Al Colosseo in ricordo dei martiri cristiani

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“Desidero rivolgere il mio saluto alla iniziativa organizzata presso l’Anfiteatro Flavio, tesa a richiamare l’attenzione pubblica internazionale sulle violazioni del principio della libertà religiosa e sulle discriminazioni e sulle persecuzioni che ne derivano e affliggono molte aree geopolitiche del pianeta.

I valori di umana fratellanza, ai quali si ispira l’attività della Fondazione promotrice, costituiscono un qualificato contributo per stimolare un rinnovato impegno della nostra civiltà alla vicinanza e alla condivisione con comunità cristiane vittime di violenze, soprusi e privazioni, a difesa dell’irrinunciabile principio della libertà religiosa.

Con l’auspicio che da questo luogo straordinariamente simbolico possa rafforzarsi una unanime condanna contro ogni forma di sopraffazione spezzando l’indifferenza, rinnovo a quanti interverranno un partecipe saluto”:

questo messaggio del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è stato letto da Alfredo Mantovano, presidente di Aiuto alla Chiesa che Soffre, in occasione dell’evento che la Fondazione ha promosso sabato 24 febbraio con l’illuminazione rossa del Colosseo per ricordare il sangue versato ancora oggi dai cristiani nel mondo.

Contemporaneamente al Colosseo sono state illuminate la cattedrale maronita di sant’Elia ad Aleppo, in Siria, e la chiesa di san Paolo a Mosul in Iraq. Anche Ján Figel, inviato speciale dell’Unione Europea per la Promozione della Libertà Religiosa, ha espresso il sostegno all’iniziativa: “Apprezzo molto questa iniziativa che è altamente rilevante e capace di connettere la storia con l’attuale situazione.

Eventi come l’illuminazione del Colosseo riescono ad aprire le menti e i cuori delle persone, facendole interessare al tema della libertà di fede e al tempo stesso facendo loro mostrare maggiore solidarietà con le comunità sofferenti in tutto il mondo… Il 75% della popolazione mondiale vive in paesi in cui si registrano gravi o perfino estreme violazioni a tale fondamentale diritto.

E si tratta purtroppo di una tendenza che continua a peggiorare: le negazioni si inaspriscono dall’intolleranza e dalla discriminazione e attraverso la persecuzione sfociano perfino nel genocidio”.

A Roma il segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin, aprendo la giornata, ha sottolineato la grave situazione dei perseguitati per la fede: “Aleppo e Mosul sono luoghi simbolo dell’immane dolore provocato da fondamentalismi e da interessi geopolitici . Noi speravamo che conclusa la guerra si avviasse subito la ricostruzione che avrebbe permesso ai cristiani della piana di Ninive di ritornare… La libertà religiosa è continuamente minacciata sia quella dei cristiani che degli appartenenti ad altre religioni”.

Ed infine un pensiero per Asia Bibi: “Il Papa l’ha definita martire, noi speriamo che questa situazione possa arrivare a conclusione. Dovrebbero anche in questo caso prevalere i diritti: alla libertà religiosa e alla professione della propria fede”. Mentre il presidente internazionale di Aiuto alla Chiesa che soffre, il card. Mauro Piacenza, ha invocato l’abbattimento in tutto il mondo delle ‘mura di morte e indifferenza’, per ‘costruire vita e pace’, ricordando che “siamo innanzi al Colosseo, che costituisce un ‘simbolo universale’, a tutti noto e da tutti identificato con Roma…

Questo fu luogo di morte e di uccisioni sia per la barbarie delle lotte fra i gladiatori, sia per il martirio di migliaia di cristiani, in opposizione alla violenza del potere dominante, che pretendeva un culto divino”. Le mura romane possono avere due significati: “Sono mura di vita, se le consideriamo espressione di una civiltà e di un impero che ha saputo mediare, per l’intera cultura occidentale, sia la ‘grecità di Atene’, sia la ‘fede di Gerusalemme’, permettendo all’Europa di essere ciò che è stata, e ciò che, per certi versi, è ancora…

Mura di morte, se facciamo memoria dell’impressionante numero di uomini e di martiri che, tra di esse, hanno offerto (o si sono vista strappare) la vita, da un potere incapace di guardare al bene integrale della persona”.

