Il Colloquio ebraico-cristiano riflette sul Libro delle Lamentazioni

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Come ogni anno, dal 1990, il 17 gennaio si celebra in Italia la Giornata dal dialogo ebraico – cristiano, che è giunta quindi alla sua quattordicesima edizione (fu istituita dalla Conferenza Episcopale Italiana il 29 settembre 1989). Questa data venne scelta in quanto precede significativamente l’inizio della settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani (18-25 gennaio).

In tal modo se da una parte si mette in evidenza il legame strettissimo del cristianesimo con l’ebraismo, dall’altra si segnala come tale legame sia costitutivo anche per il rapporto fecondo tra le varie confessioni cristiane tra loro: un riavvicinarci insieme alle comuni radici ebraiche permette infatti di condividere più intensamente il comune tesoro della rivelazione biblica e rende più profondo il dialogo.

Non a caso il tema scelto per la prima celebrazione della Giornata, fu: ‘La radice ebraica della fede cristiana e la necessità del dialogo’. Come precisava mons. Ablondi, allora segretario della CEI per l’ecumenismo e il dialogo nella lettera d’indizione, datata 30 ottobre 1989:

“Lo spirito della Giornata è l’approfondimento del dialogo religioso ebraico-cristiano attraverso una maggiore conoscenza reciproca; il superamento dei pregiudizi; la riscoperta dei comuni valori biblici; iniziative comuni per la giustizia, la pace e la salvaguardia del creato; e, dove possibile, scambi di visite in forme diverse”.

La celebrazione di queste giornate ha già dato molti frutti e continua a costituire un’occasione per approfondire la mutua conoscenza e l’amicizia tra cristiani ed ebrei, in sintonia con la svolta inaugurata dal Concilio Vaticano II, specialmente attraverso la dichiarazione ‘Nostra Aetate’.

Inoltre il Catechismo degli Adulti della CEI (1995) testimonia il progresso anche dottrinale che ha compiuto la Chiesa dopo il Concilio Vaticano II, affermando che: “Israele permane nella storia della salvezza… in quanto l’antica alleanza non è mai stata revocata… Gli ebrei, intimamente solidali con la comunità cristiana, rimangono popolo di Dio. Congiunti pertanto al mistero della Chiesa, che ha la pienezza dei mezzi di salvezza, cooperano anch’essi all’edificazione del regno di Dio; svolgono un servizio all’umanità intera”.

Quest’anno il tema del dialogo è dedicato al Libro delle Lamentazioni, che il Rabbino capo della comunità di Roma, rav Riccardo di Segni, così commenta: “Nel canone ebraico il libro è inserito negli Agiografi tra le cinque Meghillot, i ‘Rotoli’, e l’ordine delle varie Meghillòt può essere in base all’uso nel calendario festivo (essendo ogni Meghillà letta per una diversa festa o ricorrenza) o per antichità di composizione in base all’attribuzione tradizionale dell’autore. In altri canoni, come già nella traduzione dei Settanta, Ekhà compare come appendice a Geremia.

La costruzione letteraria del breve libro è raffinata e sofisticata. C’è una struttura ritmica costante. I primi quattro capitoli sono in ordine alfabetico (l’alfabeto ebraico è di 22 lettere). I capitoli primo, secondo e quarto contengono ciascuno 22 versetti. Nel terzo capitolo ogni lettera è ripetuta tre volte, per un totale di 66 versetti.

L’ordine alfabetico è invertito, rispetto a quello comune e usato al capitolo 1, ai capitoli 2, 3, e 4 solo per le lettere ‘ayn’ e ‘peh’, che sono in successione peh e ayn, cosa che viene spiegata da qualcuno come il segno dell’esistenza di un differente e più antico ordine alfabetico, come confermato da reperti archeologici. L’ultimo capitolo non segue l’ordine alfabetico, ma è comunque di 22 versetti.

Dal punto di vista del contenuto, la descrizione dell’abbandono, spesso riferito metaforicamente all’immagine di una donna vedova e abbandonata, fa da contrasto al tema del Cantico dei Cantici, che è quello dell’amore vivo tra un uomo e una donna, simboliche rappresentazioni dell’amore divino per la comunità”.

Da parte cattolica il prof. Piero Stefani, presidente del SAE, ha detto: “Con la dichiarazione ‘Nostra Aetate’ il Concilio Vaticano II ha destituito di fondamento l’accusa in base alla quale la totalità degli ebrei vanno considerati responsabili della morte di Gesù. Ai nostri giorni nel triduo della Settimana Santa si respira un clima diverso da quello di un tempo. Ora si celebra una salvezza che è per tutti senza essere più contro qualcuno. La riforma liturgica ha soppresso il Mattutino delle tenebre.

L’adozione delle lingue volgari ha fatto scomparire dalle nostre Bibbie le lettere ebraiche. ‘Rinnova i nostri giorni come in antico’. Un segno di rinnovamento sarebbe che nelle nostre chiese risuonassero di nuovo l’alef, la bet, la ghimel giù, giù fino alla tau. Ma adesso quella sequenza alfabetica, lungi dal parlare una lingua ostile, verrebbe intesa da ebrei e cristiani come espressione di una nuova e antica fratellanza”.

Infine la Conferenza dei Rabbini europei ha sottolineato il valore della Dichiarazione sulle relazioni della chiesa con le religioni non cristiane, ‘Nostra Aetate’: “Cinquant’anni fa, vent’anni dopo la Shoà, con la dichiarazione ‘Nostra Aetate’ (par. 4), la Chiesa cattolica ha iniziato un processo che ha portato sempre più a ripulire i suoi insegnamenti da ogni ostilità verso gli ebrei, favorendo in tal modo la crescita del rispetto e della fiducia tra le nostre due comunità di fede.

A questo proposito il papa Giovanni XXIII è stato una figura innovativa nelle relazioni ebraico-cattoliche non meno di quanto lo sia stato nella storia della Chiesa stessa. Egli ha agito in modo coraggioso nel salvare degli ebrei durante l’Olocausto e il suo riconoscimento della necessità di modificare ‘l’insegnamento del disprezzo’ ha contribuito a far superare molte resistenze a quel cambiamento facilitando la strada all’approvazione di ‘Nostra Aetate’ n. 4…

A nostro giudizio, ‘Nostra Aetate’ ha anche aperto la via all’instaurarsi, nel 1993, di piene relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e lo Stato di Israele. Attraverso queste relazioni la Chiesa cattolica ha mostrato come essa abbia davvero ripudiato le sue raffigurazioni del popolo ebraico come condannato ad errare fino all’avvento finale. Questo momento storico ha favorito il pellegrinaggio di papa Giovanni Paolo II in Israele nell’anno Duemila, che ha segnato un’altra forte dimostrazione della nuova era nei rapporti cattolico-ebraici. Da allora i due ultimi papi hanno a loro volta fatto simili visite di stato”.

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