A Tblisi il Papa ha benedetto una Porta Santa speciale

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Nella seconda giornata in Georgia, papa Francesco ha celebrato la messa allo stadio Meskhi di Tbilisi, alla presenza delle autorità civili georgiane, rappresentanti del Patriarcato ortodosso della Georgia, del Patriarca e del Sinodo caldeo, di una folta rappresentanza della Chiesa armeno-cattolica e di altre confessioni cristiane e di molti fedeli:

“Tra i tanti tesori di questo splendido Paese risalta il grande valore delle donne. Esse, scriveva santa Teresa di Gesù Bambino, di cui facciamo oggi memoria, amano Dio in numero ben più grande degli uomini. Qui in Georgia ci sono tante nonne e madri che continuano a custodire e tramandare la fede, seminata in questa terra da Santa Nino, e portano l’acqua fresca della consolazione di Dio in tante situazioni di deserto e conflitto”.

Prima della celebrazione eucaristica papa Francesco ha benedetto ed attraversato una Porta Santa particolare, quella di Rustavi, edificata in un giardino, in attesa di una chiesa della Divina Misericordia che doveva essere costruita là, bloccata dalla burocrazia per un contenzioso con le autorità civili locali. Riprendendo il testo della prima lettura il papa ha invitato i fedeli ad abbandonarsi alla misericordia di Dio, che è anche madre:

“Come una madre prende su di sé i pesi e le fatiche dei suoi figli, così Dio ama farsi carico dei nostri peccati e delle nostre inquietudini; Egli, che ci conosce e ci ama infinitamente, è sensibile alla nostra preghiera e sa asciugare le nostre lacrime. Guardandoci, ogni volta si commuove e si intenerisce, con un amore viscerale, perché, al di là del male di cui siamo capaci, siamo sempre i suoi figli; desidera prenderci in braccio, proteggerci, liberarci dai pericoli e dal male”.

Poi si è rivolto a questo popolo ‘martire e piccolo gregge’, invitandolo a scorgere la presenza di Dio nel proprio cuore con alcune indicazioni pratiche: “La consolazione di cui abbiamo bisogno, in mezzo alle vicende turbolente della vita, è proprio la presenza di Dio nel cuore. Perché la sua presenza in noi è la fonte della vera consolazione, che rimane, che libera dal male, porta la pace e fa crescere la gioia. Per questo, se vogliamo vivere da consolati, occorre far posto al Signore nella vita.

E perché il Signore abiti stabilmente in noi, bisogna aprirgli la porta e non tenerlo fuori. Ci sono delle porte della consolazione da tenere sempre aperte, perché Gesù ama entrare da lì: il Vangelo letto ogni giorno e portato sempre con noi, la preghiera silenziosa e adorante, la confessione, l’Eucaristia. Attraverso queste porte il Signore entra e dà un sapore nuovo alle cose. Ma quando la porta del cuore si chiude, la sua luce non arriva e si resta al buio.

Allora ci abituiamo al pessimismo, alle cose che non vanno, alle realtà che mai cambieranno. E finiamo per rinchiuderci nella tristezza, nei sotterranei dell’angoscia, soli dentro di noi. Se invece spalanchiamo le porte della consolazione, entra la luce del Signore!” Nell’omelia il papa ha invitato i fedeli georgiani ad essere ‘Chiesa in uscita’, perché essa è fonte di consolazione per tutti: “Pur quando subisce afflizioni e chiusure, il cristiano è sempre chiamato a infondere speranza a chi è rassegnato, a rianimare chi è sfiduciato, a portare la luce di Gesù, il calore della sua presenza, il ristoro del suo perdono.

Tanti soffrono, sperimentano prove e ingiustizie, vivono nell’inquietudine. C’è bisogno dell’unzione del cuore, di questa consolazione del Signore che non toglie i problemi, ma dona la forza dell’amore, che sa portare il dolore in pace. Ricevere e portare la consolazione di Dio: questa missione della Chiesa è urgente. Cari fratelli e sorelle, sentiamoci chiamati a questo: non a fossilizzarci in ciò che non va attorno a noi o a rattristarci per qualche disarmonia che vediamo tra di noi.

