Antonio Papisca: un ricercatore della pace

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Nei giorni scorsi è deceduto il prof. Antonio Papisca, docente emerito di Relazioni internazionali all’Università di Padova e impegnato sul fronte dei diritti umani, all’età di 80 anni. Papisca era stato preside di facoltà a Scienze politiche dal 1980 al 1983 e fondatore nel 1982 del Centro di studi e di formazione sui diritti della persona e dei popoli.

Da giovane ho avuto molte occasione di sentirlo, partecipando ai convegni di Mani Tese oppure alla Marcia Perugia-Assisi. Nel 2002 prese parte all’atto fondativo dell’Istituto di Diritto internazionale per la pace ‘Giuseppe Toniolo’, costituito proprio per volontà dell’Azione cattolica italiana e partecipò al primo Consiglio Scientifico dell’Istituto, come ha spiegato Francesco Campagna, primo direttore dell’Istituto: “Seppe coniugare le sue spinte coraggiose e innovative sul tema della pace con i diritti umani. In qualche modo, riempì di senso la parola ‘pace’ costruendole attorno l’interesse verso i diritti dei popoli”.

Grazie a lui molte intuizioni del popolo della pace hanno assunto la forma di un pensiero politico, giuridico e istituzionale. Con Ernesto Balducci, nel 1991, lancia a Perugia la campagna per l’inserimento dell’articolo ‘pace-diritti umani’ negli statuti degli Enti locali e delle regioni italiane. Fu un grande sostenitore dell’Onu dei popoli.

Nel 1982 promuove il conferimento della laurea honoris causa dell’Università di Padova ad Altiero Spinelli, ma non fa mancare l’impegno personale di ‘formatore’ quando nel 1987, per volontà dell’allora abate Giurisato e su ispirazione del card. Martini e di Giuseppe Lazzati, dette vita a un’esperienza interessante con l’ ‘Associazione Gaudium et Spes’, costituita presso l’Abbazia benedettina di Praglia.

Il prof. Papisca si è formato nelle fila dell’Azione cattolica. Delegato nazionale studenti della Giac e poi segretario generale della Fédération Internationale de la Jeunesse Catholique (Fijc) dal 1959 al 1966. E’ stato collaboratore di Mani Tese, dei Beati costruttori di pace di don Tonino Bello e di don Albino Bizzotto, aveva stretto rapporti di amicizia con figure profetiche importanti di quegli anni, come dom Helder Camera e l’Abbé Pierre.

In un convegno svoltosi a Padova nel 1997 aveva analizzato le ragioni della Guerra nel Golfo: “La guerra del Golfo è avvenuta nel momento in cui, crollati i muri e finita la contrapposizione ideologica e militare dei blocchi dell’Est e dell’Ovest, alta e diffusa era l’aspettativa dell’opinione pubblica in ordine al rilancio e al potenziamento del ruolo delle Nazioni Unite in materia di sicurezza e di pace internazionali…

Ai sensi della Carta delle Nazioni Unite gli stati possono ricorrere, in via d’eccezione, a misure di ‘autotutela individuale e collettiva’, quale risposta immediata ad una aggressione armata in atto ‘fintantoché il Consiglio di sicurezza non abbia preso le misure necessarie per mantenere la pace e la sicurezza internazionale’ (art. 51).

Dunque, per il vigente ordinamento giuridico internazionale, l’autotutela armata, oltre che successiva, temporanea e proporzionata, è legittimata soltanto fino a quando il Consiglio di sicurezza non abbia avuto il tempo di attivarsi in prima persona com’è, d’altronde, suo preciso obbligo istituzionale.

Il sistema di sicurezza collettiva delle Nazioni Unite è concepito in riferimento al principio di ‘autorità sopranazionale’ delle stesse Nazioni Unite e comporta che gli stati adempiano all’obbligo giuridico, stabilito dall’art. 43 della Carta, di devolvere in via permanente all’ONU parte delle forze armate nazionali”.

Quindi ha affrontato il tema dell’invasione dei confini e dell’intervento italiano: “Dal punto di vista della vigente legalità, il respingimento armato delle truppe di Saddam Hussein al di là dei confini del Kuwait avrebbe dovuto avvenire soltanto ad opera di una forza armata sotto comando diretto delle Nazioni Unite, per il perseguimento degli obiettivi consentiti alle Nazioni Unite che, giova ribadirlo, non possono essere di guerra (distruzione di territorio e di popolazione, il ‘nemico indistinto’ da ‘debellare’), ma esclusivamente di polizia militare internazionale (cioè azione contro il ‘criminale’ individuato in determinate persone e gruppi).

Il Parlamento italiano autorizzò la partecipazione armata dell’Italia alla coalizione comandata dagli USA nell’assunto che si trattasse di ‘azione di polizia delle Nazione Unite’. Invece fu guerra, non gestita dalle Nazioni Unite e senza, per parte italiana, la ‘dichiarazione di guerra’ prescritta dall’art. 78 della Costituzione…

Tutti ricordiamo il clima belligeno, angosciante, violento instauratosi nel paese con l’ausilio dei mass-media, in particolare della televisione: ci fu una vera e propria propaganda di guerra, nonostante l’esplicito divieto del citato art. 20 del Covenant internazionale sui diritti civili e politici. Nei dibattiti televisivi non fu consentita, come da molti richiesto, l’interpretazione puntuale della Carta delle Nazioni Unite e dei pertinenti articoli della Costituzione italiana, in particolare degli artt. 11 e 78.

Si attentò flagrantemente alla salute mentale e alla coscienza dei bambini e dei giovani e, più in generale, alla morale pubblica. Giova ricordare che Giovanni Paolo II insorse contro questa illegalità, gridando, con esteso seguito popolare, che la guerra è ‘avventura senza ritorno’. Negli anni successivi al 1991, il movimento per la pace italiano ha continuato nell’impegno teso a elucidare la Carta delle Nazioni Unite e le convenzioni internazionali sui diritti umani e a diffonderne i valori e i principi.

A dimostrazione di questo importante impegno civile, giuridico e politico di società civile, sta la grande mobilitazione popolare del 1995 – 50° anniversario delle Nazioni Unite – culminata nella marcia della pace Perugia-Assisi all’insegna di ‘Noi popoli delle Nazioni Unite’ (24 settembre 1995).

In questa occasione sono state avanzate al governo italiano puntuali proposte per il potenziamento e la democratizzazione delle Nazioni Unite. Si è in particolare chiesto che l’Italia adempia a quanto previsto dall’art. 43 e devolva quindi all’ONU una parte delle proprie forze armate perché siano definitivamente riconvertite in forze di polizia militare delle Nazioni Unite”.

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