Dalla Germania la via della pace è la preghiera

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Con l’accensione dei candelabri e la firma dell’appello della Comunità di Sant’Egidio, seguito da uno scambio di pace, si è concluso nella piazza di Osnabruck l’Incontro internazionale ‘strade di pace: religioni e culture in dialogo’, che ha riunito uomini e donne di religioni e culture diverse per tre giorni di dialogo e preghiera gli uni accanto agli altri. Nell’appello finale leader religiosi e politici hanno ribadito la necessità di trovare nuove strade di pace per ‘vincere la paura e i pregiudizi che portano a allontanare l’altro, solo perché diverso o perché non lo si conosce, spesso senza capirne le ragioni’:

“Come rappresentanti delle religioni del mondo, vogliamo guardare al di là dei nostri orizzonti, costruendo un nuovo movimento di dialogo. L’incontro e il dialogo disarmano e fermano i violenti. Perché sappiamo che mai la guerra è santa e che chi uccide nel nome di Dio non ha cittadinanza né tra le religioni, né tra gli uomini. Il nostro è un no convinto al terrorismo, che nei mesi scorsi ha ferito troppe terre e ucciso troppi innocenti, nel Nord e nel Sud del mondo”.

I firmatari dell’appello si impegnano “a lavorare per rimuovere le cause all’origine di molti conflitti: l’avidità di potere e denaro, il commercio delle armi, il fanatismo, il nazionalismo. Dopo la fine della guerra fredda, per la prima volta si riaffaccia in modo inquietante, dall’estremo oriente, il rischio di un conflitto nucleare. Che cosa possono fare i credenti? Forse più di quanto essi stessi sperano e immaginano”.

E la prima azione per prevenire i conflitti risiede nella forza della preghiera, come è accaduto ‘stasera dai diversi luoghi di questa città e in questa piazza; una grande preghiera per la pace’: “C’è grande attesa nei nostri confronti. Viene dagli umili e dai poveri della terra. E’ una grande responsabilità: non possiamo far prevalere la rassegnazione o, peggio, l’indifferenza. Lo abbiamo detto l’anno scorso ad Assisi, nel trentesimo anniversario della prima Preghiera per la Pace voluta da Giovanni Paolo II, che la Comunità di Sant’Egidio ha invitato a ripetere ogni anno: la pace è il nome di Dio”.

Nella cerimonia finale il vescovo cattolico della città, dove il 25 Ottobre 1648 a Osnabruck, insieme a Munster, si annunciava la ‘pace di Vestfalia’ dopo 30 anni di violenti scontri, mons. Franz-Josef Bode, ha ringraziato i partecipanti per ‘questi giorni’, chiedendo di ‘diventare artigiani di pace’: “Nel nostro mondo scosso da violenza, terrore e discordia, in un tempo in cui si abusa della religione per giustificare omicidi e attentati, ci raccogliamo di nuovo qui, in questo luogo di pace a Osnabruck. Persone da tutto il mondo sono venute nella speranza e nella fede nella sempre più grande potenza del bene, nella fiducia nella sempre più grande potenza di un Dio che vuole la pace”.

Anche il vescovo evangelico della città, Markus Droge, ha chiesto di trasformare ‘le spade in vomeri’: “Dobbiamo forse allora arrenderci al fatto che non ci potrà mai essere una pacifica comunità globale nel nostro mondo? No, perché già oggi viviamo qualcosa di nuovo!.. Allora noi tutti, credenti in Dio, dobbiamo di nuovo disegnare davanti agli occhi del mondo le grandi visioni di pace. Allora dobbiamo riscoprire il grande potenziale pacifico della religione che confessiamo e individuare, snidare e superare, con la forza dello spirito, l’estremismo, il fondamentalismo e la legittimazione della violenza.

Torniamo a Dio e apprendiamo da Lui la vera pace! Dobbiamo imparare a formulare un’etica della pace con cui tutti i popoli e le persone di ogni religione e cultura possano imparare a costruire la pace!” Il card. Walter Kasper, presidente emerito del Pontificio Consiglio per l’Unità dei Cristiani, ha chiesto di amare con le ‘armi di Dio’:

“Non verrà indetta alcuna nuova crociata, una spirale di violenza e intimidazione non verrà interrotta dalla violenza. In estremi casi di emergenza, esauriti tutti gli altri mezzi, può essere l’ultima ratio, e lo stato secolare deve saper rispondere a queste situazioni estreme, nel limite delle sue forze. Ma non si deve invocare la retorica del martirio. E al contrario per noi cristiani esiste solo la spada dello spirito, la Parola di Dio.

