Mons. Nosiglia chiede ai torinesi di riscoprire i Santi ‘sociali’

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L’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia, ha celebrato il 25^ anniversario della sua ordinazione episcopale e papa Francesco gli ha inviato un messaggio: “A te, Venerabile Confratello, che, per benevolentissima concessione divina nella festa dell’Esaltazione della Santa Croce, celebrerai felicemente il venticinquesimo anno di episcopato, mandiamo di cuore questa lettera, per manifestarti i gioiosi sentimenti del nostro animo e allo stesso tempo per esprimere la comunione fraterna per la quale siamo uniti con te nell’episcopato.

E poiché inoltre sappiamo bene che tu nell’esercizio del sacro ministero hai agito con sollecito zelo, in questa particolare occasione desideriamo congratularci con te per le molteplici fatiche compiute e ricordare i principali momenti del tuo apostolato… Nell’esercizio dei compiti di Pastore, Maestro e Padre ti sei impegnato e ti impegni perché i fedeli a te affidati siano solleciti nella carità, lieti nella speranza e fondati in una fede solida, inoltre assidui alla mensa del Pane eucaristico e del Verbo divino, ‘per mezzo del quale tutte le cose sono state fatte’ (Gaudium et spes, 38), sempre memori dei fratelli che sono nel bisogno”.

Ed in concomitanza dell’anniversario l’arcivescovo ha reso noto la Lettera pastorale, che accompagnerà il cammino della diocesi torinese nel 2016/2017, ‘La Città sul monte’: il titolo si riferisce alle parole di Gesù ‘Voi siete la luce del mondo. Non può rimanere nascosta una città collocata sopra un monte’.

La Lettera delinea il programma di lavoro per la diocesi di Torino nel prossimo anno pastorale: un cammino che sarà incentrato sulla riflessione sui temi dell’Esortazione ‘Evangelii gaudium’ di papa Francesco e sulle indicazioni del Convegno nazionale della Chiesa italiana di Firenze, celebrato nel novembre 2015. L’arcivescovo ligure indica due percorsi prioritari: il riassetto della diocesi e la scelta di famiglie, giovani, poveri come campi di lavoro per l’evangelizzazione.

Lo spirito del servizio è quello della ‘fraternità’, valore che mons. Nosiglia ha posto al centro del suo messaggio alla Città per la festa di San Giovanni. La Lettera pastorale è diversa dalle precedenti dell’arcivescovo: ad una prima parte, breve, di riflessione e sintesi, seguono due serie di schede: una dedicata ad approfondire i contenuti dell’esortazione ‘Evangelii gaudium’ di papa Francesco (al centro della vita di fede oggi c’è l’annuncio gioioso del Vangelo di Gesù Cristo). Nella lettera l’arcivescovo punta all’essenziale:

“Più volte mi sento chiedere: ci dica che cosa è essenziale nella pastorale. E’ un’esigenza giusta e legittima, perché la pastorale oggi è diventata magmatica, estesa all’inverosimile: perciò ogni suo ambito appare importante, indispensabile… Il Convegno della Chiesa italiana, ‘In Gesù Cristo il nuovo umanesimo’, ci ha indicato tre soggetti privilegiati della pastorale su cui concentrare le nostre forze: la famiglia, i ragazzi e giovani, i poveri. Sono gli stessi su cui stiamo lavorando insieme da tempo; ora si tratta di continuare a farlo sottolineando uno stile appunto sinodale e missionario, oltre che con una mentalità e prassi di cosiddetta pastorale ordinaria”.

Per questo mons. Nosiglia ha sottolineato l’importanza della formazione dei laici e l’opzione privilegiata per i poveri, che sono campi in cui la Chiesa non può derogare: “La formazione dei laici e l’evangelizzazione delle categorie professionali e intellettuali rappresentano un’importante sfida pastorale. In questa prospettiva, emerge lo specifico apporto della donna nella Chiesa e nella società. Nella Chiesa le funzioni non danno luogo alla superiorità degli uni sugli altri…

Nella misura in cui il Regno di Dio regna veramente tra noi credenti, la vita sociale sarà uno spazio di fraternità e giustizia, di pace e di dignità per tutti. Non possiamo dunque affermare che la religione si limita all’ambito privato e che esiste solo per preparare le anime al cielo. Dio desidera la felicità dei suoi figli anche su questa terra, benché siano chiamati alla salvezza terna: egli ha creato tutte le cose perché tutti ne potessero godere. La Chiesa dunque non può e non deve rimanere ai margini della lotta per la giustizia e deve rispondere al grido dei poveri e degli scartati della società”.

Anche nella lettera alla città di Torino, ‘Mio fratello abita qui’ dello scorso giugno il vescovo aveva sottolineato che la fraternità è un ‘valore’ che coinvolge tutti: “Essere fratelli significa non accontentarsi dell’uguaglianza dei diritti e dei doveri che abbiamo come cittadini, ma saper riconoscere in ogni persona la dignità che gli è propria e che viene a ciascuno di noi dalla condizione umana, dall’essere vivi qui e ora. Capite allora che, nel riconoscere la dignità di ogni persona, si aprono discorsi impegnativi non solo di rispetto reciproco, ma anche di scelte per la città”.

Per vivere la fraternità non sono sufficienti la beneficenza e l’assistenzialismo in una città che ospita oltre 100.000 immigrati, ma occorrono corpi intermedi: “La città fraterna si costruisce insieme, dal confronto dialogante fra tutte le persone e le aggregazioni che la compongono. Altrimenti salta, o non è abbastanza credibile, la prospettiva di un vero bene comune. Di qui la necessità di valorizzare quei ‘corpi intermedi’ di cui Torino è fieramente ricca. Basti pensare al vastissimo mondo del terzo settore che con associazioni di volontariato, cooperative, imprese sociali e fondazioni contribuisce da tempo al bene collettivo”.

In quella lettera il vescovo aveva chiesto ai cittadini una reazione per pensare ad una nuova vita di fraternità attraverso forme di autentica partecipazione, riscoprendo le vite dei numerosi ‘Santi sociali’ cittadini: “Torino ha in sé tutte le potenzialità per realizzare e portare a sviluppo un percorso di vera fraternità, anche se forse bisogna ancora maturare, nel concreto, questa consapevolezza. Ma questo è il momento in cui possiamo davvero provare a dare una svolta al futuro della Città.

Si tratta di decidere di andare avanti accelerando il passo, tutti. Cercare il nostro fratello non ciascuno per conto suo ma insieme, sapendo che è proprio quella comunione tra più soggetti ciò che ci rende capaci di dare una risposta all’altezza della nostra storia. I Santi sociali, quelli già riconosciuti dalla Chiesa come i tanti uomini e donne che hanno operato in mezzo a noi cercando di vivere la fraternità, ci fanno da apripista con tantissimi altri.

Sta a noi scegliere la fraternità come strada dello sviluppo di questa Città. Caino ha risposto in modo evasivo alla domanda di Dio su dove fosse il fratello Abele. Torino, oggi, può rispondere con verità: mio fratello abita qui. Perché lo sappiamo, perché lo vogliamo, perché cerchiamo di viverlo”.

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