza, fatta di minacce, aggressioni sessuali e omicidi. Il rapporto, intitolato ‘Le loro vite in gioco’, ha illustrato come importanti sostenitrici dei diritti delle bambine e delle donne (dottoresse, insegnanti, avvocate, poliziotte e giornaliste) siano state prese di mira non solo dai talebani ma anche dai signori della guerra e da rappresentanti del governo.

Le leggi che dovrebbero proteggerle sono mal applicate o non lo sono affatto, mentre la comunità internazionale sta facendo ben troppo poco per alleviare la loro sofferenza. Nel rapporto, Amnesty International ha descritto casi di donne che, per aver difeso i diritti umani, hanno subito attacchi mentre erano alla guida delle loro automobili o si trovavano in casa e sono state vittime di omicidi mirati. In alcuni casi, a essere presi di mira sono stati anche i loro familiari.

Molte, nonostante i continui attacchi, continuano a portare avanti il loro lavoro, nella piena consapevolezza che non sarà fatto nulla contro i responsabili degli attacchi. E secondo Save the Children sono stati almeno 1.662 i civili uccisi e 3.581 quelli feriti a causa del conflitto in Afghanistan nei primi sei mesi del 2017, oltre un quarto dei quali rappresentati da bambini (436 i minori morti e 1.141 i feriti).

Il numero dei bambini che hanno perso la vita a causa della guerra che dilania il Paese è aumentato del 9% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, come ha dichiarato David Skinner, Direttore di Save the Children in Afghanistan, dove l’Organizzazione lavora dal 1976 con programmi umanitari e di sviluppo per la salute, l’educazione e la protezione dei minori:

“Negli ultimi anni abbiamo assistito a un allarmante deterioramento della situazione in Afghanistan: più combattimenti, più persone costrette ad abbandonare la propria casa, un impatto sempre più straziante sui bambini. L’incremento nel numero di minori morti e feriti a causa del conflitto è estremamente preoccupante e riflette il crescente pericolo affrontato dai giovani afgani”.

A contribuire in modo sostanziale all’aumento di morti e feriti tra donne e bambini, secondo i dati della Missione di Assistenza ONU in Afghanistan, sono stati il ricorso a ordigni esplosivi improvvisati (IED) attivabili a pressione, le bombe suicide e le operazioni aeree in zone popolate da civili.

In particolare il rapporto evidenzia che, nel periodo esaminato, i civili sono stati uccisi e feriti nel 40% dei casi da forze anti-governative per mezzo di ordigni esplosivi improvvisati, come accaduto a Kabul il 31 maggio scorso, quando, durante un unico attacco, un camion bomba ha ucciso almeno 98 civili e ne ha feriti circa 500:

“Questi attacchi ai civili devono cessare. Non solo feriscono e uccidono persone innocenti in modo orribile, ma causano indicibili traumi e sofferenze, specialmente nei bambini, portando a gravi problemi psicologici e con un impatto sul loro sviluppo nel lungo termine. Assistere a un attacco mortale o dover fuggire dalla propria casa sono esperienze che possono accompagnare un bambino a lungo, a volte per sempre. Non dobbiamo sottostimare l’estensione del trauma subito dai bambini afgani e l’importanza di aiutarli nel recupero”.

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