Giornata mondiale: la battaglia contro l’Aids continua

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Venerdì 1 dicembre si celebra la giornata mondiale contro l’Aids e l’ ‘Aggiornamento statistico sui bambini e l’Aids’, rapporto dell’Unicef, ha sottolineato che nel 2016 sono stati 120.000 i minori sotto i 14 anni morti per cause legate all’Aids; ed ogni ora 18 bambini sono colpiti da Hiv: se la tendenza dovesse persistere, nel 2030 sarebbero 3.500.000 i casi di adolescenti affetti dal virus.

Di fronte a tali cifre Chewe Luo, responsabile dei programmi di lotta all’HIV-AIDS dell’Unicef, ha dichiarato: “E’ inaccettabile che continuiamo a vedere tanti bambini morire di Aids e che facciamo così pochi progressi per proteggere gli adolescenti dalle infezioni. La diffusione dell’Aids non è affatto finita e continua a essere una minaccia per i giovani. Si può e si deve fare di più per prevenirla”.

Infatti un’analisi demografica condotta dall’Unicef rivela che gli obiettivi fissati nel programma ‘2020 Super-Fast-Track’, messo a punto nel settembre dello scorso anno con l’ambizioso obiettivo di porre fine all’aids pediatrico entro il 2020 non saranno raggiunti. Sono stati compiuti dei progressi nella lotta all’aids, soprattutto nella prevenzione della trasmissione dell’HIV madre-figlio. Dal 2000, sono stati evitati circa 2.000.000 di nuovi casi di HIV fra i bambini.

Tuttavia, l’Unicef ha avvertito che questi progressi non devono portare a un atteggiamento di indifferenza, visto che lo Statistical Update sottolinea come i bambini HIV-positivi sotto i 4 anni corrano un rischio di morte per AIDS maggiore rispetto agli altri gruppi di età. Infatti c’è un ritardo nei controlli e nelle terapie pediatriche dell’HIV: solo il 43% dei bambini a rischio di contrarre il virus è sottoposto a controlli nei primi due mesi di vita, come raccomandato dai protocolli sanitari, e analoga è la percentuale di bambini sieropositivi che riceve regolarmente farmaci antiretrovirali, gli unici che possono garantire loro la sopravvivenza.

Nello scorso anno 55.000 adolescenti (10-19 anni) sono morti per cause legate all’AIDS, 91% dei quali in paesi dell’Africa Subsahariana. I dati rivelano inoltre una disparità di genere preoccupante: per ogni 5 adolescenti maschi che contraggono l’HIV, sono 7 le coetanee che vengono contagiate. I progressi hanno riguardato soprattutto la prevenzione della trasmissione dell’Hiv tra madre e figlio: dal 2000 sono stati evitati circa 2.000.000 di nuovi casi.

Tuttavia i bambini malati sotto i 4 anni sono ancora ad alto rischio di morte, anche perché solo il 43% di essi riceve le cure antiretrovirali durante i primi due mesi di vita, come sarebbe raccomandato. Anche in Italia, secondo i dati del Registro italiano per l’infezione da Hiv in pediatria, negli ultimi 10 anni almeno 82 neonati (su oltre 11.000 nati da madre hiv-positiva) hanno acquisito il morbo, comportando nei figli 26 casi di Aids e due decessi.

E da molti anni anche la Comunità di Sant’Egidio attira l’attenzione sulle donne africane, attraverso il progetto ‘Dream’: tra loro l’Aids è tuttora un grande flagello e rappresenta la seconda causa di morte, molto più che negli uomini. Oltre 25.000.000 di malati di Hiv e 3 morti su 4 per Aids provengono dal continente nero: “Una sfida è l’accesso universale alle cure. I dati globali sulla diffusione della pandemia sono incoraggianti: le nuove infezioni si sono ridotte del 16% dal 2010 e la mortalità quasi dimezzata, ma tanto resta ancora da fare se si considera che ogni giorno del 2016 si sono registrati 5.000 nuovi casi”.

Per questo la Comunità di Sant’Egidio continua e intensifica il lavoro del programma ‘Dream’, che in oltre 15 anni di attività in 11 Paesi africani ha offerto gratuitamente la terapia a 350.000 pazienti, consentendo la nascita di oltre 100.000 bambini sani da madri sieropositive. Una lettura approfondita dei dati epidemiologici racconta inoltre “una delle più grandi disparità del nostro tempo: quella di genere.

Nonostante la riduzione della mortalità da Hiv per i malati di sesso femminile, tra le donne africane l’Aids è ancora un grande flagello e rappresenta la seconda causa di morte, molto più che negli uomini. Le giovani africane sono più a rischio di contrarre il virus, a causa della loro inferiorità sociale in molti contesti e il minore accesso ai servizi di prevenzione e cura.

Allo stesso tempo però emerge la grande forza e il desiderio di salute di queste donne, le cui condizioni di vita sono rese più difficili dal mantenimento di famiglie numerose e da lavori usuranti”. La Comunità di Sant’Egidio è “accanto alle donne africane, oltre che con le cure mediche anche con progetti di educazione sanitaria e formazione professionale.

Nel programma ‘Dream’ la donna svolge il ruolo centrale di ambasciatrice delle salute, che parla con altre donne, testimonia in prima persona il successo del trattamento e diviene portavoce dei diritti dei malati. ‘Dream’ rappresenta quindi anche un passo determinante per l’emancipazione di tante donne, consentendo loro di uscire dallo stigma della malattia e dalla marginalità in cui spesso vivono”. Per la Comunità di Sant’Egidio, “curare l’Africa è, oggi ancor di più, curare le sue donne”.

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