Ogni cristiano con il battesimo viene inserito in questa lotta spirituale. Con il battesimo abbiamo rinunciato al maligno. Il concetto dell’essere soldati di Cristo ricorre frequentemente, sia nella Bibbia che nei Padri della Chiesa, ma noi lo abbiamo edulcorato con un cristianesimo troppo borghese. Bisogna riarmarsi”.

Ed ha indicato tre armi per far vincere la pace, che non possono essere disgiunte tra loro, verità, giustizia (la pace è opera della giustizia, come affermava Isaia) e preghiera: “Pregate incessantemente! Siamo chiamati ad una preghiera d’assalto. La preghiera è la forza più potente del mondo, sicuramente più efficace delle prediche domenicali, fossero pure al Kirchentag o al Katholikentag. Oltre all’essere saldi e al resistere si aggiunge l’intercessione degli uni per gli altri. Dio solo tiene in mano le fila degli eventi del mondo. Lui solo ha accesso ai cuori.

Lui può suscitare pensieri di pace. Ascolta le grida dei nostri fratelli e sorelle che sono nella persecuzione e nell’angustia. E nemmeno noi possiamo dimenticarli. Non possiamo far cadere un silenzio mortale sulle persecuzioni dei cristiani. Questa preghiera ci riunisce qui e se Dio vuole non solo qui ed ora”.

Il metropolita ortodosso di Romania, Seraphim, ha citato il teologo Olivier Clement per spiegare che la pace si ottiene con l’ascesi: “Dal capitolo 25 del Vangelo secondo Matteo sappiamo che la misura secondo la quale saremo giudicati nel giudizio finale sarà proprio questo servizio ai prossimi, nei quali Cristo si identifica.

Tuttavia non possiamo avere parte alla vita di Cristo e alla sua missione, se a poco a poco non moriamo al peccato e a noi stessi, se non superiamo il nostro egoismo e non evitiamo di legarci in modo sempre più forte alle seduzioni, ai beni ed alle cose di questo mondo. Per questo motivo la Chiesa Ortodossa pone un accento particolare sull’ascesi. L’ascesi significa l’esercizio del contenimento di sé, nella lotta contro sé stessi, per superare le bramosie della passione, che impediscono l’azione della grazia infusa e nascosta nel nostro cuore fin dal battesimo”.

Nell’intervento finale mons. Butros Marayati, arcivescovo di Aleppo degli Armeni cattolici, ha raccontato il ‘sogno’ della pace dei cittadini di Aleppo e del popolo siriano, che è il ‘sogno di Isaia’: “In questi giorni di dialogo e di preghiera, abbiamo lanciato un grido: ‘mai più la guerra’. E’ il grido che sale dalla mia città, Aleppo, e da tutte le città ferite dalla violenza e dai conflitti. E’ il grido dei bambini, delle donne, dei profughi che attendono la pace… E’ il grido di Dio: ‘Non uccidere, non fate la guerra’.

Perché la guerra è sempre un’inutile strage. Strage di persone umane, della cultura, della civiltà, della natura, dell’ambiente e di tutto il bello che c’è. Distrugge città dalla coabitazione secolare, come la nostra cara e bella Aleppo. Quanto è sporca la guerra! Genera tanti mali, è alla base di tanti interessi, come il commercio delle armi che sono sempre più sofisticate e letali: l’aspetto più infame è che la guerra si fa in nome di Dio…

La guerra non si combatte con la guerra, non si vince con la guerra. La guerra si vince con il dialogo, si vince con il perdono, con la riconciliazione e con la volontà di cominciare una nuova vita camminando su nuove strade di pace”.

Il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, prof. Andrea Riccardi, ha ringraziato i partecipanti ricordando la ‘forza’ della preghiera: “La preghiera forza il limite dell’impossibile: si rivolge a Colui che tutto può. Non si rassegna la preghiera. In essa trovano eco l’espressione di dolore, talvolta l’urlo, di quanti sono coinvolti dalla guerra. Nella preghiera, nel profondo della nostra fede, scopriamo che la pace non è impossibile, perché dono di Dio.

Mai rassegnarsi alla guerra! Mai rassegnarsi al dolore altrui! La pace deve essere sempre possibile. Sempre va cercata. Sarà possibile! Per questo le religioni accendono alla speranza di pace: spingono i credenti a liberarsi dell’indifferenza e ad essere artigiani di pace…

Vogliamo aprire, con la forza debole del dialogo, ma con tanta speranza, nuove strade di pace: in questa Europa, troppo concentrata su di sé e distratta dal mondo; nel cuore dei nostri mondi religiosi; laddove i popoli si combattono; dove domina la violenza; dove si manifesta l’odio. Le religioni sono in profondità vie di pace”.

E la Comunità di Sant’Egidio ha dato appuntamento nel prossimo anno a Bologna.

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