Citando una frase di san Massimiliano Maria Kolbe (‘Il dramma del XX secolo è l’indifferenza!’) il card. Piacenza ha sottolineato che “l’indifferenza sia anche il dramma di questo nostro XXI secolo. L’indifferenza di fronte al fratello che soffre, che non ha di che vivere, non può accedere alle cure e alla formazione di base; di fronte al fratello la cui dignità è calpestata da taluni poteri ciechi, dal fratello che non può vivere la propria fede e la propria appartenenza, se non a prezzo della stessa vita”.

Infine il card. Piacenza ha lanciato un appello: “Abbattiamo le mura della morte, iniziando dalle mura della nostra indifferenza: non posso essere sereno se il mio fratello soffre!”. Durante l’evento sono state ricordate alcune figure simbolo della persecuzione cristiana con la proiezione dei loro volti sulla facciata del Colosseo.

Tra questi quello di Shahbaz Bhatti, di cui il 2 marzo, ricorre il settimo anniversario dell’uccisione, come ha ricordato Paul Bhatti, fratello del ministro assassinato per il suo impegno in difesa di Asia Bibi e a favore di una modifica della legge antiblasfemia: Mio fratello ha dato la vita non soltanto per i diritti dei cristiani, ma per quelli di tutte le minoranze e perfino dei musulmani.

E’ doveroso rendere omaggio ai nostri martiri attraverso eventi come questo e onorare la loro memoria”. Mentre Maddalena Santoro, sorella di don Andrea, sacerdote ‘fidei donum’ ucciso in Turchia il 5 febbraio 2006 ha detto che guardare all’eroicità dei martiri rafforza ‘la nostra pallida fede occidentale’:

“Se mio fratello era preoccupato per i pochi cristiani rimasti in Turchia che subiscono per giunta gravi limitazioni della loro fede, ancor di più lo era per la mancanza di fede in Occidente. ‘Non sapete cosa vi state perdendo’ ci diceva ogni volta che tornava a casa”. Durante il mattino papa Francesco aveva incontrato il marito e alla figlia più piccola di Asia Bibi (in cella da 3170) e a Rebecca Bitrus, giovane nigeriana per due anni prigioniera di Boko Haram, che “rappresentano un modello per una società che oggi ha sempre più paura del dolore. Sono due martiri”.

A ‘Vatican News’ il direttore di Aiuto alla Chiesa che Soffre-Italia, Alessandro Monteduro, ha così raccontato l’incontro: “Un incontro straordinario. Siamo ancora tutti particolarmente toccati, anzi, ci vorrà del tempo per rimettere a posto i ricordi nella nostra memoria. L’incontro, durato ben 40 minuti, ha visto al centro una componente: la fede; ha visto al centro una straordinaria spiritualità.

Non solo la spiritualità del Santo Padre, ma anche quella di queste ragazze giovani e sofferenti e del marito di Asia Bibi. Abbiamo pregato insieme al Santo Padre. E’ stato un momento meraviglioso. Ha voluto che lo facessimo tutti assieme nelle nostre lingue. Ad esempio, Eisham, la figlia di Asia Bibi, ha pregato in urdu; Rebecca, la ragazza vittima di Boko Haram in Nigeria, lo fa fatto nel suo dialetto, l’hausa, e noi ovviamente nella nostra lingua. Abbiamo recitato prima il Padre Nostro e poi l’Ave Maria”.

Da Aleppo Louis Raphael I Sako, Patriarca della Chiesa caldea, ha portato la sua testimonianza telefonicamente: “La luce ha per noi una valenza liturgica e accendere le luci su Mosul significa portare la speranza ai cristiani iracheni che tanto hanno sofferto… Ringrazio ACS per questa iniziativa. Voi siete la voce di coloro che non hanno voce. Per gli eroici cristiani iracheni è molto importante che i fratelli occidentali si mobilitino per rendere nota al mondo la loro sofferenza”.

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