Il card. Scola racconta l’attualità dell’enciclica ‘Humanae Vitae’

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A fine settembre, l’arcivescovo di Milano, card. Angelo Scola, è intervenuto al XIII Colloquio internazionale ‘Per una Chiesa esperta in umanità. Paolo VI interprete del Vaticano II’, promosso dall’Istituto Paolo VI a Concesio, nella sede che si trova accanto alla casa natale di Giovanni Battista Montini, sul tema: ‘La vocazione della famiglia (l’idea di matrimonio di Humanae vitae): quale antropologia soggiace all’enciclica di Paolo VI’.

Prima di entrare nel merito del tema il card. Scola ha tracciato la dimensione pastorale del Concilio Vaticano II: “Molti storici e teologi che si sono chinati sul corpus dei documenti conciliari e, più in generale, sull’avvenimento del Concilio Vaticano II, concordano nell’affermare che soprattutto con Gaudium et spes, ma più in generale con tutti i documenti conciliari a partire dall’apertura di Giovanni XXIII con la celebre Gaudet Mater Ecclesia, il magistero ha cercato un nuovo stile di rapporto con il mondo contemporaneo.

Un’analisi attenta conduce ad individuare nei due fattori del dialogo e della dimensione pastorale un’antropologia cristocentrica che li unifica strettamente. Essa è presente in Gaudium et spes, che però non raramente la confina, con non poche implicitezze, in un’antropologia neoscolastica datata”.

I documenti del Concilio Vaticano II debbono essere letti anche alla luce della Relatio finalis dell’Assemblea straordinaria del Sinodo dei Vescovi in occasione del XX anniversario della chiusura del Vaticano II. In tale contesto occorre collocare i presupposto antropologici dell’enciclica ‘Humanae Vitae’:

“A nessuno sfugge che una delle questioni più delicate e, nello stesso tempo, oggi meno esplicitamente affrontate è quella della natura specifica degli insegnamenti magisteriali della Chiesa. Non si può, infatti, affermare che lo statuto dei pronunciamenti magisteriali e, di conseguenza, il loro valore vincolante per la vita dei fedeli, sia qualcosa di pacificamente posseduto da parte di tutte le componenti del popolo cristiano.

Nella migliore delle ipotesi permane il riconoscimento della funzione dei pastori tesa a favorire l’adesione al magistero o, perlomeno, a contenerne una critica esacerbata. Ma non poche volte tale riconoscimento non riesce a dissipare la confusione rispetto alla verità e alla ‘con-venienza’ dell’insegnamento magisteriale”.

Da questi presupposti il cardinale ha invitato ad una nuova lettura dell’enciclica montiniana: “Non è corretto, come è stato fatto in termini pesanti quando non irosi, ricondurre tutta l’Enciclica ad una prospettiva definita di volta in volta come biologicista, naturalista e fisicista. Accuse legate alla concezione della legge naturale che l’Enciclica esprimerebbe. Legge naturale il cui uso, da parte del magistero, al di là dell’obiettiva difficoltà a pensarne il contenuto, sarebbe da ritenere improprio.

La critica all’impiego della legge naturale nell’enciclica si basa sostanzialmente sull’accusa di dedurre la norma morale dal dato naturale biologico. In particolare forti e numerose obiezioni ha ricevuto il n. 17 per l’affermazione: ‘…se non si vuole esporre all’arbitrio degli uomini la missione di generare la vita, si devono necessariamente riconoscere limiti invalicabili alla possibilità di dominio dell’uomo sul proprio corpo e sulle sue funzioni; limiti che a nessun uomo, sia privato, sia rivestito di autorità, è lecito infrangere.

E tali limiti non possono essere determinati che dal rispetto dovuto all’integrità del corpo umano e delle sue funzioni naturali’… Conviene riconoscere nell’Enciclica non pochi rinvii ad elementi propri di una antropologia umanista”. Riprendendo un’affermazione del teologo Balthasar occorre ridare un’antropologia adeguata all’enciclica: “L’agire umano è messo in moto dal credito che l’essere figli consente di donare alla presenza generativa.

In ogni uomo insorge così la promessa e la speranza di un compimento che consente un affronto positivo della realtà ed apre alla comunione con l’altro. La scienza etica, in questo orizzonte, trova la strada per il superamento dello scoglio principale manifestatosi in tutta la sua forza a partire da Humanae vitae ed ancora operante, come si sta cominciando a vedere nella recezione di Amoris laetitia. Si tratta del mal pensato nesso tra soggetto ed oggetto che impedisce di vedere come coniugare l’inevitabile singolarità di ogni atto con l’universalità della norma”.

La tesi centrale riguarda l’indissolubilità tra l’aspetto unitivo e quello procreativo dell’atto coniugale, che si esplicita nella testimonianza della misericordia: “Amoris laetitia, che autorevolmente raccoglie i risultati di due importanti assemblee sinodali, ha sottolineato con forza il compito di ogni famiglia cristiana di porsi nella comunità ecclesiale e, con le debite distinzioni, nell’agora pubblica, come soggetto immediato e diretto di annuncio di Gesù Cristo e di tutte le implicazioni di tale annuncio, tra le quali non può essere in nessun modo sottovalutata la tesi centrale dell’insegnamento di Humanae vitae.

Le famiglie cristiane, attraverso il ricorso alla mentalità (nous) e ai sentimenti di Cristo stesso, sono chiamate ad essere espressione privilegiata di quella pratica pastorale voluta dal Vaticano II che consente loro, nel rispetto dell’indole secolare, di non esser meri clienti della Chiesa.

Infatti la testimonianza, non ridotta al pur necessario buon esempio, ma concepita integralmente come conoscenza adeguata della realtà e perciò come comunicazione della verità, rappresenta ‘il mezzo con cui la verità dell’amore di Dio raggiunge l’uomo nella storia, invitandolo ad accogliere liberamente questa novità radicale. Nella testimonianza Dio si espone, per così dire, al rischio della libertà dell’uomo’”, come ha sottolineato papa Benedetto XVI nell’Esortazione apostolica postsinodale ‘Sacramentum caritatis’.

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