Perugia: il card. Bassetti invita ad essere sentinelle della fede come san Costanzo

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Negli ultimi giorni di gennaio Perugia ha festeggiato il patrono san Costanzo, che sotto l’imperatore Marco Aurelio fu martirizzato e intorno alla sua passione ruotano alcune storie: secondo una di queste sarebbe stato rinchiuso nel ‘calidarium’ delle terme romane, scaldato per l’occasione alla temperatura di un forno. San Costanzo uscì però illeso dal bagno mortale.

Ricondotto in carcere convertì i suoi guardiani, e riuscì a scappare. Rifugiatosi in casa di un certo Anastasio, convertitosi al cristianesimo, fu, insieme con questi, di nuovo arrestato. Chiamato in giudizio, fu condannato a camminare sui carboni ardenti. Ma né questo né altri supplizi ebbero potere su di lui. Liberato miracolosamente e arrestato una terza volta, fu decapitato a Foligno, intorno all’anno 178. Il corpo del santo, dopo il martirio, fu portato a Perugia e sepolto non lontano dalla città in un luogo detto Areola fuori Porta S. Pietro, dove venne costruita la prima cattedrale di Perugia.

Lo scrittore Piero Bargellini, autore di ‘Mille Santi del giorno’, fa questa descrizione: “Sulla metà del II secolo, Costanzo era un giovane cristiano che già emergeva nella recente ecclesia perugina per il suo zelo e per la sua generosità verso i poveri, unita ad una grande severità verso se stesso.

Venne perciò eletto vescovo molto giovane, quando aveva appena trent’anni. Era però già prudente, saggio nell’apostolato, maturo nella carità, saldo nell’autorità, e si dimostrò un Vescovo provvidenziale, specialmente negli anni difficili della persecuzione di Marc’Aurelio”.

E proprio da tale descrizione l’arcivescovo della città, card. Gaultiero Bassetti, ha proposto la sua figura a modello dei cristiani: “Purtroppo oggi da tanti il Vangelo è ridotto ad opinione; se volete, una delle tante proposte etiche di questo tempo. Si sottolinea un divorzio fra fede e cultura, quando si afferma che altro è la fede, altro è la vita; altro è il Vangelo e altro è il modo di pensare e di operare del mondo, a cui si dà quasi sempre ragione.

Se questa è la mentalità corrente, fratelli e sorelle, allora, è davvero necessario ritornare alle nostre radici”. Il presidente della Cei ha chiesto ai fedeli di essere sentinelle della fede: “San Costanzo fu vera ‘sentinella’ della nostra città… Anche oggi i cristiani, la comunità ecclesiale, hanno bisogno di essere sentinelle della propria fede. La fede ha bisogno di trovare comunità fervide, parrocchie vive, sotto la guida dei loro pastori; la fede ha bisogno di ‘testimonianze’ cristiane solide, e coerenti”.

Nell’omelia ha sottolineato che spesso la città non è più ‘sentinella’ nei confronti dei giovani: “Ma spesso invece di essere la sentinella e la custode dei nostri giovani, così problematici e pieni di interrogativi – penso, ad esempio, ai tanti ragazzi del dopo cresima – si addormenta e si spegne. Qualcuno mi ha detto: ‘Lei sente la nostalgia dei giovani!’ No, correggo: avverto la nostalgia per qualcosa di più: la nostalgia per una Chiesa giovane!”.

Nel giorno precedente la festa, durante la celebrazione dei Primi Vespri solenni della vigila della festa del martire il vescovo ausiliare mons. Paolo Giulietti ha chiesto alla città di ‘Superare anche le contrapposizioni e le normali divergenze di opinioni che animano la vita sociale e politica della comunità’. Mons. Giulietti si è soffermato sul significato dei doni simbolici offerti in onore di san Costanzo (la corona d’alloro, il cero, il dolce tipico della festa, il vinsanto e l’incenso):

“Offriremo cinque doni simbolici, come ogni anno. Siamo in un periodo in cui abbiamo tanti simboli… ma i cinque simboli che offriamo sono di una natura particolare, perché esprimono due comunioni. La prima è la comunione tra tutti quelli che si vedono rappresentati in questi simboli: le autorità civili e di pubblica sicurezza, le famiglie, i commercianti, i membri della comunità cristiana.

Simboli che uniscono e fanno sentire parte di una medesima realtà. Ma questi simboli esprimono un’altra comunione come suggerisce papa Francesco nell’ultimo capitolo dell’enciclica della Laudato sì, quando parla del fatto che la liturgia rende onore a Dio attraverso delle cose che appartengono alla nostra vita: il pane, il vino, l’acqua, la luce, esprimendo la convinzione che Dio abita dentro la realtà”.

I simboli presentati sono ‘il vincolo che lega questa comunità con il mistero santo di Dio’: “Questi cinque simboli non sono casuali, perché sono realtà che sono accreditate verso di noi dalla storia di quanti che per questi simboli hanno speso il loro sangue. Nessuna comunità può essere unita senza condividere delle storie se non ha dei simboli che esprimono le radici più profonde e se non sente i legami che esistono tra le persone non rispondono semplicemente alla condivisione di interessi per quanto ragionevoli ed umani essi siano”.

I gesti simbolici servono ad unire ancor di più una comunità ed in conclusione il vescovo ausiliare ha invitato a sperimentare uno spirito di comunione da trasmettere ai giovani: “Abbiamo il dovere di trasmettere alle generazioni future questo spirito di comunione, come anche abbiamo il dovere di condividere la nostra comunità con chi arriva da altri Paesi e da altre culture che di questa comunità desidera far parte, perché sono queste le nostre radici ed è questo che abbiamo ricevuto in dono dall’amore di Dio per rimanere uniti e per camminare insieme come una vera comunità”.

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