La Chiesa italiana e la questione dello ‘ius soli’

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Venerdì 13 ottobre a Macerata l’associazione culturale ‘Aldo Moro’ ha iniziato gli incontri ‘autunnali’ del nuovo anno sociale con un tema di attualità, riguardante la cittadinanza ai nuovi italiani, ospitando il direttore di Avvenire, Marco Tarquinio, che ha specificato che è meglio parlare dello ‘ius culturae’:

“Si tratta di far crescere i nuovi italiani su basi ancor più solide, quelle culturali, dell’istruzione. Finora abbiamo solamente temuti questi ‘aspiranti’ compatrioti, perdendo in tal modo un’intera generazione. Sul piano complessivo della previdenza c’è stato un vuoto terribile riscontrabile nei nostri conti pubblici”. Poi ha riportato articoli di giornale americani degli inizi XX secolo, quando gli immigrati erano italiani, ed ha messo a paragone gli articoli di giornale italiani di inizio XXI secolo.

Ebbene gli articoli sono sovrapponibili, senza cambio di una virgola: ‘irascibili, maleducati, pericolosi’. Per il direttore di Avvenire nel corso degli anni nulla è cambiato, perché è la paura dell’altro a spaventare: “C’è un vento di secolarizzazione che soffia in maniera indiscriminato da quando è stata varata la legge ‘Bossi-Fini’, che tocca soprattutto i bambini, figli di genitori stabilizzati in Italia…
C’è bisogno di una politica alta e coraggiosa per far fronte a questo problema epocale”.

Quindi per Tarquinio è più logico parlare di ‘ius culturae’ più che ‘ius soli’: “Di persone cioè che sono nate in Italia e/o qui stanno studiando, che parlano la nostra lingua, che hanno anche i nostri costumi e i cui genitori, residenti nel nostro Paese da tempo, non hanno commesso reati, qui lavorano e qui pagano contributi e tasse…

Ed è chiaro come il sole che non arriverà mai troppo presto il giorno in cui ci risolveremo, anche per legge, a riconoscere come italiani giovani che già italiani sono. Bambini e ragazzi sui quali l’Italia sta investendo risorse di istruzione e di welfare. Che frequentano scuole italiane e giardini e piazze e oratori italiani assieme ai nostri figli, che sono loro compagni di giochi e di studio e che saranno loro compagni di vita e di lavoro. Concittadini, insomma, dentro la misura fissata dalla Costituzione e dalle leggi della Repubblica. Misura che dobbiamo deciderci a rendere completa e salda”.

E portando alcuni esempi di diritti di cittadinanza negati il direttore di Avvenire ha terminato il proprio intervento affermando che essi sono parte integrante dei giovani italiani: “Eppure i nuovi italiani sono e restano parte integrante di una generazione di giovani concittadini che non possiamo permetterci di perdere e disperdere.

Sono parte integrante di un patrimonio di umanità, una ricchezza d’Italia. Dipende da noi, anche con una legge giusta e finalmente tempestiva, farli essere e sentire continuatori e interpreti del nostro grande passato e protagonisti del presente e del futuro comuni. Insieme”.

In effetti la Chiesa italiana ha sempre parlato di ‘ius culturae’, come ha affermato recentemente la Consulta nazionale degli organismi ecclesiali socio-assistenziali: “Guardare la realtà in modo responsabile vuol dire partire da ciò che ci accomuna per camminare insieme. Si capisce allora come sia centrale e decisivo il dibattito sulla cittadinanza a oltre 800.000 bambini e ragazzi nati in Italia, che vivono qui, frequentano le nostre scuole ma che italiani non possono ancora considerarsi”.

Quindi la Consulta ha chiesto “di non trincerarsi dietro le paure e invita anche i responsabili politici a non rinunciare mai alla speranza e ad impegnarsi concretamente per un Paese migliore, che promuove e tutela i diritti di ciascuno, senza dimenticare i doveri verso tutti, che trasmette e difende i valori connessi alla dignità umana di chi viene accolto e di chi accoglie”.

Mentre l’arcivescovo di Chieti-Vasto, mons. Bruno Forte, ha proposto di allargare lo sguardo in una visione europea: “Due livelli vanno messi in evidenza: il primo è quello universale del ‘villaggio globale’, cui tutti apparteniamo. La crescente interdipendenza delle economie nazionali, delle culture, degli equilibri sociali e politici, ci spinge a sentirci giustamente cittadini del mondo, appartenenti alla grande patria che è la terra degli uomini, dove ciascuno è e deve sentirsi cittadino a pieno titolo, chiamato a contribuire per la sua parte a un domani migliore per tutti.

Si tratta di sviluppare e alimentare in ognuno un respiro universale, ‘cattolico’ nel senso originario di questo termine, e dunque una coscienza alta e profonda di appartenere tutti a un destino comune, in cui nessuno potrà essere indifferente agli altri o irrilevante per loro. Qui il contributo del cristianesimo alla cultura dell’Occidente e non solo appare determinante e va considerato e valorizzato come prezioso apporto al bene di tutti, compreso di chi non si riconosce nella fede cristiana”.

L’altro argomento che mons. Forte ha analizzato riguarda il concetto dell’Europa come ‘casa comune’: “Con questa espressione si voleva indicare come, attraverso l’Unione Europea, i cittadini di essa fossero riusciti ad operare insieme a favore della pace e della comune prosperità, mantenendo al tempo stesso integro il patrimonio delle diverse culture, tradizioni e lingue del Continente.

Risvegliare il fascino di questo programma, sentirsi parte di una ‘patria’ europea, al di là di una riduzione solo economica e mercantile dell’idea di Europa, è meta verso cui tendere sempre di nuovo, superando localismi esasperati, nazionalismi datati e chiusure mentali e sociali dannose per tutti”.

Ed a Pordenone, durante il festival ‘Ascoltare, leggere, crescere’, mons. Guerino Di Tora, presidente della Fondazione Migrantes, ha sottolineato che il fenomeno migratorio è un fenomeno epocale, che occorre contestualizzarlo nella realtà mondiale di una società globalizzata:

“Prima ancora del semplice accogliere, è fondamentale creare una cultura dell’accoglienza, correlata alla cultura della mondialità, per creare una globalità umanizzata. Papa Francesco declina l’atteggiamento verso i migranti in quattro verbi fondamentali. Accogliere: aumentare le vie sociali e legali per migranti e rifugiati. Proteggere: difendere i diritti e la dignità di ogni migrante.

Promuovere: fornire lo sviluppo umano integrale di migranti e rifugiati. Integrare: arricchire le comunità locali attraverso una loro maggiore partecipazione. In questo contesto di umanità nuova, in cui le migrazioni non sono la fine del mondo, ma l’inizio di un mondo nuovo, che guarda con particolare attenzione all’infanzia e al mondo giovanile, possiamo considerare nel nostro Paese la legge dello ‘ius soli’ e dello ‘ius culturae’.

Il provvedimento in discussione intende riconoscere come italiani i bambini nati in Italia da almeno un genitore residente regolarmente in possesso di permesso di soggiorno illimitato o di lungo periodo concesso dall’Unione Europea (ius soli temperato), nonché i minori arrivati in Italia entro il dodicesimo anno di età che dimostrino di aver completato un percorso di studi (ius culturae)”.

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