I diritti violati dei migranti

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Nella Giornata Internazionale dei migranti, celebratasi il 18 dicembre, la onlus ‘We World’ ha diffuso il nuovo rapporto di ‘Diritti confinati. Le Lampedusa del Nord: Ventimiglia e Como’, per denunciare la continua e inaccettabile violazione dei diritti umani verso i migranti.

Infatti con la chiusura delle frontiere da parte di Francia e Austria i migranti approdati sulle coste italiane si trovano intrappolati nel territorio italiano, senza possibilità di proseguire il viaggio verso altri paesi europei (come invece avveniva prima). A farne le spese sono soprattutto le città di frontiera, come Ventimiglia e Como, che si trovano a dover gestire i continui flussi di migranti che transitano da quei territori e vi si fermano temporaneamente, aspettando di varcare i confini.

L’Italia è una tappa intermedia di lunghi viaggi alla ricerca di un futuro migliore, lontano da violenze, soprusi, guerre, assenza di diritti e democrazia nei paesi d’origine. Il nuovo report ha evidenziato come gli atteggiamenti restrittivi da parte degli stati europei stanno avendo forti ripercussioni sui migranti stessi e i loro progetti migratori, sui paesi d’approdo come Italia e Grecia, e sulle città di frontiera, in particolare, come Ventimiglia e Como:

“Ventimiglia e Como sono lasciate a sé stesse, senza un sostegno concreto da parte del governo centrale. L’istituzione dei campi di accoglienza della Croce Rossa, uno per città, sono risposte insufficienti e inadeguate, dettate più dall’emergenza del momento. Queste strutture non sono servite a risolvere la questione.

Molti migranti, di cui la metà sono donne, bambini, bambine e adolescenti, nella maggior parte dei casi minori non accompagnati, continuano a stazionare in altri luoghi delle due città, più o meno informali, più o meno pubblici. I centri di prima accoglienza sono poco accoglienti, sovraffollati, con scarsità di servizi igienici. Inadeguati per accogliere, a maggior ragione se si tratta di persone vulnerabili e a rischio, come donne e popolazione under 18”.

A Ventimiglia solo il 9,3% dei migranti assistiti nel progetto ‘Ventimiglia migranti in transito’ ha dichiarato di aver ricevuto informazioni legali allo sbarco. Inoltre, anche quando i migranti sono a conoscenza delle procedure di regolarizzazione e avrebbero diritto alla ‘relocation’, spesso preferiscono rimanere irregolari a causa della lentezza delle procedure burocratiche per ottenere uno status regolare.

In effetti vi è stata la ricollocazione di soli 1.549 migranti dall’Italia (sui 39.600 previsti) e di 5.437 dalla Grecia (su 66.400 previsti): il 4% delle 160.000 relocation programmate. Sul totale dei migranti a Ventimiglia, quasi la metà sono donne (32,7%) e adolescenti (15,9%). E gli/le adolescenti sono quasi tutti minori non accompagnati.

Infine il 24,30% dei migranti in transito a Ventimiglia ha dichiarato di aver subito violenza: in Libia, durante il viaggio sul barcone o in Italia, Grecia e Ungheria. Tra questi le donne sono il 27% e più della metà (67%) ha subito violenza sessuale in Libia. Stime di Save the Children affermano che fino al 13 dicembre su circa 177.190 migranti giunti sulle nostre coste, 27.660 sono minori, di cui almeno 25.225 non accompagnati, più del doppio di quelli arrivati nel 2015.

Secondo i dati sui loro paesi di origine relativi al periodo gennaio-novembre 2016, la maggior proviene da Gambia (13%), Nigeria (12%), Egitto (10%), Guinea (9%) e altri paesi dell’Africa sub-sahariana e occidentale, ma quasi 6.000 provengono invece da Eritrea (3.714, il gruppo più numeroso in assoluto), Somalia (1.535), Etiopia (395), Siria (205) e Palestina (94), e sono, con pochissime eccezioni, fortemente determinati a raggiungere, il più in fretta possibile, altri paesi europei dove si sono già integrati altri familiari o amici.

Per questi minori, che si considerano ‘in transito’, non esiste una risposta adeguata da parte dell’Europa che prevede procedure di riunificazione familiare ove possibile difficoltose e lunghissime, e non prevede la possibilità di accesso per i minori soli al ricollocamento in altri Paesi.

Anche la Comunità di Sant’Egidio ha espresso la sua preoccupazione per come le istituzioni internazionali e i singoli Paesi stanno affrontando un fenomeno generato da guerre, povertà ed emergenze ambientali: “L’Europa, in particolare, continente che, per motivi storici, potrebbe elaborare più di altri un modello che coniuga accoglienza e integrazione, sviluppo economico e tutela dei diritti umani, si trova impantanata da veti reciproci.

Soprattutto, come si è visto anche nel recente consiglio europeo, si tende a scaricare sul problema dei migranti e dei profughi richiedenti asilo, i problemi interni all’Unione e le paure politiche, per lo più elettorali, dei diversi Paesi che ne fanno parte… La Comunità di Sant’Egidio ricorda che esistono altre soluzioni.

I corridoi umanitari, realizzati insieme alle Chiese protestanti italiane, grazie ad un accordo con lo Stato italiano, hanno già permesso di far giungere in Italia 500 profughi siriani dal Libano, in tutta sicurezza per chi arriva, perché salva la sua vita, come anche per chi accoglie, perché offrono regolari controlli e una maggiore integrazione.

Altre 500 persone arriveranno entro la fine del 2017 con questo progetto che è interamente autofinanziato, fatto che rappresenta in sé una denuncia nei confronti di tante risorse sprecate… Occorre guardare a modelli come questo, frutto di una preziosa sinergia tra società civile e istituzioni, preoccuparsi di aiutare i Paesi di origine dei migranti, come alcune nazioni africane, e compiere ogni sforzo possibile per arrestare i conflitti che, insieme ad un gran numero di vittime, provocano al tempo stesso gli enormi flussi di rifugiati a cui assistiamo”.

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