Non fa bene abituarsi a un ‘microclima’ ecclesiale chiuso; ci fa bene condividere orizzonti ampi e aperti di speranza, vivendo il coraggio umile di aprire le porte e uscire da noi stessi”. Però consolazione e misericordia si ottengono ad una condizione, quella di ritornare piccoli in modo da stare in braccio a Dio: “La vera grandezza dell’uomo consiste nel farsi piccolo davanti a Dio. Perché Dio non si conosce con pensieri alti e tanto studio, ma con la piccolezza di un cuore umile e fiducioso.

Per essere grandi davanti all’Altissimo non bisogna accumulare onori e prestigio, beni e successi terreni, ma svuotarsi di sé. Il bambino è proprio colui che non ha niente da dare e tutto da ricevere. È fragile, dipende dal papà e dalla mamma. Chi si fa piccolo come un bimbo diventa povero di sé, ma ricco di Dio. I bambini, che non hanno problemi a capire Dio, hanno tanto da insegnarci: ci dicono che Egli compie grandi cose con chi non gli fa resistenza, con chi è semplice e sincero, privo di doppiezze”.

In questo consiste la grandezza di Dio, invitando la Chiesa a non essere solamente ‘funzionalista’ ed autosufficiente: “Ecco la grandezza sorprendente di Dio, di un Dio pieno di sorprese e che ama le sorprese: non perdiamo mai il desiderio e la fiducia delle sorprese di Dio! E ci farà bene ricordare che siamo sempre e anzitutto figli suoi: non padroni della vita, ma figli del Padre; non adulti autonomi e autosufficienti, ma figli sempre bisognosi di essere presi in braccio, di ricevere amore e perdono. Beate le comunità cristiane che vivono questa genuina semplicità evangelica!

Povere di mezzi, sono ricche di Dio. Beati i Pastori che non cavalcano la logica del successo mondano, ma seguono la legge dell’amore: l’accoglienza, l’ascolto, il servizio. Beata la Chiesa che non si affida ai criteri del funzionalismo e dell’efficienza organizzativa e non bada al ritorno di immagine. Piccolo amato gregge di Georgia, che tanto ti dedichi alla carità e alla formazione, accogli l’incoraggiamento del Buon Pastore, affidati a Lui che ti prende sulle spalle e ti consola!”

Il papa ha concluso l’omelia citando alcune frasi di santa Teresa di Lisieux, la cui festa ricorre oggi: “Vorrei riassumere questi pensieri con alcune parole di Santa Teresa di Gesù Bambino, che oggi ricordiamo. Ella ci indica la sua ‘piccola via’ verso Dio, ‘l’abbandono del piccolo bambino, che si addormenta senza timore tra le braccia di suo padre’, perché ‘Gesù non domanda grandi gesti, ma solo l’abbandono e la riconoscenza’… Chiediamo oggi, tutti insieme, la grazia di un cuore semplice, che crede e vive nella forza mite dell’amore; chiediamo di vivere con la serena e totale fiducia nella misericordia di Dio”.

Al termine della celebrazione eucaristica mons. Giuseppe Pasotto, Amministratore Apostolico del Caucaso, ha ringraziato il papa di questa presenza, ricordando l’unità della Chiesa: “Siamo grati a Dio per il Suo ministero, perché Lei ci spinge sempre a volare in alto, indicandoci, come ha fatto anche oggi, mete esigenti e ‘controcorrente’, ma che nel cuore tutti sentiamo entusiasmanti, perché vere ed evangeliche.

Grazie, però, perché ci fa tenere anche i piedi per terra, ricordandoci la pazienza che bisogna avere nel percorrere la strada difficile della vita e la ricchezza che c’è in ogni volto che incontriamo, specialmente se è il volto di una persona sola, povera, ammalata o rifiutata. La storia racchiude il Vangelo che Dio continua a scrivere oggi per noi, ma spesso non sappiamo come fare a leggerlo: grazie per il Suo prezioso aiuto. Deponiamo nel Suo cuore il nostro impegno ad annunciare la gioia del Vangelo come costruttori di pace, di unità e di giustizia. Ci sostenga con la Sua preghiera”.

Foto: Alan Holdren CNA

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