Il card. Zenari racconta la vita siriana

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In Siria si sta verificando ‘una vera e propria strage di innocenti’, ha affermato in chiusura del Meeting dell’amicizia tra i popoli il card. Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, che ha parlato della ‘martoriata popolazione siriana’ e degli ‘interi quartieri e villaggi distrutti’: “Quartieri e villaggi distrutti attendono di essere ricostruiti, ma chi può ricostruire la persona umana ferita nel corpo e nello spirito?”.

Il nunzio apostolico ha descritto i “bambini estratti feriti o morti da sotto le macerie, dilaniati da esplosioni, asfissiati da gas tossici, annegati in mare, trapassati da schegge, mutilati, traumatizzati, abusati sessualmente, arruolati… E’ una Siria stremata da ogni sorta di armi, da quelle medievali della fame e della sete a quelle chimiche con succursali dell’inferno ad Aleppo, Homs, Darayya, Darah, Yarmouk…”.

Nell’incontro il card. Zenari ha raccontato le attività degli ospedali aperti: “In Siria esistono tre ospedali cattolici che operano da più di 100 anni, fondati ai tempi in maniera pionieristica con tanti sacrifici, che hanno sempre lavorato con molto apprezzamento di tutti. Visitandoli un paio di anni fa mi sono accorto che non riescono più a lavorare al 100% delle loro capacità, diversi reparti sono stati chiusi in seguito alle difficoltà causate dalla guerra. La guerra ha colpito tutto e tutti, anche le strutture sanitarie.

Metà degli ospedali in Siria è fuori uso a causa dei combattimenti. Nei pochi che ancora funzionano le file e le liste di attesa sono interminabili e la qualità dei servizi è ovviamente scaduta. Quindi ho detto: apriamo gli ospedali cattolici a tutti quelli che hanno bisogno. Molta gente non ha più lavoro né assistenza sanitaria. Il 75% della popolazione siriana vive nella povertà. Che arrivi Pietro o Mohamed, noi accoglieremo tutti e pagheremo le spese sanitarie. Purtroppo i costi di gestione sono enormi e aumentano sempre di più, l’elettricità e il gasolio da riscaldamento sono aumentati tantissimo. I due terzi del personale sanitario hanno lasciato la Siria, per cui bisognerà reperire nuovi dottori e infermieri, fare corsi di formazione e rinnovare molti macchinari. Speriamo che l’Occidente ci aiuti”.

Da notizie sembra che l’Isis sia in parte sconfitto, ma la guerra è finita?
“La guerra non è ancora finita, durerà mesi e mesi ancora. Secondo l’Osservatorio dei migranti, dall’inizio di quest’anno sono tornate in Siria circa 600.000 persone, ma si tratta di coloro che erano fuggiti in Paesi vicini come la Libia o sulle coste siriane del Mediterraneo. Quelli che sono fuggiti in Europa non tornano, almeno per adesso. Rientrano perché in Libano la vita è cara e in alcuni villaggi la situazione si è fatta meno pericolosa.

Ma è gente senza istruzione, scappata con l’asinello e la valigia sopra la testa, il loro sogno è sempre stato tornare al villaggio anche se le casette sono semidistrutte. Bisogna tener conto che per 600.000 che sono tornati, altri 800.000 quest’anno hanno dovuto lasciare città come Raqqa dove infuriano i combattimenti. Sono profughi interni. La situazione è sempre drammatica”.

Anche Lucia Goracci, inviata di guerra della Rai, ha riportato alcuni dati forniti l’altro giorno da Jan Egeland, assistente dell’inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria, Staffan de Mistura, secondo i quali nel Paese ci sono “11 città sotto assedio (8 dai governativi, 3 dai ribelli), mezzo milione di persone che non hanno aiuti da mesi”. La giornalista ha ricordato che, secondo l’Onu, quella siriana “è la peggiore catastrofe umanitaria dopo il secondo conflitto mondiale, con 500.000 morti, 5.000.000 profughi, 6.000.000 sfollati interni e 1 siriano su 2 che non è più a casa sua”.

La giornalista di RaiNews ha raccontato i muri di Mosul: “I muri esistono. A partire dal 2014 quando ha ripreso Mosul ha alzato numerosi muri. Ci spaventano gli attentati in Europa, ma i morti in Medio Oriente sono incommensurabilmente più numerosi e la sua minaccia era ‘qui restiamo e ci espandiamo’. Fortunatamente non si sta espandendo. Eppoi ci sono i muri settari, tra cui quello più classico in Irak è quello tra sciiti e sunniti, che hanno consentito all’Isis di prosperare. Poi c’è il muro che protegge il governo di Bagdhad, oppure quelli della corruzione, che fa sì che il Paese sia al 166^ posto tra i 176 Paesi. Poi ci sono i muri del sottosviluppo e delle macerie”.

Ed i cristiani?
“I cristiani erano una comunità importante e millenaria a Mosul. Ora le città della piana di Ninive sono state liberate, ma distrutte completamente. Molti hanno ancora paura di ritornare, ma si può assistere alle messe nelle chiese, che non sono state distrutte”.

A conferma delle testimonianze Save the Children ha riportato in un dossier che sono tra i 9.000 e i 12.000 circa i minori intrappolati a Raqqa, dove sono esposti a brutali violenze e a bombardamenti. Dall’avvio dell’operazione ‘Ira dell’Eufrate’, nel novembre 2016, sono sfollate 271.000 persone, il 75% dei quartieri della città risulta abbandonato, solo 6 su 24 sono popolati.

Metà delle persone che li abita è rappresentata da bambini, costretti ad affrontare condizioni durissime: il ricollocamento forzato nelle aree controllate dall’Isis e la carenza di cibo e acqua sono una minaccia costante alla loro sopravvivenza e al loro benessere. La situazione è resa ancora più difficile dagli attacchi aerei, che hanno già causato la morte di numerosi civili: le famiglie sanno di poter perdere la vita a causa di una bomba restando a Raqqa, così come sono consapevoli del rischio di morire tentando la fuga.

I giovanissimi superstiti incontrati da Save the Children, ora nel campo per rifugiati di Ain Issa, a nord di Raqqa, descrivono un livello di violenza inaudito: molti sono stati testimoni ravvicinati di esecuzioni e attacchi aerei. Raccontano di essere stati costretti a restare chiusi in casa per mesi, con la corrente elettrica a disposizione per poche ore al giorno, senza poter giocare né andare a scuola.

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