CCEE: il dovere cristiano di dare speranza

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Domenica 18 settembre a Sarajevo si è concluso l’incontro dei vescovi europei sulle opere di misericordia: “Misericordia significa non scappare dal dolore, dalle ingiustizie e dalle molteplici sofferenze del nostro tempo ma renderle occasioni di speranza e di salvezza attraverso l’amore cristiano. In qualsiasi opera di misericordia, è la persona umana, nella sua dignità e nella sua integrità, il punto di partenza e il fine dell’azione della Chiesa.

Ma anche nell’esercizio della misericordia, non basta il gesto occasionale che spesso è frutto dell’emozione cangiante e porta alla delega deresponsabilizzante. All’opera di misericordia è chiamato ogni cristiano e tutta la comunità cristiana, anzi l’intera umanità! Per realizzarla bisogna sapere anche educare, condividere e testimoniare”.

I lavori hanno visto momenti di riflessione e di testimonianza, mostrando come al centro dell’azione della Chiesa sta la persona umana, verso cui si china la Chiesa quando dà da mangiare attraverso il Banco alimentare, quando visita i carceri, quando accoglie il migrante o il rifugiato, quando cura e visita l’ammalato, quando seppellisce i defunti, quando difende il lavoro dignitoso o porta nel mondo della politica il ricco patrimonio della dottrina sociale della Chiesa:

“In un tempo di grandi sfide, appare quanto mai urgente ridare speranza all’Europa. Questo è possibile attraverso una presenza che viva un amore cristiano evangelizzato che non si riduce a pure sentimentalismo. Allo stesso tempo, i partecipanti hanno più volte rilevato come la privatizzazione della fede nei Paesi secolarizzati ha spesso portato a una spaccatura tra le opere di misericordia spirituali e quelle materiali, in quanto le opere ‘materiali’, percepite come espressione pubblica della propria fede, non vengono sempre ben accolte dalle istituzioni secolari”.

Nel suo messaggio ai partecipanti, papa Francesco ha ricordato il bisogno di ‘contribuire alla rinascita dell’Europa’: “Per contribuire alla rinascita dell’Europa, la Chiesa, madre premurosa, si sforza di andare incontro con amore alle ferite dell’umanità per risanarle col balsamo della misericordia divina. Pertanto, incoraggio voi, rappresentanti dell’episcopato europeo, a coinvolgere sempre più le vostre comunità e le diverse realtà caritative e assistenziali nell’impegno ad annunciare il Vangelo a quanti hanno smarrito per varie cause l’orientamento della loro vita.

Continuo a sognare un nuovo umanesimo europeo, cui servono memoria, coraggio, sana e umana utopia. In questo cammino di umanizzazione, l’Europa, culla dei diritti e delle civiltà, è chiamata non tanto a difendere degli spazi, ma ad essere una madre generatrice di processi, quindi feconda, perché rispetta la vita e offre speranze di vita”.

A Sarajevo, i responsabili degli organismi ecclesiali hanno anche ricordato come, di fronte alle varie forme di ‘povertà’, materiali e spirituali, sia necessario non solo rispondere all’urgenza dettata dalla sofferenza, fornendo un servizio o una presenza che possa allievare il dolore del momento, ma piuttosto lavorare insieme alla persona in difficoltà, impegnando l’intera comunità e comunicando attorno a queste povertà, come ha affermato in apertura il segretario generale del CCEE, mons. Duarte da Cunha:

“Esiste uno stretto legame tra fede, missione evangelizzatrice della Chiesa e le opere di carità. Questi organismi ecclesiali lo testimoniano quotidianamente con il loro servizio ai più bisognosi. Di fatto, per i cristiani, non è possibile pensare la carità (la misericordia operante), senza la fede: sarebbe ridurre l’istituzione ecclesiale a mera Ong, né è possibile pensare la fede senza la carità: sarebbe ridurre la fede ad una prospettiva disincarnata. La fede invece ha bisogno delle opere: questo ci dice la Misericordia di Dio”.

Le testimonianze hanno fatto vedere come le opere di misericordie sono interconnesse, come ha raccontato il fondatore dell’Arca, Jean Vanier: “Raccontami la tua storia. Andare per le strade principali e secondarie e incontrare le persone, e vi insegneranno la loro saggezza. Vi insegneranno anche ciò che significa essere umani. Non l’avere più potere, ma essere in grado di ascoltare l’altro per entrare in una nuova dimensione dell’umanità”.

Da Sarajevo la Chiesa europea ha inviato un messaggio per ‘sentirci corresponsabili del benessere dell’altro’: “A Sarajevo, città emblematica del nostro tempo per le molteplici sofferenze subite e le ferite ancora aperte da un conflitto durato anni e da accordi, quali quelli di Dayton, che stanno favorendo una politica dell’inerzia e discriminatoria su base etnica, la misericordia della Chiesa è manifestata da numerose opere, come quella della Scuola per l’Europa aperta durante il conflitto, per testimoniare che la guerra non era una necessità, né la separazione etnica una fatalità, ma che la convivenza pacifica era ed è sempre possibile”.

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