In India i Dalit protestano contro la discriminazione

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Da alcuni mesi in India è nato un movimento di protesta dei Dalit, la casta più bassa della nazione, dopo le immagini diffuse di un video di soprusi ai danni degli stessi. Malgrado la rivoluzione gandhiana, la lotta per l’indipendenza, l’avvento della democrazia, il sistema delle caste non è mai stato formalmente abolito. Di fatto i Dalit sono la classe più subalterna di tutte, quella confinata ai lavori umilissimi. Dalit sono gli spazzini, spalatori di fogne, facchini e così via.

Mai si erano ribellati negli ultimi decenni. Poi a luglio è avvenuto che alcuni Gau Rakshaks, i ‘protettori delle le vacche sacre’, hanno catturato quattro giovani nella regione di Una (stato del Gujarat) che scuoiavano carcasse di bovini, accusandoli di avere ucciso le vacche per mangiarsele. I Dalit si sono difesi sostenendo che le carcasse gli erano state consegnate per essere scuoiate, senza convincere i Gau Rakshaks che li hanno spogliati e bastonati, trascinati al villaggio legati a un’auto, di nuovo frustati, picchiati, derisi.

Ed in seguito a queste proteste di massa, l’Associazione per i Popoli Minacciati (APM) ha invitato il premier Narendra Modi a porre fine alla perdurante discriminazione di questo gruppo di popolazione particolarmente svantaggiato ed a prendere pubblicamente le distanze dalla violenza degli estremisti hindù contro le minoranze etniche e religiose del paese:

“Se si continua a non perseguire, a non punire e a non condannare pubblicamente le violenze e le aggressioni dei nazionalisti hindù contro Dalit, Cristiani e Musulmani, l’India rischia di dover affrontare un anno particolarmente difficile, durante il quale le prossime elezioni politiche possono fungere da pretesto per un aumento delle violenze contro le minoranze. E’ evidente che la tutela delle minoranze in India è insufficiente e necessita urgentemente di interventi politici decisi”.

Inoltre negli scorsi giorni centinaia di migliaia di Dalit hanno protestato a Mumbai contro il perdurare della discriminazione nei loro confronti e contro la violenza da parte dei nazionalisti hindù. Le proteste hanno in buon parte bloccato il traffico della metropoli. Le proteste erano state scatenate dalla morte violenta del 28enne Rahul Phatangale. Il giovane dalit è stato ucciso a Pune lo scorso 1^ gennaio 2018 da un presunto nazionalista hindù durante le commemorazioni del 200^ anniversario della battaglia di Bhima-Koregaon, che nel 1818 aveva segnato la vittoria dei Dalit e dei soldati britannici contro i membri di una casta alta.

Oltre al perdurare della discriminazione nel sistema scolastico e nel mercato del lavoro, i Dalit sono sempre più spesso vittime di aggressioni, omicidi, stupri, rapimenti e saccheggi da parte degli estremisti hindù. La disoccupazione tra i Dalit è tuttora il doppio rispetto alla media nazionale. Però la violenza degli estremisti nazionalisti hindù colpisce in modo crescente anche chi appartiene a una delle varie minoranze religiose dell’India e la protesta cresce anche tra Cristiani e Musulmani.

Anche i vescovi indiani hanno diffuso un appello per ristabilire la pace nella società indiana: “Auspichiamo che il 2018 possa essere un anno di pace e armonia, di amore e di fraternità, di sviluppo inclusivo e integrale per tutti i popoli. Preghiamo per il nostro amato paese, per i nostri leader politici e spirituali, e per ogni indiano”.

Inoltre nel messaggio inviato all’Agenzia Fides mons. Theodore Mascarenhas, segretario generale della conferenza episcopale indiana, ha ricordato le violenze subite dai cattolici solo nell’ultimo mese dello scorso anno: “Negli ultimi tempi si è verificata una serie di eventi che minacciano l’idea stessa dell’India. Siamo rattristati da notizie inquietanti di un attacco ai dalit a Pune, nel Maharashtra.

Secondo i resoconti di stampa, gruppi che portavano bandiere color zafferano hanno aggredito i Dalit diretti al monumento che ricorda quanti morirono nella battaglia del 1818. Che questo evento annuale sia improvvisamente sotto attacco è un segnale allarmante: condanniamo la violenza in modo inequivocabile. Lanciamo un appello per la pace e l’armonia”.

Nello stato di Madhya Pradesh un istituto cattolico, il St. Mary’s Post Graduate College, è stato minacciato dai militanti nazionalisti indù che il 30 dicembre sono entrati nel collegio, scavalcandone le mura di cinta. L’attacco è avvenuto alla presenza di oltre 20 poliziotti che hanno assistito senza intervenire, come hanno sottolineato i vescovi:

“Questo tipo di terrorismo è inaccettabile. Questo falso nazionalismo deve fermarsi. Questa folla di questi tipi viene incoraggiata come è stato visto in precedenza a Satna, è preoccupante e inquietante… La polizia non ha fatto nulla per proteggere i cristiani fratelli, mentre i militanti li maltrattavano e percuotevano. Li hanno perfino costretti a recitare formule induiste”.

Secondo mons. Mascarenhas, l’incidente “è una cosa molto triste, molto pericolosa per l’India. Soprattutto perché gli attivisti si sono presentati non con una richiesta, ma con un ordine… Noi siamo un’istituzione di minoranza e abbiamo tutto il diritto di gestire le nostre istituzioni. Non possiamo obbligare nessuno ad adorare [le divinità]. Noi non forziamo e non vogliamo essere forzati”.

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