Facchini: la centralità dell’uomo e la discontinuità con l’animale

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Leggere un libro dell’antropologo e paleontologo Fiorenzo Facchini, professore emerito di Antropologia dell’Università di Bologna, è sempre un piacere, perché si comprende la lenta evoluzione dell’uomo. Il libro, che da tanto tempo giaceva sul mio comodino, si intitola: ‘Evoluzione. Cinque questioni nel dibattito attuale’, in cui l’antropologo italiano sottolinea che “quando si affronta il tema della evoluzione ciò che riguarda l’uomo assume sempre un particolare interesse.

Ammettere che anche noi abbiamo una storia che ci ha preceduti non come uomini, ma come membri di un raggruppamento animale suscita non di rado qualche difficoltà. Nello stesso tempo riconoscere le origini animali dell’uomo per taluni ha come conseguenza ovvia che siamo animali come gli altri, tanto che c’è una fitta schiera di antropologi, zoologi ed etologi che accentuano la condizione biologica che accomuna l’uomo con gli animali e vogliono mettere in ombra o non riconoscere la specificità umana”.

Il libro indica l’attuale datazione dell’apparizione dell’uomo moderno o Homo sapiens (in Africa circa 150.000 anni fa), sottolineando che “è soprattutto sulle discontinuità che può essere sviluppato il discorso per cogliere l’identità dell’uomo come specie. Esse riguardano essenzialmente il comportamento che manifesta aspetti e interessi che non sono più di ordine biologico. La maggiore discontinuità nel comportamento dell’uomo rispetto all’animale viene ritenuta da molti il linguaggio simbolico”.

Il libro, quindi, sottolinea la discontinuità culturale, che si documenta grazie al “simbolismo di ordine spirituale, svincolati da necessità di ordine biologico, espressioni di una vita sociale più intensa e di interessi extrabiologici, come quelli riferibili alla sfera dell’arte e della religione”. Perciò l’adattamento culturale, oltre a quello biologico è proprio soltanto dell’uomo e indica “la capacità progettuale e innovativa che caratterizza il comportamento umano.

Nel caso dell’uomo la differenza è rappresentata dal fatto che non è un comportamento stereotipo, dettato dal Dna o dall’imprinting o da altri fattori non intenzionali, ma è un comportamento pensato e trasmesso anche per via non parentale, che può anche andare contro l’interesse dell’individuo o della specie. L’uomo ha la capacità di intervenire nei processi di adattamento modificando sia l’ambiente per adattarlo a sé, sia il proprio comportamento per adattarsi all’ambiente.

Di conseguenza l’uomo ha la possibilità di modificare e anche contrastare intenzionalmente la selezione naturale operata dall’ambiente. Ciò rappresenta un caso unico nella natura”. Il professore sottolinea che “è soprattutto sulle discontinuità che può essere sviluppato il discorso per cogliere l’identità dell’uomo come specie. Esse riguardano essenzialmente il comportamento che manifesta aspetti e interessi che non sono più di ordine biologico.

La maggiore discontinuità nel comportamento dell’uomo rispetto all’animale viene ritenuta da molti il linguaggio simbolico. Esso viene ammesso quasi unanimemente in ‘Homo sapiens’ di 100.000 anni fa. Tuttavia vari studiosi propendono a riconoscere forme di linguaggio anche nell’umanità precedente e perfino in ‘Homo habilis’.

Le manifestazioni dell’arte e le pratiche funerarie, ben documentate negli ultimi 100.000 anni, vengono riferite a un simbolismo che è proprio dell’uomo e non dell’animale. In queste manifestazioni si dimostra chiaramente una discontinuità rispetto al mondo animale. Esse non appartengono propriamente alla sfera biologica. La cultura si caratterizza come capacità di progetto e di simbolo, entrambi rivelatori di intelligenza astrattiva, di coscienza e autodeterminazione.

Queste proprietà non sono riconducibili alla sfera biologica e possono essere ritenute di ordine extrabiologico… L’uomo avvertendo la sua interdipendenza con le altre specie ha la possibilità di intervenire nella gestione dell’ambiente in senso più generale favorendo o contrastando la presenza di altre specie.

Di qui le sue responsabilità in ordine all’ecosistema di cui fa parte. Sotto questo profilo la centralità che la teoria darwiniana toglie all’uomo, considerandolo come un evento fortuito, gli viene restituita dalla sua unicità nella responsabilità che ha nella gestione dell’ambiente”.

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