Operazione Calice: perquisizioni “illegali”. È finito l’incubo per la Chiesa belga?

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L’avevano chiamata “Operazione Calice”, e aveva portato persino alla perquisizione nella sede dell’arcidiocesi di Malines-Bruxelles lo scorso anno. Perquisizioni che avevano di fatto bloccato in sede i vescovi della Conferenza Episcopale Belga lì riuniti per la loro assemblea. E che avevano riguardato anche la casa dell’ex primate del Belgio, card. Godfried Daneels, nonché lo scoperchiamento di delle tombe di tre cardinali nell’interno della Cattedrale di Malines (Joseph Suenens, Jozef Ernst Van Roey e Desiré-Félicien-François-Joseph Mercier). Il Vaticano aveva espresso il suo sdegno. Nelle tombe non si era trovato nulla. Le carte della diocesi erano state sequestrate. Circa un mese fa, Wim de Troy, il giudice che era titolare dell’inchiesta, aveva persino scritto una lettera di dimissioni dall’incarico al ministro della Giustizia Stefan de Clerck, che le aveva rifiutate. Se tanto clamore era stato dato alla spettacolare operazione, è quasi passata in secondo piano l’ultima notizia delle telenovela belga: la  Corte d’appello di Bruxelles ha dichiarato illegali le perquisizioni presso la Sede della Conferenza Episcopale Belga e la casa del cardinal Daneels. Non c’era nulla da cercare, ma soprattutto non doveva essere cercato. Le procedure erano state tutte quante violate.

 

Non solo: la sentenza della Corte d’Appello dice tutto ciò che è stato sequestrato in occasione delle perquisizioni dovrà essere restituito ai legittimi proprietari e tutti gli elementi acquisiti con queste azioni di polizia devono essere ritenuti non validi.

 

È un nuovo colpo a favore della Chiesa belga. La Corte d’Appello di Bruxelles aveva già definito “illegali” le perquisizioni che erano avvenute – sempre nell’ambito della stessa indagine – presso i locali della Commissione d’Inchiesta istituita dalla stessa Conferenza Episcopale Belga. Il capo di questa commissione, Peter Andriaenssens, si era dimesso. “Noi siamo serviti da esca”, aveva dichiarato, preoccupato soprattutto per la privacy delle vittime, le cui storie erano racchiuse in circa 500 files. E la sua decisione aveva portato alle dimissioni dell’intera commissione. In molti avevano visto in queste operazioni un modo per attaccare la Chiesa belga, o comunque per sottolineare una mancanza di fiducia nei confronti del lavoro della Commissione.

Anche il Belgio è stato coinvolto nell’ondata di rivelazioni sugli scandali di pedofilia della Chiesa lo scorso anno. Casi come quello dell’ex vescovo di Bruges Vangheluwe, che aveva persino ammesso di aver abusato di due nipoti, avevano avuto grande risalto sui giornali. Anche perché il Belgio aveva già avuto il suo mostro, e quel mostro si chiamava Marc Dutroux, l’uomo che aveva abusato e ucciso in una decina di anni sei ragazze tra gli 8 ai 19 anni.

La commissione indipendente della Chiesa Belga era nata nel 1995, proprio  in seguito allo scandalo Dutroux, per trattare tutti i casi che non cadevano più sotto la giurisdizione civile perché prescritti. La pastorale adottata da decenni era da qualche tempo arrivata alla linea della tolleranza zero. I dossier si erano accumulati, è vero, ma erano piuttosto il segno di una operazione-verità dolorosa ma salutare, che si preoccupa prima di tutto dei più deboli, delle vittime.  Insomma, se erano cominciati a venire alla luce e denunciati dei casi di pedofilia, si doveva proprio al lavoro che aveva fatto la Chiesa

Eppure, quando è partita l’operazione Calice, i giornali belgi si erano schierati quasi tutti in favore dell’operazione e contro la Chiesa che “scomunicava i giudici”. Nella Chiesa si era fatta largo l’ipotesi di una strategia mirata. Tanto che un professore belga aveva fatto notare che il giudice Wim de Troy, che ha ordinato le perquisizioni, ha studiato nell’Università Libera di Bruxelles. “Non credo ai complotti – aveva detto al Tempo – ma quell’università nasce in ambienti massonici, in contrasto con la fondazione dell’Université Catholique de Malines. Se quella è la formazione…”. In realtà, Van Troy aveva studiato all’Università di Lovanio, cattolica. E alcuni fanno notare che più che al giudice massone, il suo profilo corrisponde a quello del giudice-star. Le stesse dimissioni di Van Troy sono state descritte come nate su pressione della Chiesa per contrastare l’operazione verità. E infatti, in una successiva lettera van Troy è tornato sui suoi passi.

A questo punto, è definitivo che le perquisizioni erano illegali. C’è la possibilità però che il caso venga portato di fronte alla Cour de Cassation. Per farlo, però, si dovrà trovare un appiglio legale, dato che la corte non si occupa dei fatti, ma solo del modo in cui viene applicata la legge.

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