Torino: la Via Crucis verso la vita

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Sabato 8 aprile presso la Cappella di Sant’Uberto della Reggia di Venaria, è stata inaugurata la Via Crucis dello scultore Luigi Stoisa destinata ad impreziosire la Sacrestia della Cappella: un ulteriore prestigioso corpus artistico che incrementa ulteriormente la presenza di opere d’arte contemporanea alla Venaria Reale.

L’opera, realizzata nel 2013 con 15 formelle in ceramica ed argilla cotta, è accompagnata dalla presenza dei 15 disegni preparatori più altri 3 di grandi dimensioni in carbone, ultimati dall’artista proprio quest’anno, raffiguranti la Crocifissione e la Resurrezione.

Luigi Stoisa è un pittore e scultore torinese e la sua attività artistica ha inizio a partire dalla fine degli anni ’70 quando ancora era studente all’Accademia di Belle Arti di Torino, dove successivamente ha conseguito il diploma di Pittura. Ha esordito nel 1984 con la sua prima mostra personale da Tucci Russo, a Torre Pellice. La sua ricerca ha inizio negli anni ‘80, l’epoca del post-modernismo.

Da allora tutta la sua poetica è sempre stata legata al mutamento della materia che inesorabile modifica forme e immagini. Al centro della scena è il catrame, presente in molte opere, che si modifica e trasforma i materiali intorno a sé. Nel corso del suo operato ha lavorato spesso alla realizzazione di opere sacre.

In particolare ha eseguito opere all’interno e all’esterno della cappella del Monte Robinet (Coazze – Torino), chiesa di San Rocco (Villaretto – Torino), nuova chiesa di Barisciano (Barisciano – L’Aquila), Santuario di Selvaggio (Giaveno – Torino). Ha inoltre realizzato nel 2015 la Porta Santa per la Cattedrale di San Giovanni di Torino in occasione del Giubileo della Misericordia.

Nell’intervento di presentazione lo storico dell’arte, mons. Timothy Verdon, ha detto che la Parola di Dio è l’unica che può essere ‘visibile’ nell’arte, in quanto “facendosi carne, il Verbo di Dio si è reso visibile. E anche se l’affermazione esplicita che in Gesù Cristo ‘il Verbo si fece carne’ appartiene ad uno solo dei vangeli, in tutti e quattro i testi evangelici il messaggio è così concreto da diventare, nella vita dell’ascoltatore o lettore, presenza quasi ‘incarnata’.

Dalle pagine del Nuovo Testamento emerge soprattutto la figura di Gesù, toccando l’immaginario in un modo vitale ed illuminante, come precisa ancora il quarto vangelo quando afferma che ‘in lui era la vita e la vita era la luce degli uomini’”. Secondo il critico d’arte: “le immagini sacre, pur basandosi sulle parole scritte, infatti evocano quella previa esperienza, aiutando a radicare le fede nella vita vissuta.

Ecco perché, trattando del compito di testimoniare oggi Colui che si rende visibile nei vangeli, Giovanni Paolo II rammentava anche l’ ‘immagine del Cristo docente, maestosa insieme e familiare, impressionante e rassicurante… disegnata dalla penna degli evangelisti e spesso evocata in seguito dall’iconografia sin dall’età paleocristiana, tanto è seducente’.

Come suggeriscono le parole ‘in seguito’ nel testo del pontefice, questo passaggio da un’immagine letteraria ‘disegnata dagli evangelisti’ ad immagini pittoriche e plastiche ha richiesto tempo, e fu solo nel IV-V secolo che l’arte cristiana riuscì a definire un linguaggio tutto suo, svincolato dal sistema formale dell’arte classica”.

Da parte sua l’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, ha affermato che la mostra offre l’occasione di “approfondire il significato di questo segno che sta al cuore della fede cristiana. La croce era uno strumento di morte molto dolorosa. Gesù ne ha fatto una via di amore, di perdono e di pace che lo ha condotto alla gloria”.

Dal nuovo significato che Dio dà alla croce, l’arcivescovo di Torino ha invitato a “comprendere il vangelo della croce, vera buona notizia per tutti, dalle parole che Gesù pronuncia prima di morire. Le ‘sette parole’ sono il suo testamento che siamo chiamati a vivere per seguirlo sulla stessa via dall’amore più grande che in croce Gesù dona a tutti gli uomini per la loro salvezza”.

Dopo aver esaminato le ‘sette parole’ mons. Nosiglia ha invitato i presente ad attuare nella propria vita queste ‘sette parole’: “Niente è più importante di questo, perché le ‘sette parole’ sono come i gradini che conducono alla salvezza chiunque li sa meditare e fare proprie.

Ciascuno ha le sue vie per farlo, ma è certo che la via crucis resta per tutti la via privilegiata da compiere non solo come pellegrinaggio quaresimale, ma anche la strada di ogni giorno nel tessuto concreto dell’esistenza, nei rapporti familiari e sociali. Scandire la vita sulle ‘sette parole’ di Gesù in croce significa porre le basi del nostro cammino di santità perché qui c’è il traguardo più alto e vero della sequela di Cristo”.

Solo ‘portando la croce’ il cristiano comprende il significato liberante della risurrezione: “Questa speranza certa e vera ci deve dare la forza di lottare ogni giorno per il bene e per non cedere al male in noi e attorno a noi perché crediamo che ciò che a volte ci sembra impossibile non lo è se ci fidiamo del Signore e camminiamo sempre sulle sue vie”.

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