La biografia intellettuale di papa Francesco: intervista al prof. Massimo Borghesi

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Si avvicina l’anniversario del quinto anno dell’elezione al soglio pontificio di papa Francesco (13 marzo 2013): in questi cinque anni la chiesa ha avviato cambiamenti e, seppur lentamente, lo ‘stile Francesco’ offre un approccio diverso agli eventi e all’impegno dei cristiani nel mondo, caratterizzato dalla ‘chiesa in uscita’, descritta in maniera chiara in due encicliche, come ‘Lumen fidei’ e ‘Laudato sì’; ed in due esortazioni apostoliche, quali ‘Evangelii gaudium’ ed ‘Amoris laetitia’.  Una Chiesa, quella bergogliana, fondata sulla misericordia, come ha scritto il prof.  Massimo Borghesi, ordinario di Filosofia morale a Perugia e autore della prima biografia intellettuale del papa, ‘Jorge Mario Bergoglio.

Una biografia intellettuale’: “Il successo planetario della figura di Francesco non ha coperto, come negli anni di Giovanni Paolo II, il vuoto progressivo delle chiese… Formatosi alla scuola dei gesuiti, di quelli francesi in particolare, Bergoglio ha assimilato il messaggio di sant’Ignazio attraverso la lettura, ‘dialettica e mistica’ a un tempo, di uno dei più acuti filosofi del XX secolo: Gaston Fessard. Da qui sorge l’idea del cattolicesimo come ‘coincidentia oppositorum’ che lo porta all’incontro con l’antropologia polare di Romano Guardini e con il pensiero del più rilevante intellettuale cattolico latinoamericano della seconda metà del ‘900: Alberto Methol Ferré”.

Al professore, autore del libro, abbiamo domandato di spiegarci il motivo di una biografia intellettuale del papa: “Direi essenzialmente per rispondere alle accuse di coloro che, in Europa e negli USA, non amando papa Francesco, hanno tentato, in questi anni, di delegittimarlo in ogni modo possibile. Tra le accuse più comuni vi è quella di non avere la preparazione intellettuale adeguata per rivestire l’ufficio petrino. I paragoni con il sottile teologo Ratzinger-Benedetto XVI hanno questo scopo. Bergoglio essendo ‘argentino’ non avrebbe le   categorie per comprendere le sottili distinzioni dell’Europa liberale e moderna. Sono le accuse dell’area liberal, che mal sopporta le critiche di Francesco al modello neocapitalistico dominante dopo il 1989. Ad esse si sommano i critici provenienti dal neoconservatorismo cattolico per i quali papa Francesco sarebbe un ‘peronista’, un seguace della teologia della liberazione filo-marxista, un pericoloso progressista che   porterebbe alla dissoluzione della tradizione ecclesiale. Anche essi accusano il Papa di non avere una formazione teologico-filosofica adeguata. In realtà, come dimostro nel mio volume su ‘Jorge Mario Bergoglio. Una biografia intellettuale’, Bergoglio, da gesuita, ha una avuto una solida formazione culturale mutuata non tanto dai suoi maestri ‘argentini’ quanto dagli autori europei, francesi in particolare, della Compagnia di Gesù. Tra essi Henri de Lubac e Gaston Fessard. A questi si aggiungerà poi l’autore di quella che doveva essere la sua tesi di dottorato, l’italo-tedesco Romano Guardini. La formazione di Bergoglio è internazionale, europea, nonostante il papa provenga ‘dall’altra parte del mondo’”.

Quali sono le radici del suo pensiero?

“Le radici provengono dalla lettura de ‘La dialectique des Execices spirituels d’Ignace de Loyola’, un’opera del 1956 di Gaston Fessard che il giovane studente Bergoglio conosce attraverso il suo professore di filosofia, Miguel Angel Fiorito. Nel suo commento agli ‘Esercizi’ di Ignazio, Fessard mostrava l’intima tensione polare, dialettica, che sta al centro della spiritualità ignaziana: quella tra il grande e il piccolo, tra la grazia e la libertà. Il cattolicesimo, dirà de Lubac, costituisce una sintesi paradossale che unifica gli opposti che, sul piano della natura, risultano inesorabilmente divisi. E’ l’idea della Chiesa come ‘coincidentia oppositorum’ che sta al centro del pensiero di Bergoglio. Da qui deriva un modello sociale, agonico, per cui il bene comune risiede nel perseguire una conciliazione che non elimina i poli opposti ma ne impedisce la contraddizione e la guerra. Il pensiero di Bergoglio è un pensiero antinomico, proprio di una dialettica cattolica, non hegeliana, che ha i suoi autori di riferimento in Adam Möhler, Erich Przywara, Romano Guardini, Henri de Lubac, Gaston Fessard”.

Perché per il papa la realtà è superiore all’idea?

“E’ il retaggio tomista della formazione di Bergoglio che si sposa con il realismo ignaziano, con il valore accordato alla conoscenza sensibile in relazione alla manifestazione storica, spazio-temporale, della Rivelazione cristiana. ‘La realtà è superiore all’idea’ significa rifiuto di ogni ideologismo astratto, della riduzione gnostica che svuota il ‘Verbum caro’, di ogni  estetismo-eticismo-formalismo, che dissociando il bello-bene-vero dalla loro esistenza reale rendono impossibile la testimonianza cristiana”.

Sono fondate le ‘critiche’ all’approccio della fede del papa?

“Assolutamente no. Il Papa è profondamente legato alla tradizione della Chiesa, al punto che i gesuiti progressisti argentini degli anni ’70 lo accusavano, per la sua attenzione alla religiosità popolare e l’uso degli ‘Esercizi’ di Ignazio,  di essere un ‘conservatore’. Conservatore, Bergoglio non lo è, certamente, sul piano sociale. E’ questo che in realtà  temono taluni centri del potere mondiale. I cattolici neoconservatori, con i loro ‘dubia’, sono lo strumento inconsapevole di questa opposizione la quale ha ben altre motivazioni che la pretesa ortodossia dottrinale”.

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