La via crucis con le donne

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A conclusione della Via Crucis al Colosseo papa Francesco ha recitato la preghiera in cui ha chiesto la liberazione di chi è costretto a portare la croce: “Tanta vergogna Signore ma il nostro cuore è nostalgioso anche della speranza fiduciosa che tu non ci tratti secondo i nostri meriti ma unicamente secondo l’abbondanza della tua Misericordia; che i nostri tradimenti non fanno venir meno l’immensità del tuo amore; che il tuo cuore, materno e paterno, non ci dimentica per la durezza delle nostre viscere;

La speranza sicura che i nostri nomi sono incisi nel tuo cuore e che siamo collocati nella pupilla dei tuoi occhi; La speranza che la tua Croce trasforma i nostri cuori induriti in cuore di carne capaci di sognare, di perdonare e di amare; trasforma questa notte tenebrosa della tua croce in alba folgorante della tua Risurrezione; La speranza che la tua fedeltà non si basa sulla nostra…

O Signore Gesù, Figlio di Dio, vittima innocente del nostro riscatto, dinanzi al tuo vessillo regale, al tuo mistero di morte e di gloria, dinanzi al tuo patibolo, ci inginocchiamo, invergognati e speranzosi, e ti chiediamo di lavarci nel lavacro del sangue e dell’acqua che uscirono dal tuo Cuore squarciato; di perdonare i nostri peccati e le nostre colpe; Ti chiediamo di ricordarti dei nostri fratelli stroncati dalla violenza, dall’indifferenza e dalla guerra;

Ti chiediamo di spezzare le catene che ci tengono prigionieri nel nostro egoismo, nella nostra cecità volontaria e nella vanità dei nostri calcoli mondani. O Cristo, ti chiediamo di insegnarci a non vergognarci mai della tua Croce, a non strumentalizzarla ma di onorarla e di adorarla, perché con essa Tu ci hai manifestato la mostruosità dei nostri peccati, la grandezza del tuo amore, l’ingiustizia dei nostri giudizi e la potenza della tua misericordia”.

Papa Francesco ha presiduto al Colosseo la Via Crucis, le cui meditazioni sono state affidate per la prima volta ad una donna, la biblista francese Anne-Marie Pelletier, impegnata da molti anni nella ‘battaglia culturale’ per far riconoscere il posto delle donne nella Chiesa.

Le stazioni rispecchiano i momenti che l’autrice ha ritenuto più significativi nel cammino di Gesù verso il Golgota: il rinnegamento di Pietro, la sofferenza di Cristo dove oggi si riconoscono uomini, donne e persino ‘bambini violentati, umiliati, torturati, assassinati’, il silenzio del sabato. Una Via crucis improntata sull’umiltà, sul riconoscimento dei nostri limiti umani, della nostra abitudine a ‘discolparci e accusare gli altri’.

Nelle citazioni trovano spazio due autori come l’ortodosso Yannaras e il protestante Bonhoeffer, ma è alle donne che lascia il compito più alto, quello che l’ebrea Etty Hillesum ha descritto: ‘Ci sono lacrime da consolare sul volto di Dio, quando piange sulla miseria dei suoi figli’, offrendosi di asciugarle, in una ‘audacia così femminile e così divina’ che apre la porta a un rapporto nuovo con Dio, molto vicino a quello che ci indicava Gesù.

Nell’introduzione alla Via Crucis la biblista francese ha scritto: “L’Ora è dunque giunta. Il cammino di Gesù sulle strade polverose della Galilea e della Giudea, incontro ai corpi e ai cuori sofferenti, spinto dall’urgenza di annunciare il Regno, questo cammino si ferma qui, oggi. Sulla collina del Golgota. Oggi la croce sbarra la strada. Gesù non andrà più lontano.

Impossibile andare più lontano! L’amore di Dio riceve qui la sua piena misura, senza misura. Oggi l’amore del Padre, che vuole che, attraverso il Figlio, tutti gli uomini siano salvati, va fino alla fine, là dove noi non abbiamo più parole, dove siamo disorientati, dove la nostra religiosità è oltrepassata dall’eccesso dei pensieri di Dio. Sul Golgota, infatti, contro tutte le apparenze, è questione di vita. E di grazia. E di pace. Si tratta non del regno del male che noi conosciamo fin troppo, ma della vittoria dell’amore.

