La Giornata del Migrante e del Rifugiato in quattro verbi

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Domenica 14 gennaio la Chiesa ha celebrato la 104^ Giornata del Migrante e del Rifugiato con un titolo formato da quatto verbi, ‘Accogliere, proteggere, promuovere e integrare i migranti e i rifugiati’: quattro azioni per cercare di affrontare il tema dei migranti e dei rifugiati salvaguardando la dignità della persona.

E’ un testo ricco di proposte e azioni concrete, che papa Francesco offre all’analisi e allo studio della comunità cristiana e di quella internazionale, partendo dal brano del Levitico, in cui Dio ordina agli israeliti di trattare come un cittadino il forestiero: “Ogni forestiero che bussa alla nostra porta è un’occasione di incontro con Gesù Cristo, il quale si identifica con lo straniero accolto o rifiutato di ogni epoca.

Il Signore affida all’amore materno della Chiesa ogni essere umano costretto a lasciare la propria patria alla ricerca di un futuro migliore. Tale sollecitudine deve esprimersi concretamente in ogni tappa dell’esperienza migratoria: dalla partenza al viaggio, dall’arrivo al ritorno.

E’ una grande responsabilità che la Chiesa intende condividere con tutti i credenti e gli uomini e le donne di buona volontà, i quali sono chiamati a rispondere alle numerose sfide poste dalle migrazioni contemporanee con generosità, alacrità, saggezza e lungimiranza, ciascuno secondo le proprie possibilità”.

Dopo aver ricordato la preoccupazione per la situazione dei migranti e dei rifugiati, papa Francesco invita all’azione attraverso quattro verbi: “Considerando lo scenario attuale, accogliere significa innanzitutto offrire a migranti e rifugiati possibilità più ampie di ingresso sicuro e legale nei paesi di destinazione. In tal senso, è desiderabile un impegno concreto affinché sia incrementata e semplificata la concessione di visti umanitari e per il ricongiungimento familiare.

Allo stesso tempo, auspico che un numero maggiore di paesi adottino programmi di sponsorship privata e comunitaria e aprano corridoi umanitari per i rifugiati più vulnerabili. Sarebbe opportuno, inoltre, prevedere visti temporanei speciali per le persone che scappano dai conflitti nei paesi confinanti. Non sono una idonea soluzione le espulsioni collettive e arbitrarie di migranti e rifugiati, soprattutto quando esse vengono eseguite verso paesi che non possono garantire il rispetto della dignità e dei diritti fondamentali”.

Ha richiamato con forza quel principio della centralità della persona umana, affermato da papa Benedetto XVI nell’enciclica ‘Caritas in veritate’ per cui il cristiano è chiamato ad “ad anteporre sempre la sicurezza personale a quella nazionale. Di conseguenza, è necessario formare adeguatamente il personale preposto ai controlli di frontiera.

Le condizioni di migranti, richiedenti asilo e rifugiati, postulano che vengano loro garantiti la sicurezza personale e l’accesso ai servizi di base. In nome della dignità fondamentale di ogni persona, occorre sforzarsi di preferire soluzioni alternative alla detenzione per coloro che entrano nel territorio nazionale senza essere autorizzati”.

Il secondo verbo analizzato è quello del ‘proteggere’ ed anche in questo caso il pretesto è il pensiero ratzingeriano sulla persona umana: “Tale protezione comincia in patria e consiste nell’offerta di informazioni certe e certificate prima della partenza e nella loro salvaguardia dalle pratiche di reclutamento illegale.

Essa andrebbe continuata, per quanto possibile, in terra d’immigrazione, assicurando ai migranti un’adeguata assistenza consolare, il diritto di conservare sempre con sé i documenti di identità personale, un equo accesso alla giustizia, la possibilità di aprire conti bancari personali e la garanzia di una minima sussistenza vitale. Se opportunamente riconosciute e valorizzate, le capacità e le competenze dei migranti, richiedenti asilo e rifugiati, rappresentano una vera risorsa per le comunità che li accolgono.

Per questo auspico che, nel rispetto della loro dignità, vengano loro concessi la libertà di movimento nel paese d’accoglienza, la possibilità di lavorare e l’accesso ai mezzi di telecomunicazione. Per coloro che decidono di tornare in patria, sottolineo l’opportunità di sviluppare programmi di reintegrazione lavorativa e sociale”.

Il terzo verbo è ‘promuovere’ e papa Francesco si avvale del pensiero anche dei papi Montini e Wojtyla, chiedendo la difesa della famiglia: “La sua integrità va sempre promossa, favorendo il ricongiungimento familiare (con l’inclusione di nonni, fratelli e nipoti), senza mai farlo dipendere da requisiti economici. Nei confronti di migranti, richiedenti asilo e rifugiati in situazioni di disabilità, vanno assicurate maggiori attenzioni e supporti.

Pur considerando encomiabili gli sforzi fin qui profusi da molti paesi in termini di cooperazione internazionale e assistenza umanitaria, auspico che nella distribuzione di tali aiuti si considerino i bisogni (ad esempio l’assistenza medica e sociale e l’educazione) dei paesi in via di sviluppo che ricevono ingenti flussi di rifugiati e migranti e, parimenti, si includano tra i destinatari le comunità locali in situazione di deprivazione materiale e vulnerabilità”.

Ed infine papa Francesco propone il verbo ‘integrare’, che secondo papa Giovanni Paolo II è ‘un processo prolungato che mira a formare società e culture, rendendole sempre più riflesso dei multiformi doni di Dio agli uomini’: “Tale processo può essere accelerato attraverso l’offerta di cittadinanza slegata da requisiti economici e linguistici e di percorsi di regolarizzazione straordinaria per migranti che possano vantare una lunga permanenza nel paese.

Insisto ancora sulla necessità di favorire in ogni modo la cultura dell’incontro, moltiplicando le opportunità di scambio interculturale, documentando e diffondendo le buone pratiche di integrazione e sviluppando programmi tesi a preparare le comunità locali ai processi integrativi”. E la Chiesa è chiamata in prima persona a mettere in pratica questi quattro verbi, “ma per ottenere i risultati sperati è indispensabile il contributo della comunità politica e della società civile, ciascuno secondo le responsabilità proprie”.

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