La settimana di preghiera per l’unità dei cristiani canta la liberazione

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La data tradizionale per la celebrazione della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, nell’emisfero nord, va dal 18 al 25 gennaio, data proposta nel 1908 da padre Paul Wattson, perché compresa tra la festa della cattedra di san Pietro e quella della conversione di san Paolo; assume quindi un significato simbolico. Nell’emisfero sud, in cui gennaio è periodo di vacanza, le chiese celebrano la Settimana di preghiera in altre date, per esempio nel tempo di Pentecoste (come suggerito dal movimento Fede e Costituzione nel 1926), periodo altrettanto simbolico per l’unità della Chiesa.

Quest’anno la Settimana di preghiera incentra la riflessione sul testo biblico tratto dal libro dell’Esodo: ‘Potente è la tua mano, Signore’, ed è curata dalle Chiese dei Caraibi, spiegando la scelta del canto di esultanza: “Oggi i cristiani dei Caraibi, appartenenti a diverse tradizioni, vedono la mano di Dio nella fine della schiavitù. L’esperienza dell’opera salvifica di Dio che porta la libertà è seme di unità. Per questo motivo la scelta del cantico di Mosè e di Miriam quale tema per la Settimana di preghiera 2018 è sembrata molto appropriata. E’ un canto di trionfo sull’oppressione”.

Infatti i popoli caraibici raccontano la liberazione dalla schiavitù, che oggi è mascherata sotto molti vestiti: “Come gli Israeliti, anche le popolazioni caraibiche hanno il loro canto di vittoria e di liberazione da cantare ed è un canto che li unisce. Non di meno, alcune sfide contemporanee ancora costituiscono una minaccia di nuova schiavitù e una minaccia contro la dignità della persona umana creata a immagine e somiglianza di Dio.

Sebbene la dignità umana sia inalienabile, tuttavia essa viene spesso oscurata sia dal peccato personale che da strutture sociali di peccato. Nel nostro mondo, segnato dal peccato, troppo spesso le nostre relazioni sociali mancano della dovuta giustizia e compassione che onorano la dignità umana. Povertà, violenza, ingiustizia, tossicodipendenza, pornografia, e il dolore, la tristezza, l’angoscia che vi fanno seguito sono esperienze che distorcono la dignità umana”.

Le Chiese caraibiche hanno inoltre scelto il testo biblico, perché apre la strada all’unità, raccontando una ‘sofferenza’ comune: “Il brano di Esodo 15 ci permette di vedere come la strada verso l’unità debba spesso passare attraverso una comune esperienza di sofferenza. La liberazione degli Israeliti dalla schiavitù è un evento fondante nella costituzione del popolo.

Per i cristiani questo processo raggiunge l’apice con l’Incarnazione e il Mistero pasquale. Sebbene la liberazione/salvezza sia iniziativa di Dio, Dio coinvolge i soggetti umani nella realizzazione del piano di redenzione del suo popolo. I cristiani, attraverso il battesimo, partecipano del ministero di riconciliazione di Dio, ma le divisioni ostacolano la nostra testimonianza e la nostra missione in un mondo che ha bisogno della guarigione di Dio”.

E nell’introduzione le Chiese dei Caraibi danno alcune indicazioni per le celebrazioni: “La Bibbia e tre catene sono elementi essenziali per questa celebrazione ecumenica. Il Gruppo locale dei Caraibi suggerisce di collocare questi simboli in evidenza all’interno del luogo di culto. La Bibbia è particolarmente importante per l’esperienza delle chiese dei Caraibi”.

Le Chiese hanno ripercorso il cammino di queste popolazioni tratte in schiavitù: “Storicamente, infatti, le popolazioni indigene e gli schiavi patirono atroci sofferenze perpetrate dai colonizzatori che, allo stesso tempo, portarono la cristianità. Eppure, nelle mani della gente oppressa di quella regione, la Bibbia divenne una fonte primaria di consolazione e di liberazione. La dinamica di questo rovesciamento rende la Bibbia un simbolo particolarmente potente in se stesso.

Perciò, in questa celebrazione, è importante che una Bibbia marcatamente visibile sia posta in mezzo all’assemblea radunata in preghiera e che le letture siano proclamate direttamente da questa stessa Bibbia piuttosto che da altri libri o foglietti”.

Invece le ‘catene’ rappresentano la schiavitù: “Esse sono anche simbolo del potere del peccato che ci separa da Dio e gli uni dagli altri. Il Gruppo locale dei Caraibi suggerisce di usare catene realmente di ferro durante le Preghiere di riconciliazione di questa celebrazione. Se non fossero disponibili catene di ferro, si utilizzino altre catene marcatamente visibili.

Durante la preghiera le catene di ferro della schiavitù sono sostituite da una catena umana che esprime vincoli di comunione e di azione congiunta contro le moderne forme di schiavitù e di ogni tipo di disumanizzazione individuale o istituzionalizzata. E’ essenziale alla celebrazione che tutta l’assemblea sia invitata a prendere parte a questo gesto”.

E spiegano anche la scelta del canto: “Per quanto riguarda il canto dopo la proclamazione della Parola, il Gruppo locale caraibico suggerisce l’Inno ‘The Right Hand of God’ (La mano di Dio). La riflessione sul cantico di Miriam e di Mosè che lodano l’opera liberatrice di Dio nel Libro dell’Esodo, riporta al Movimento ecumenico dei Caraibi, dal momento che le chiese lavorano insieme per superare le sfide sociali che le popolazioni della regione devono affrontare”.

Occorre sottolineare che la regione caraibica si estende dalle Bahamas al nord fino al Suriname, Guyana e Guyana francese al sud, e dalle Barbados ad est fino al Belize (Centro America) ad ovest. La comune identità della regione si fonda tanto su motivi geografici, quanto su una storia condivisa di colonialismo, sfruttamento e resistenza contro la dominazione straniera, quanto, infine, su un comune tessuto culturale.

La presenza di alcune chiese nella regione (ad esempio la Chiesa cattolica e la Chiesa anglicana) risale all’inizio del primo periodo dell’espansione coloniale. Altre chiese sono giunte successivamente, quale conseguenza del movimento missionario del XVIII, XIX e dell’inizio del XX secolo. Ancor più recentemente Movimenti pentecostali ed evangelici si sono diffusi in tutti i Caraibi, e ciò ha portato alla diffusione, in molti paesi, di Alleanze e Comunità evangeliche. La Conferenza delle chiese dei Caraibi (Caribbean Conference of Churches, CCC), formalmente istituita all’inizio degli anni ’70, nacque da un dinamico precursore dell’attività ecumenica negli anni ’60, in un periodo di fermento socio-culturale e politico.

Si trattava del periodo immediatamente post-coloniale della regione durante il quale molti paesi raggiunsero l’indipendenza politica, periodo nel quale tutta la regione era attraversata da un fermento di autodeterminazione, nello sviluppo e in nuove forme di espressione. La risposta congiunta e il contributo di numerose chiese a questa nuova consapevolezza della regione si concretizzò nella formazione di un’organizzazione denominata Christian Action for Development in the Caribbean (CADEC) che avrebbe precorso la creazione del CCC costituendone poi uno dei due dipartimenti, insieme all’Agency for Renewal of the Churches (ARC).

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