Bartali vince ancora: il ricordo dei ciclisti

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La prima squadra professionistica israeliana di ciclismo, la Israel Cycling Academy, sabato 16 maggio (vigilia della tappa del Giro d’Italia con partenza da Ponte a Ema, la città natale di Bartali, che Israele ha voluto riconoscere ‘Giusto tra le Nazioni’ dal 2013), ha reso omaggio alla memoria di Gino Bartali ripercorrendo la tratta affrontata da ‘Ginettaccio’, sotto il nazifascismo, per aiutare gli ebrei perseguitati: da Firenze ad Assisi, 195 chilometri in tutto.

A guidare gli atleti israeliani il team manager Ran Margaliot, che ha fortemente ha voluto questa iniziativa: “Mio nonno è stato uno dei primissimi ricercatori dello Yad Vashem, il Memoriale della Shoah di Gerusalemme. Da lui ho appreso che non bisogna dimenticare i torti subiti, ma al tempo stesso che bisogna dare evidenza alle azioni meritorie”.

Nel libro ‘Gino Bartali ed i Giusti toscani’, Alfredo De Girolami così ha raccontato l’impresa di salvare gli ebrei dalla cattura dei nazifascisti: “Squillò il telefono. Il cardinale Elia Dalla Costa non fece tanti discorsi, perché il telefono era sotto controllo. La sua era una convocazione urgente. Era già sera in quella fine del 1943.

Gino Bartali montò in sella alla sua bicicletta e si precipitò in piazza San Giovanni, all’Arcivescovado. Firenze era allora terra desolata: Mussolini era tornato al potere in mezza penisola e l’Italia era divisa. (…) Bartali suonò al portone. Gli aprì Giacomo Meneghello, segretario particolare di Dalla Costa che si affrettò ad accompagnarlo di sopra. Elia Dalla Costa era seduto nel suo ufficio e appena Bartali entrò dalla porta si alzò e andò a salutarlo.

Congedato Meneghello fece accomodare il campione della bicicletta e iniziò a raccontargli il perché di quella chiamata. Il mese di novembre del 1943 fu terribile per gli ebrei fiorentini. Agli inizi del mese le SS e i fascisti arrestarono numerosi ebrei non italiani, e alla fine del mese ci fu una retata in grande stile, in cui i nazifascisti fecero irruzione anche in un palazzo della Curia, arrestando pure membri del Delasem, alcuni sacerdoti fedeli di Dalla Costa e il rabbino di Firenze Nathan Cassuto…

La prima volta Gino partì da casa di prima mattina, dicendo alla moglie che andava ad allenarsi per qualche giorno. Arrivò in centro a Firenze, nel luogo concordato con il cardinale Dalla Costa e un prete gli consegnò un fascio di fotografie. Gino le arrotolò strette strette e le infilò nel tubo posteriore della bici, dove poi rimise il manico del sellino, stringendo il bullone.

Ci furono molte altre ‘gite’ o ‘allenamenti’ di questo tipo nelle settimane successive. Ogni volta, in luoghi sempre diversi, si incontrava con qualcuno che gli consegnava un fascio di fotografie e ogni volta lui le riponeva nello stesso tubo della sua bicicletta”.

Per questi episodi Bartali nel 2013 fu riconosciuto dallo Yad Vashem ‘Giusto tra le nazioni’ per aver strappato alla morte gli ebrei perseguitati dal regime nazifascista. Infatti Bartali percorse in bicicletta la tratta Firenze-Assisi e ritorno nel capoluogo toscano tra l’ottobre del 1943 e il giugno 1944 almeno ‘una quarantina di volte’ per trarre in salvo gli ebrei in clandestinità.

Una tappa temeraria, di ‘trecentottanta chilometri’ percorsi a perdifiato in una sola giornata per consegnare nella città di san Francesco documenti di vitale importanza per gli ebrei tenuti nascosti da padre Rufino Niccacci. Nota era la fede di Bartali, la precoce entrata nelle file dell’Azione Cattolica, l’appartenenza ai terziari carmelitani, il legame stretto con papa Pio XII e i contatti tenuti con Alcide De Gasperi e Giorgio La Pira.

Per molti anni queste ‘imprese’ furono tenute nascoste per riservatezza del campione come ha raccontato egli stesso al figlio Andrea: “Certe cose si fanno e basta. Io voglio essere ricordato per le mie imprese sportive e non come un eroe di guerra… Io mi sono limitato a fare ciò che sapevo fare meglio. Andare in bicicletta”.

Era un uomo di grandissima fede: anche Yad Vashem, nella descrizione che dà della sua opera, mette in luce come primo aspetto che era ‘cattolico devoto’, come lo descrive ancora una volta il figlio: “Era legatissimo a Santa Teresa del Bambin Gesù, anche lei carmelitana: quando anni dopo costruì la nostra casa si fece edificare all’interno una piccola cappellina dedicata a lei.

Il cardinale Dalla Costa gli diede la possibilità di avere un altare consacrato per dire le messe: quando andava in chiesa, talvolta capitava che i fedeli erano più attenti a lui che al rito, e la cosa non gli piaceva. Allora rimaneva nella cappella: si metteva lì a dire le preghiere e ogni tanto ci faceva dire le messe”. Allora non resta che canticchiare la canzone che Giorgio Conte gli ha dedicato: “Oh, quanta strada nei miei sandali, quanta ne avrà fatta Bartali, quel naso triste come una salita…”

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