E, proprio sotto la stessa croce, si tratta del nostro mondo, con tutte le sue cadute e i suoi dolori, i suoi appelli e le sue rivolte, tutto ciò che grida verso Dio, oggi, dalle terre di miseria o di guerra, nelle famiglie lacerate, nelle prigioni, sulle imbarcazioni sovraccariche di migranti… Tante lacrime, tanta miseria nel calice che il Figlio beve per noi.

Tante lacrime, tanta miseria che non vanno perdute nell’oceano del tempo, ma sono raccolte da lui, per essere trasfigurate nel mistero di un amore in cui il male è inghiottito. E’ della fedeltà invincibile di Dio alla nostra umanità che si tratta sul Golgota. E’ una nascita che là si compie! Dobbiamo avere il coraggio di dire che la gioia del Vangelo è la verità di questo momento!

Se il nostro sguardo non raggiunge questa verità, allora restiamo prigionieri delle reti della sofferenza e della morte. E rendiamo vana per noi la Passione di Cristo”.

Questo inizio ha una sua conclusione logica, che è la vittoria della vita sulla morte: “Le donne se ne sono andate. Colui che avevano accompagnato, camminando tenaci e premurose sulle strade di Galilea, costui non c’è più. Ad esse egli non lascia per compagnia, stasera, che la visione impressa in loro del suo sepolcro e del lenzuolo dove ora riposa. Povero e prezioso ricordo di fervidi giorni svaniti.

Solitudine e silenzio. Del resto, si avvicina shabbat, che invita Israele a cessare il lavoro, come Dio lo cessò quando la creazione fu completata, portata a compimento sotto la sua benedizione. E’ di un altro compimento che oggi si tratta; per ora nascosto e impenetrabile. Shabbat in cui restare oggi immobili, nel raccoglimento del cuore e della memoria velata di lacrime. Preparando anche i profumi e gli aromi con cui esse renderanno il loro ultimo omaggio al suo corpo, domani, di buon mattino.

Ma, con quel gesto, si preparano soltanto a imbalsamare la loro speranza? E se Dio avesse preparato alla loro sollecitudine una risposta che esse non possono nemmeno prevedere, immaginare, intuire… La scoperta di una tomba vuota…, l’annuncio che lui non è più lì, perché ha spezzato le porte della morte…”

Alle donne è stata dedicata anche la via crucis, organizzata dall’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII e dal vicariato di Roma per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla piaga della tratta delle donne che vengono schiavizzate ai fini della prostituzione, ‘Per le donne crocifisse’, conclusa dal sostituto della Segreteria di Stato vaticano, mons. Angelo Becciu, che ha chiesto

“perdono alle migliaia di ragazze venute in queste terre definite culla della civiltà, terre del diritto, conosciute persino come terre cristiane, nelle quali, invece, queste sorelle hanno sperimentato sofferenze indicibili: l’abbrutimento della propria vita, l’umiliazione totale delle loro persone, l’affossamento dei sogni di una vita dignitosa, fatta di gioia, amore e serenità.

Sulle strade dell’Italia e di tanti altri paesi, queste donne stanno vivendo un dramma: ogni giorno si ritrovano a subire il tradimento, il rinnegamento, le torture e le violenze. E’ il loro calvario, è la loro via crucis. Noi vogliamo chiedere loro perdono per tutte quelle volte che ci siamo voltati dall’altra parte e non abbiamo fatto nulla o abbiamo fatto poco per far cessare questa tragedia inaccettabile e vergognosa”.

Ma la morte non è parola definitiva sulla vita, perché esiste la certezza della resurrezione: “Al venerdì santo seguirà sempre la Pasqua. Il Figlio di Dio, sul Golgota, soffre anche le nostre angosce per aprirci cammini, forse inattesi, di risurrezione. Dalle piaghe delle sue mani, dei suoi piedi, del suo costato, e sicuramente del suo cuore, si irradia quella luce che tutto cambia in risurrezione.

Questa luce l’hanno colta per prime le donne, le uniche rimaste fedeli, a parte Giovanni, le più esposte, le più capaci di amore, come dimostra il gesto della Veronica che asciuga il volto di Cristo. Proprio a Cristo morto e risorto ci rivolgiamo questa sera affinché faccia sentire il suo amore verso queste giovani donne vittime di tratta, prostituzione coatta e violenza, come anche verso tutte le vittime dell’egoismo umano. In loro vediamo il volto di Gesù sofferente, la loro carne umiliata, ferita, scartata, violata, è la carne del Signore crocefisso”.

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