La diocesi di Mantova apre le porte all’accoglienza

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In occasione della Giornata mondiale del Rifugiato, promossa dalle Nazioni Unite e celebrata lo scorso 20 giugno, papa Francesco ha parlato dei fenomeni migratori: “L’attenzione concreta va a donne, uomini, bambini in fuga da conflitti, violenze e persecuzioni. Le loro storie di dolore e speranza possono diventare opportunità di incontro fraterno e vera conoscenza reciproca. L’incontro personale con i rifugiati dissipa paure e ideologie distorte e diventa fattore di crescita in umanità”. Nel messaggio il papa aveva invitato a ‘fare spazio a sentimenti di apertura e alla costruzione di ponti’.

Proprio in questa direzione si inserisce il lavoro promosso negli ultimi anni dagli uffici dell’area carità e missioni della diocesi di Mantova, che si è concretizzato attraverso varie opere di assistenza realizzate nel tempo e riassunte nel volume ‘Noi apriamo le porte: l’accoglienza dei migranti e dei rifugiati nella diocesi di Mantova, come si legge nell’introduzione: “I processi migratori in corso costituiscono un fenomeno strutturale e più che mai duraturo. Di questo dobbiamo prendere coscienza, anziché asserragliarci nelle presunte sicurezze delle nostre comunità. O si comprende che il richiudersi rappresenta un pericoloso boomerang, oppure il fenomeno ci travolgerà”.

Il vescovo della diocesi, mons. Marco Busca, nella presentazione ha sottolineato il valore dell’ ‘insiemità’: “Io sono di Cristo: sono nel suo corpo che è un intero. Anche voi, prima di esprimere qualche cosa della vostra identità, etnica, linguistica, e prima di dire ‘io sono un ucraino, io sono un rumeno, io sono un africano, io un italiano…’, no, prima dovete dire ‘io sono un cristiano, e io sono di Cristo’; dopo, semmai, ‘io sono un cristiano ucraino, io sono un cristiano rumeno, un cristiano africano, un cristiano italiano…’.

E tutti assieme siamo il Cristo intero. Non a pezzetti, non nel particolare. Il particolare è dato per creare l’insieme. Quando ci troviamo dentro la Casa del Padre, quello che prevale non è l’appartenenza a un certo gruppo nazionale o etnico (io sono africano, io sono europeo, io sono latino-americano…). Piuttosto, prevale il fatto che ‘Io sono di Cristo’. E Cristo non è affatto diviso… Unicamente innieme realizziamo il volto integro di Gesù Cristo. E ogni singola Chiesa particolare rappresenta solo una tessera del grande mosaico che è l’unica Chiesa Cattolica”.

Il sussidio fornisce alcuni dati importanti riguardanti l’immigrazione: “Nel 2014 la mobilità umana è cresciuta e ha coinvolto 250.000.000 persone: solo 5.000.000 ‘toccano’ l’Italia. Si tratta di una mobilità la cui direzione è sempre di più Sud verso Sud, non più Sud-Nord, perché il Sud comunque sta crescendo, basta pensare a Brasile, Sudafrica, India… Questi mercati coprono ormai il 50%. Mentre prima ci si attestava intorno a un 70-80% di scambi con il Nord del pianeta, ora si è arrivati al 50% tra Sud e Sud.

Quindi anche il sistema economico globale non ci garantirà per sempre una vita come quella che stiamo conducendo adesso. In tutta l’Europa, nel 2016 si sono registrati 387.000 ‘richiedenti asilo’. Di questi… 181.000 in Italia. E alla Lombardia, una realtà notoriamente non proprio favorevole a questa tematica, ne sono stati assegnati 23.000 (circa il 13% dei ‘richiedenti asilo’ su scala nazionale), oggi distribuiti nelle diverse aree provinciali”.

Il sussidio rappresenta un’ideale linea di demarcazione tra la mentalità del passato e la strada del futuro, che passa per un profondo cambiamento culturale da intraprendere al più presto: “Serve un percorso totalmente nuovo: difficile, complicato, ma ineluttabile. La Chiesa, anche a Mantova, ha scelto di mettere in campo tutti i suoi valori fondanti, per implementare e diffondere una maggiore consapevolezza. L’unica risposta fattibile si chiama accoglienza. Altrimenti i problemi si moltiplicheranno”.

Ed il volume ha ricordato le geniali intuizioni di mons. Giovanni Battista Scalabrini: “Nel giugno del 1887, tra le osservazioni raccolte nel testo intitolato ‘L’emigrazione italiana in America’, il vescovo Giovanni Battista Scalabrini scrisse: ‘La Santa Chiesa di Gesù Cristo, piena di Spirito, che ha spinto gli operai evangelici fra le genti più barbare e nelle contrade più inospiti, no, non ha dimenticato e non dimenticherà mai la missione, che le venne da Dio affidata, di evangelizzare i figli della miseria e del lavoro.

Essa, con un trepido cuore, guarderà sempre a tante anime poverelle che, in un forzato isolamento, vanno smarrendo la fede dei loro padri e, con la fede, ogni sentimento di cristiana e civile educazione. Sì, o signori, dov’è il popolo che lavora e che soffre, ivi è la Chiesa, perché la Chiesa è la madre, l’amica, la protettrice del popolo, e per esso avrà sempre una parola di conforto, un sorriso, una benedizione…’.

Non molti mesi più tardi mons. Scalabrini fondò la Congregazione dei Missionari di San Carlo Borromeo, dedita alla cura degli italiani emigrati, alla quale affidò il compito di continuare l’opera di Cristo: il soccorso verso l’umanità più afflitta. E nel 1905, poco tempo prima di morire, propose alla Santa Sede di costituire una Commissione centrale per gli emigrati cattolici, che viene considerata il precursore dell’attuale ‘Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti’.

Fu un uomo capace di esercitare un notevole influsso, nel sollecitare la Chiesa ad aprire e a rinnovare la propria attenzione nei confronti del tema dei migranti, perché aveva intuito che intorno alle vicissitudini di questi ultimi giravano svariati interessi economici e dietro le loro spalle si costruivano e ‘fiorivano’ molteplici affari”.

E dopo aver illustrato l’accoglienza della chiesa mantovana il dossier si chiude con una prospettiva sul futuro, tracciata da Adelelmo Lodi Rizzini, responsabile dell’Osservatorio diocesano delle Povertà: “Si tratta di un lavoro paziente e indefesso, che si realizza solo puntando sugli accordi da stipulare con i Governi dei Paesi di origine.

Programmazione e accordi su scala internazionale devono trovare il loro bilanciamento in una nuova solidarietà interna da perseguire nei Paesi avanzati, in un momento in cui invece le disuguaglianze sociali si mostrano in aumento anche lì. Serve una lucida svolta civile e culturale, basata sulla convinta speranza che accogliere e aiutare è necessario per far crescere pure le nostre economie in difficoltà: la solidarietà gestita bene crea sviluppo per tutti.

Non può non essere così. Altrimenti prepariamoci al peggio. Per riassestare l’economia e le strutture sociali dopo le invasioni barbariche, servirono cinque secoli! Molti economisti sono oggi inclini a prefigurare una situazione di stagnazione di durata altrettanto secolare”.

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