Le Acli hanno una passione popolare

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La passione popolare è stato il filo conduttore del 49^ incontro di studi delle Acli, svoltosi a Roma, in cui per due giorni, politici, studiosi, esponenti della società civile e giornalisti hanno portato il proprio contributo su un tema così alto e di strettissima attualità: “Un popolo è tale quando si riconosce in una storia, una cultura, un nucleo di valori condivisi, una serie di istituzioni di riferimento. Essere popolo e stare con il popolo è un tratto identitario delle Acli, ne segna la storia e ne caratterizza la cultura.

Essere popolari, per le Acli, significa innanzitutto sentirsi parte di un popolo, di una storia, di un progetto comune. Un popolo si sente unito dentro una storia, quando è capace di fare memoria, abitare il presente e proiettarsi in un futuro. Una dimensione temporale che, se vissuta, consente di rispondere alle spinte che tendono a emarginare e, allo stesso tempo, esasperare i conflitti e frammentare le parti fino alla disgregazione”.

Questa può essere la sintesi scaturita durante i giorni del dibattito in cui è stato ricordato l’ex presidente della Repubblica Italiana, Carlo Azeglio Ciampi: “Con la scomparsa del Presidente emerito Carlo Azeglio Ciampi, l’Italia perde un uomo di specchiata etica pubblica. Un europeista convinto, ma soprattutto un uomo di grande sobrietà. Proprio per questo, un presidente particolarmente amato… La sua figura assista il nostro Paese e tutta l’Europa in questo momento di fragilità”.

Queste parole sono state pronunciate da Roberto Rossini, presidente nazionale delle Acli, che nella relazione finale ha collegato tre città simbolo per il popolo (Marcinelle, Lampedusa, Amatrice): “Mino Martinazzoli soleva ripetere che ‘la politica conta, ma la vita conta di più’. E anche noi potremmo ribadire che la politica conterebbe di più se si interessasse con responsabilità della vita: se a tutti e a ciascuno la politica offrisse le condizioni perché la vita, dono naturale e promessa, sia vita dignitosa, dono politico, premessa di una vita da vivere.

Questo è il compito della politica, a cui attendiamo anche come associazione di lavoratori, come popolo aclista. E come aclisti ci corre anche il ribadire che tante volte la politica ha mantenuto le sue promesse; e tante altre volte le ha consegnate all’incuria. Ecco allora perché Marcinelle, perché Lampedusa, perché Amatrice: luoghi simbolici di condizioni umane che si spezzano e che ci pongono di fronte a qualche responsabilità politica, al dramma della politica, sospesa tra principi astratti e realtà quotidiana”.

Il presidente aclista ha sottolineato che oggi mancano purtroppo i corpi intermedi per formare un popolo: “Un popolo è veramente tale quando istinto, cuore e testa si accordano per formazione… Oggi la liquidità di questi corpi intermedi determina quella ‘natura dissonante e divergente del dibattito’ che rende perfino la grande conquista del voto libero un elemento di una perpetua mobilità che sfocia nell’instabilità elevata a sistema, nella continua e inutile rincorsa ad un consenso spesso selvaggio, emotivo, rancoroso: non mediato.

A mediare col popolo, a spiegare i temi, creare il consenso, formare le coscienze, rimangono i mezzi di informazione: ma i mass media fanno veramente mediazione? I temi sono ridotti alla logica del televoto, del sì e del no, e le leadership sono delegittimate, private di un attributo di utilità e rese caricaturali da una descrizione a base di privilegi che le rende insopportabili e ideale bersaglio di ogni campagna antipolitica. Rimane il potere carismatico, ma questo non basta di fronte alla complessità delle sfide del mondo contemporaneo. Senza mediazioni la politica si rivolta nel suo contrario, in antipolitica”.

Secondo Rossini il cattolico non ha mai creduto in uno Stato ‘scolpito nel cemento armato di un qualsivoglia potere’: “Dobbiamo fare la nostra parte anche rilanciando la democrazia del XXI secolo, perché quella del XX è in crisi. Noi aclisti sappiamo che c’è qualcosa che aiuta il popolo a creare la giusta democrazia, ad esprimere la propria voce nel giusto modo, quello più intonato per essere pienamente se stessi con coscienza delle proprie idee: e questo qualcosa è il libero dibattito pubblico, dove noi abbiamo sempre esercitato una funzione formativa.

La Costituzione già induce questa dimensione (descrivendo le caratteristiche del voto e dei partiti). Il nostro movimento ne ha sempre esplicitato con chiarezza la necessità. Perché le idee non maturano da sole, ma solo se esposte al sole e all’aria delle culture ed all’impollinazione del confronto e del dialogo, anche quando duro e difficile. Proprio di questo tempo cogliamo la necessità di esercitare quella pedagogia popolare e costituzionale che diventa generativa per l’esperienza democratica.

In questi mesi le nostre Acli si sono mosse, spesso in modo autorevole, con interlocutori di prestigio e confronti serrati. Abbiamo realizzato oltre cento incontri in tutto il Paese e altri ancora sono in cantiere. Uno sforzo corale che ci permette di affermare che noi viviamo certi temi come un richiamo primordiale ad un’azione civile e politica. Ma è proprio così che continueremo quell’opera di pedagogia popolare e costituzionale che dà al nostro movimento un profilo così chiaro, così tipico”.

Ed infine ha ribadito il popolarismo sturziano delle Acli: “Ed è così che vogliamo stare veramente nel popolo. E’ così che troviamo ragione di noi stessi, delle nostre origini. Le Acli sono una parte del popolo italiano, perché sono legate ad una storia che è passata anche da noi e che anche noi abbiamo contribuito a scrivere. Le Acli sono pure una parte del popolo di Dio, perché sentiamo il vincolo che ci unisce ad una storia che va oltre questa terra, perché sentiamo il rapporto che ci lega al cielo.

E’ in queste vicende terrene e spirituali insieme che anche noi siamo diventati popolo… Ci siamo appassionati, certo, ma abbiamo contezza anche del fatto che la storia è passione, intesa come quell’oscillazione a tempi e intensità diverse fra gioia e sofferenza, tra vittorie e tragedie”.

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