NARRARE IL MISTERO IN CANTO Ricordando gli Oratori di Perosi

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L’anno 1897 segna una svolta decisiva nel pellegrinaggio artistico di Perosi. Il Maestro, infatti, inizia a comporre in stile oratoriano a cui da tempo pensava. Nacque così il primo gioiello, la cantata In coena Domini la quale sarà poi completata con altre due parti che costituivano il primo Oratorio: La Passione di Cristo. Così ebbe inizio la fervida e geniale creazione di tutti gli altri Oratori.

La copiosa e svariata opera oratoriale nasce nel lungo periodo di decadenza delle forme musicali, fatta eccezione delle celebri opere teatrali. Si può dire che Perosi, più che riformatore, appare, in certo senso, il rievocatore della grande anima musicale italiana. I suoi oratori, mettendo da parte le discussioni animate e le aspre lotte contro il Maestro, trovarono l’accoglienza delle folle, sia in Europa sia in America. Tra consensi e dissensi, tra gioie e dolori, egli continuò a comporre, con tenacia imperturbata e laboriosità mirabile, sia per il servizio liturgico sia per l’evangelizzazione attraverso i concerti.

La composizione degli oratori, in effetti, rispondeva a un intimo e irresistibile bisogno del suo spirito. Dalla Passione di Cristo al Transitus animae, vibra costantemente un forte sentimento religioso nuovissimo e originalissimo. Gesù Cristo vi è amato ed esaltato, non come astrazione teologica o accademico concertismo con categorie retoriche di dubbio gusto, ma come rivelazione luminosa della vita del credente e come speranza unica che illumina e guida anche il non credente.

Perosi nasce musicista, studia seriamente tutta la musica, ma non come i pigri e gli insufficienti, ma come chi si istruisce negli ambienti qualificati di studio e di lavoro per offrire forti incentivi che sviluppano i carismi ricevuti dall’Alto. Soltanto così Perosi diventa capace di rivelare la sua fede attraverso quell’arte sonora che ri-dice, raccontando in entusiasmo, quel che gli Evangelisti narrano nelle Sante Scritture.

Perosi, come lui stesso afferma, compone le cantate e gli oratori per soddisfare le necessità del suo temperamento incline alla contemplazione mistica, alle riflessioni ultraterrene e alla visione del Mistero. E’ questa la condizione più importante della sua formazione musicale che dona orientamento a tutta la sua produzione sacra. Il suo progetto pastorale-musicale è quello di avvicinare Cristo agli uomini del suo tempo con il linguaggio “visibile” e “udibile” del Logos – Melos: musicare tutta la vita di Cristo nella forma dell’Oratorio.

Un suo amico racconta che il primo impatto con l’Oratorio lo ebbe quando, appena diciassettenne, lesse la partitura del Messia di Handel e ne rimase sconvolto. In seguito, il Jephte di Carissimi e le Passioni di Bach. Nel soggiorno a Ratisbona ebbe sicuramente l’occasione di ascoltare il Christus di Liszt. Oratorio che, al di là della retorica ampollosa, ebbe su Perosi un’influenza non trascurabile, sia per l’arditezza degli accostamenti stilistici sia per l’uso degli interludi strumentali. Anche la concezione oratoriale bachiana, indipendente dall’ammirazione e devozione verso Bach, era, in certo senso, incompatibile con le sue idee e ai suoi concetti strutturali.

Per Perosi la vita di Cristo doveva apparire così com’è raccontata dagli evangelisti, con la continuità della narrazione senza troppi blocchi sonori che spezzettano l’andamento del racconto. Il suo temperamento semplice e privo di ardue complicazioni, lo riconducono così alle pure sorgenti della classica forma oratoriale del Carissimi, anche se ripensata su derivazioni neo-classiche e linguaggi romantici.

Perosi, in effetti, cercava quell’organica sobrietà data dal “raccontar cantando” attraverso il narrare dello storico che precede l’intervento dei personaggi e l’elemento meditativo espresso ora dal coro, ora dai solisti, ora dall’orchestra. Sulle semplici linee evangeliche, i momenti significativi sono alternati da inni, da salmi, da responsori. La struttura formale è articolata dalla narrazione, dall’azione e dalla meditazione contemplativa, in modo che la vita di Cristo, nel suo svolgersi in un insieme connesso e vivo, apparisse in tutto splendore.

Il linguaggio musicale perosiano oscilla sempre tra gli opposti poli della sfera emotiva. Le pagine sono piene, ora di slanci vigorosi, ora di sensuali tensioni mistiche, ora di contemplative emozioni, ora di solennità grandiose. Tutto, però, è sempre costruito in stretto rapporto con le esigenze del testo e la struttura del brano. Su queste coordinate formali e stilistiche, Perosi costruisce il suo edificio sonoro che va dal fascino seducente della calda melodiosità, alla ricca gamma di effetti dinamici e di accenti drammatici.

Si è scritto tanto sull’eclettismo musicale del maestro e per questo si possono citare i nomi di Carissimi, Bach e Haendel, soprattutto di Bach, da lui definito “una Bibbia musicale”. Questi influssi, però, possono essere considerati come una sorta di “citazioni” perché egli seppe mantenere la genuina ispirazione di una personalità inconfondibile che riuscì a conservare sempre, anche nei confronti di Wagner.

Perosi, indubbiamente, è figlio della sua razza e della sua epoca, periodo in cui è esaltato il teatro lirico di Verdi e si andava affermando anche quel mitico verismo da cui tutti irrimediabilmente furono soggiogati. Fu allora che alcuni musicisti e amanti di quella musica tentavano di convincerlo ad abbandonare le forme oratoriali per dedicarsi alla composizione di opere teatrali, ma lui decisamente reagiva.  

Anche se Perosi reagiva, tuttavia si apriva all’esperienza degli elementi descrittivi nei lavori che ebbero il nome, non di “oratori” ma di “poemi sinfonico-vocali”: Mosè, Il Giudizio Universale…Aveva anche iniziato a musicare l’episodio della Samaritana ma lo interruppe quando, come dice lui, si accorse che sdrucciolava nell’opera e la musica assumeva un carattere teatrale.

Accanto ai sette oratori che cantano i momenti fondamentali della vita di Gesù, Perosi compose anche le Cantate. Quella più eccelsa, sintetica e originale, perché la più ispirata e profonda, è indubbiamente il Transitus animae. Anche se il dramma interiore della salute lo tormentava, mai gli inibì l’uso degli slanci contemplativi e creativi. Lo confermano le pagine drammatiche ed estatiche del Transitus animae che cantano il mistero della morte e la speranza del godimento in paradiso. In quelle pagine ritrovo in sintesi tutto Perosi.

Su L’Osservatore Romano del 13 ottobre 1966, nel decimo anniversario della morte del Maestro, A. Paglialunga scrive che don Lorenzo, in un’intervista del 1902, ebbe a dire: “Il pubblico, mentre crede di applaudire me, in fondo applaude le parole e i fatti divini che mi sforzo di comunicare attraverso la mia musica”.

Ricordando Perosi nel sessantesimo del suo transitus animae, ridoniamo omaggio a un sacerdote musicista che, con purezza d’intenti e amore disinteressato, fu capace di offrire le sue qualità geniali per lodare Dio e per cantare la fede con il sublime linguaggio dell’arte musicale a servizio della liturgia e dell’evangelizzazione.

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