Il papa prega per la pace a Gerusalemme

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Nell’Angelus di domenica scorsa papa Francesco ha chiesto una preghiera per la pace a Gerusalemme: “Cari fratelli e sorelle, seguo con trepidazione le gravi tensioni e le violenze di questi giorni a Gerusalemme. Sento il bisogno di esprimere un accorato appello alla moderazione e al dialogo. Vi invito ad unirvi a me nella preghiera, affinché il Signore ispiri a tutti propositi di riconciliazione e di pace”.

Infatti nei giorni scorsi tre palestinesi sono stati uccisi negli scontri avvenuti a Gerusalemme est nei pressi della spianata delle moschee, dopo la decisione delle autorità dello Stato ebraico di permettere l’ingresso nel terzo luogo sacro dell’Islam esclusivamente alle persone con più di 50 anni di età. Secondo l’agenzia di stampa palestinese Maan una delle tre vittime è un ragazzo di 17 anni, colpito da un colono israeliano a Gerusalemme Est, nel quartiere a maggioranza araba di Ras Al-Amoud. La seconda vittima è Muhammad Abu Ghannam. Il terzo palestinese ucciso, un altro diciassettenne, si chiamava Mohammed Mahmud ed è stato colpito al petto da un proiettile israeliano nel rione di Abu Dis.

Secondo la Mezzaluna Rossa, i feriti sono almeno 193, sia a Gerusalemme sia in Cisgiordania. Oltre 4 poliziotti, sono 41 i feriti nel centro di Gerusalemme, portati in centri di soccorso medico, in maggioranza perché sono stati colpiti da oggetti, proiettili di gomma e hanno riportato ustioni, mentre altri 31 sono stati curati sul posto.

E nei giorni scorsi i rappresentanti delle Chiese cristiane a Gerusalemme avevano espresso ‘seria preoccupazione’ riguardo alla nuova spirale di tensione e di violenze registrata intorno alla Haram ash Sharif, la Spianata delle Moschee. Con un documento sottoscritto da alti rappresentanti di 13 Chiese, i capi cristiani di Gerusalemme hanno condannato ogni atto di violenza ed espresso timore ‘per ogni variazione dello Status Quo’:

“Ogni minaccia alla continuità dello Status Quo può portare a conseguenze gravi e imprevedibili, che dovrebbero essere le meno auspicabili nel presente clima di tensione religiosa”. I Capi cristiani hanno manifestano apprezzamento per la “permanente custodia della Moschea di al Aqsa e dei Luoghi santi di Gerusalemme e della Terra Santa dal parte del Regno hascemita di Giordania, che garantisce a tutti i musulmani il diritto di accedere liberamente di praticare liberamente il proprio culto nella Moschea di al Aqsa, secondo il vigente Status Quo”.

Padre Ioan Sauca, vice segretario del Consiglio ecumenico delle chiese e direttore dell’Istituto ecumenico di Bossey, ha invitato le chiese a riunirsi in preghiera per una soluzione pacifica e giusta della questione Gerusalemme: “Mantenere la situazione creata con difficoltà negli anni è una priorità. Bisogna sostenere uguali diritti per i cristiani, gli ebrei e i musulmani che vogliono accedere a questi luoghi sacri.

Ciò è di vitale importanza per mantenere la pace e scoraggiare la violenza. La negazione dell’accesso all’area per migliaia di persone, che giungono magari da molto lontano per poter pregare qui, non è solo una violazione dei diritti individuali di quelle persone, ma è anche un atto corrosivo e potenzialmente esplosivo in mezzo a una pace già fragile”.

Contemporaneamente anche la situazione a Gaza è diventata preoccupante, tantochè oltre 350 firme individuali e 60 di associazioni e reti del mondo hanno sottoscritto l’appello per una campagna internazionale ‘Gaza deve vivere, perché viva la Palestina’, lanciato da tre associazioni che da anni, in settori diversi (sanità, ricerca, cultura), sono impegnate e lavorano in solidarietà con la popolazione di Gaza, perché sia riconosciuto il suo diritto di vivere: tra i firmatari anche quella del saggista americano Noam Chomsky, di Nurit Peled-El Hanan, insignita del premio Sakharov, e del premio Nobel per la pace, Mairead Corrigan Maguire.

Nell’appello è sottolineata la catastrofe prodotta dall’uomo: “Non si tratta di una catastrofe naturale, ma prodotta dall’uomo. Il lento strangolamento di Gaza mette in luce non solo il sacrificio di quella popolazione civile, ma anche le nozioni di autonomia, libertà, in quanto diritti universali e la sopravvivenza stessa della Palestina…

Si contano ormai centinaia di morti per mancanza di medicine, di cure come radioterapia e chemioterapia, per mancanza di strumenti per la diagnostica e la cura, e aumenteranno inevitabilmente per l’inquinamento ambientale, la povertà e la conseguente malnutrizione dei settori più fragili della popolazione, in particolare i bambini. La carenza di elettricità, carburante, la mancanza di fognature e di acqua potabile è insostenibile e insopportabile, e incide sulla salute pubblica. Il crollo delle attività produttive e commerciali causa oltre il 40% di disoccupazione, con la conseguente disperazione di una popolazione per lo più giovane”.

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