La Chiesa propone la pace da 50 anni

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“Ci rivolgiamo a tutti gli uomini di buona volontà per esortarli a celebrare ‘La Giornata della Pace’, in tutto il mondo, il primo giorno dell’anno civile, 1° gennaio 1968. Sarebbe Nostro desiderio che poi, ogni anno, questa celebrazione si ripetesse come augurio e come promessa, all’inizio del calendario che misura e descrive il cammino della vita umana nel tempo, che sia la Pace con il suo giusto e benefico equilibrio a dominare lo svolgimento della storia avvenire:

Noi pensiamo che la proposta interpreti le aspirazioni dei Popoli, dei loro Governanti, degli Enti internazionali che attendono a conservare la pace nel mondo, delle Istituzioni religiose tanto interessate alla promozione della Pace, dei Movimenti culturali, politici e sociali che della Pace fanno il loro ideale, della Gioventù, in cui più viva è la perspicacia delle vie nuove della civiltà, doverosamente orientate verso un suo pacifico sviluppo, degli uomini saggi che vedono quanto oggi la Pace sia al tempo stesso necessaria e minacciata”:
con queste parole papa Paolo VI rivolgeva un messaggio al mondo per implorare la pace.

Infatti l’8 dicembre 1967 papa Paolo VI aveva comunicato l’intenzione di istituire la celebrazione di una Giornata mondiale della pace, la cui ricorrenza era fissata al 1° gennaio di ogni anno. La decisione cadeva a 2 anni dalla conclusione del Concilio Vaticano II, a 5 anni dalla promulgazione dell’enciclica ‘Pacem in terris’ e, soprattutto, in un contesto internazionale segnato pesantemente dalla contrapposizione ‘Est-Ovest’.

Dal 1964 era iniziata l’escalation dell’impegno militare statunitense in Vietnam, ormai sfociato in un conflitto nel corso del quale gli americani avevano iniziato a fare ricorso a campagne di bombardamenti a tappeto. Quindi la speranza di papa Paolo VI era quella di ‘lanciare un’idea’ per scongiurare un conflitto imminente, ma soprattutto creare una nuova mentalità:

“La Chiesa cattolica provvederà a richiamare i suoi figli al dovere di celebrare la ‘Giornata della Pace’ con le espressioni religiose e morali della fede cristiana; ma ritiene doveroso ricordare a tutti coloro che vorranno condividere l’opportunità di tale ‘Giornata’, alcuni punti che la devono caratterizzare; e primo fra essi: la necessità di difendere la pace nei confronti dei pericoli, che sempre la minacciano: il pericolo della sopravvivenza degli egoismi nei rapporti tra le nazioni; il pericolo delle violenze, a cui alcune popolazioni possono lasciarsi trascinare per la disperazione nel non vedere riconosciuto e rispettato il loro diritto alla vita e alla dignità umana;

il pericolo, oggi tremendamente cresciuto, del ricorso ai terribili armamenti sterminatori, di cui alcune Potenze dispongono, impiegandovi enormi mezzi finanziari, il cui dispendio è motivo di penosa riflessione, di fronte alle gravi necessità che angustiano lo sviluppo di tanti altri popoli; il pericolo di credere che le controversie internazionali non siano risolvibili per le vie della ragione, cioè delle trattative fondate sul diritto, la giustizia, l’equità, ma solo per quelle delle forze deterrenti e micidiali. La pace si fonda soggettivamente sopra un nuovo spirito, che deve animare la convivenza dei Popoli, una nuova mentalità circa l’uomo ed i suoi doveri ed i suoi destini.

Lungo cammino ancora è necessario per rendere universale ed operante questa mentalità; una nuova pedagogia deve educare le nuove generazioni al reciproco rispetto delle Nazioni, alla fratellanza dei Popoli, alla collaborazione delle genti fra loro, anche in vista del loro progresso e sviluppo”.

E sin da quell’anno la Chiesa ha dato il significato corretto di pace: “Così, da ultimo, sarà da auspicare che la esaltazione dell’ideale della pace non debba favorire l’ignavia di coloro che temono di dover dare la vita al servizio del proprio Paese e dei propri fratelli quando questi sono impegnati nella difesa della giustizia e della libertà, ma cercano solamente la fuga della responsabilità, dei rischi necessari per il compimento di grandi doveri e di imprese generose. Pace non è pacifismo, non nasconde una concezione vile e pigra della vita, ma proclama i più alti ed universali valori della vita; la verità, la giustizia, la libertà, l’amore.

Ed è per la tutela di questi valori che Noi li poniamo sotto il vessillo della pace, e che invitiamo uomini e Nazioni, e innalzare, all’alba dell’anno nuovo, questo vessillo, che deve guidare la nave della civiltà, attraverso le inevitabili tempeste della storia, al porto delle sue più alte mete”.

Artefice di questa intuizione fu l’arcivescovo di Bologna, card. Giacomo Lercaro, che avendo ‘studiato’ l’enciclica ‘Pacem in Terris’, che fu il primo vescovo ad accogliere il messaggio del papa tenendo un’omelia in quel primo giorno dell’anno: “Da più giorni, il Messaggio del Santo Padre mi sospinge a scrutare la mia coscienza e la mia vita. Mi chiedo quale è stata la testimonianza di pace mia personale e dell’intera nostra comunità ecclesiale.

Mi domando soprattutto fino a che punto possiamo avere talvolta inclinato a vedere solo in altri la causa dei disordini e dei conflitti ed eventualmente a giudicarli come fomentatori di guerra e perturbatori della pace, piuttosto che esaminare noi stessi ed eventualmente preoccuparci di togliere da noi le pietre d’inciampo sul cammino della pace e le ragioni di scandalo, forse inconsapevolmente offerte ai credenti e ai non credenti”.

Per il card. Lercaro la Chiesa non deve essere ‘arbitra’; però il compito della Chiesa è quello di non essere neutrale, chiarendo il senso profetico della stessa: “Ma la Chiesa non può essere neutrale, di fronte al male da qualunque parte venga: la sua via non è la neutralità, ma la profezia; cioè il parlare in nome di Dio, la parola di Dio. Pertanto, nell’umiltà più sincera, nella consapevolezza degli errori commessi nella sua politica temporale del passato, nella solidarietà più amante e più sofferta con tutte le nazioni del mondo, la Chiesa deve tuttavia portare su di esse il suo giudizio, deve, secondo le parola di Isaia riprese dall’Evangelista san Matteo, ‘annunziare il giudizio alle nazioni’.

Il profeta può incontrare dissensi e rifiuti, anzi è normale che, almeno in un primo momento, questo accada: ma se ha parlato non secondo la carne, ma secondo lo Spirito, troverà più tardi il riconoscimento di tutti. E’ meglio rischiare la critica immediata di alcuni che valutano imprudente ogni atto conforme all’Evangelo, piuttosto che essere alla fine rimproverati da tutti di non aver saputo, quando c’era ancora il tempo di farlo, contribuire ad evitare le decisioni più tragiche o almeno ad illuminare le coscienze con la luce della parola di Dio”.

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