La Dottrina Sociale della Chiesa è in mezzo al popolo

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Nello scorso fine settimana si è svolta a Verona la VI edizione del Festival della Dottrina Sociale della Chiesa, sul tema ‘In mezzo alla gente’, apertasi con un video messaggio di papa Francesco, che ha invitato a stare in mezzo alla gente: “Stare in mezzo alla gente non significa solo essere aperti e incontrare gli altri ma anche lasciarci incontrare.

Siamo noi che abbiamo bisogno di essere guardati, chiamati, toccati, interpellati, siamo noi che abbiamo bisogno degli altri per poter essere resi partecipi di tutto ciò che solo gli altri ci possono dare. La relazione chiede questo scambio tra persone: l’esperienza ci dice che di solito dagli altri riceviamo di più di quanto diamo.

Tra la nostra gente c’è un’autentica ricchezza umana. Sono innumerevoli le storie di solidarietà, di aiuto, di sostegno che si vivono nelle nostre famiglie e nelle nostre comunità. Impressionante è come alcune persone vivono con dignità la ristrettezza economica, il dolore, il lavoro duro, la prova”.

Stare in mezzo alla gente per il papa significa stare nella vita concreta del popolo: “Stare in mezzo alla gente significa anche avvertire che ognuno di noi è parte di un popolo. La vita concreta è possibile perché non è la somma di tante individualità, ma è l’articolazione di tante persone che concorrono alla costituzione del bene comune. Essere insieme ci aiuta a vedere l’insieme. Quando vediamo l’insieme, il nostro sguardo viene arricchito e risulta evidente che i ruoli che ognuno svolge all’interno delle dinamiche sociali non possono mai essere isolati o assolutizzati.

Quando il popolo è separato da chi comanda, quando si fanno scelte in forza del potere e non della condivisione popolare, quando chi comanda è più importante del popolo e le decisioni sono prese da pochi, o sono anonime, o sono dettate sempre da emergenze vere o presunte, allora l’armonia sociale è messa in pericolo con gravi conseguenze per la gente: aumenta la povertà, è messa a repentaglio la pace, comandano i soldi e la gente sta male”.

Riprendendo le parole del papa il prefetto della segreteria per la comunicazione, mons. Dario Eduardo Viganò, ha messo al centro della sua relazione la pervasività dei media nella relazione tra persone: “I media hanno conquistato la nostra esistenza quotidiana, ne sono diventati, in qualche misura, l’architettura portante e la categoria ermeneutica, mentre consegniamo le chiavi dei nostri spazi e del nostro tempo agli strumenti e ai meccanismi digitali.

La loro presenza, certamente, ci mette a disposizione funzioni e opportunità impensabili fino a pochi anni fa, anche se il prezzo da pagare è una modifica sostanziale dei lineamenti del nostro profilo”. Per questo il rischio è quello di essere controllati; ma papa Francesco ha mostrato che si può percorrere un’altra strada, quella delle relazioni umane:

“Papa Francesco traccia un percorso che, se praticato, ci consente di evitare la giungla degli interessi, le paludi della speculazione più cinica e le sabbie mobili del profitto finanziario spregiudicato. L’economia, nella sua logica, prevede certamente un utile, ma questo non può derivare da azioni contro o, addirittura, dall’eliminazione degli altri.

L’economia, come disciplina che nasce per ‘governare la casa comune’, non può essere sottomessa alla logica rigida e impietosa di una finanza votata ai giochi più spericolati che non tengono conto dei più deboli”. Ed ha concluso chiedendo di essere educatori del desiderio:

“In questa prospettiva emerge la necessità di una pedagogia del desiderio e del consumo, con un equilibrio che non nasce da una negazione ma da una apertura alla capacità di sognare. Educare al desiderio significa non spingere alla ricerca spasmodica di oggetti nuovi da consumare, ma indicare traguardi da raggiungere, frontiere da superare, terreni da coltivare, relazioni da costruire.

Desiderare non può essere sinonimo di fame di possesso, bulimia da accumulo, in una pulsione irrefrenabile che si consuma tra ‘usa e getta’. Il desiderio vero, umano, ha nella sua radice la dimensione verticale, il cielo, le stelle, qualcuno che è totalmente ‘Altro’ da me e da tutto ciò che mi circonda”.

Sulla stessa linea anche l’arcivescovo di Monreale, mons. Michele Pennisi, membro del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, ha invitato a gettare semi di speranza: “Il discernimento dei segni dei tempi non è una cosa facile; c’è il rischio dell’omologazione culturale al pensiero unico dominante, c’è il rischio del conformismo alla mentalità del mondo, all’opinione pubblica. C’è il rischio di essere massa di vagabondi senza un pensiero e una libertà personale e non popolo”.

Quindi per essere ‘profeti’ nel mondo occorre saper leggere i segni dei tempi con un ‘realismo ottimista’: “I fatti che accadono intorno a noi e dentro di noi hanno un loro linguaggio. L’avvento del Regno ha le sue concrete manifestazioni nella storia, anche se percepirne i segni non può essere frutto di un intuito umano.

E’ come un granellino di senapa gettato nel campo, quasi invisibile ad occhio nudo; occorrerà quindi del tempo prima che cresca e diventi un arbusto. Occorre quindi la luce dello Spirito e la divina sapienza per avvertirne la presenza e la crescita… Le novità che scaturiscono dall’impegno quotidiano dei cristiani in tutta la pluralità delle sue espressioni scaturiscono dal mettere in comune e in relazione le buone pratiche, l’operatività virtuosa, la creatività, e con questo contribuire a costruire un mondo nuovo che anticipa il Regno di Dio futuro”.

E mons. Nunzio Galantino, segretario generale della Cei, ha sottolineato che le imprese devono esistere per servire, evidenziando che è necessario richiamarsi alla “parola servizio, cioè attenzione ai valori e a tutto ciò che esprime l’uomo. Un servizio che non contraddice il rendimento ma lo arricchisce. Tale servizio contribuisce a superare una logica meramente mercantile.

L’impresa che ‘serve’ fa ben più che produrre servizi: essa valorizza tutto per fare del mondo una casa abitabile per se stessa, per coloro che stano lì e per le generazioni che verranno in un’ottica di ecologia integrata. Profitto e imprenditorialità non possono essere spiegati solo da un punto di vista economico: se non abbiamo in testa un’idea corretta di uomo e di umanità, parlare di ‘impresa di servizio’ ci riuscirà difficile”.

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