A Tunisi nasce il Giardino dei Giusti

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Quest’estate è stato inaugurato all’interno dell’Ambasciata d’Italia a Tunisi il primo Giardino dei Giusti in un Paese arabo dal presidente di Gariwo Gabriele Nissim, dall’ambasciatore Raimondo De Cardona e dal Presidente della Lega tunisina per i diritti umani e Nobel per la Pace 2015 Abdessatar Ben Moussa.

Nato dalla collaborazione con il Ministero italiano degli Affari Esteri, il Giardino ospita gli alberi e i cippi dedicati a cinque Giusti arabi e musulmani del passato e del nostro tempo che hanno lottato contro la persecuzione, il terrorismo e per la difesa dei diritti umani, ricordati con queste iscrizioni:

“Hamadi Ben Abdesslem, con il suo coraggio ha salvato i turisti italiani durante l’attacco terroristico al museo del Bardo; Mohamed Bouazizi, si è immolato per difendere la dignità umana dando inizio alla primavera democratica in Tunisia; Khaled Abdul Wahab ha salvato a Mahdia gli ebrei perseguitati in Tunisia durante l’occupazione nazista; Khaled al-Asaad, trucidato dall’ISIS nel 2015 per aver difeso in Siria il patrimonio archeologico di Palmira, memoria della civiltà umana; Faraaz Hussein che a Dacca scelse di non abbandonare le sue amiche e venne ucciso per mano dei terroristi”.

Ad aprire la cerimonia è stato Gabriele Nissim, presidente di Gariwo, che a poche ore dalla strage di Nizza, ha affermato: “Dopo la strage di Nizza, di fronte a chi semina terrore e uccide senza pietà centinaia di persone, noi celebriamo i Giusti arabi e musulmani che amano la pluralità umana, la pace, il dialogo tra i popoli e le culture. Con questo Giardino vogliamo lanciare in Europa e in tutto il Medio Oriente la diplomazia del Bene per far conoscere al mondo intero le storie di umanità, di solidarietà di cui nessuno parla e che rimangono purtroppo sconosciute…

Il loro credo è molto semplice: essi amano gli altri, amano la pluralità umana, amano la bellezza, non accettano una concezione del mondo che divide gli uomini per la loro religione, per la loro cultura e per la loro nazionalità. Per costoro che ricordiamo oggi tutti gli uomini sono uguali e non esistono individui di serie A e di serie B. Non è un caso che facciamo questa iniziativa proprio in Tunisia, un Paese all’avanguardia perché capace di difendere la libertà e la democrazia. Abbiamo un obiettivo molto ambizioso.

Vogliamo lanciare in Europa, e in tutto il Medio Oriente, quella che mi piace definire come la diplomazia del Bene. Di fronte alle guerre, ai terroristi fondamentalisti, ai crimini contro l’umanità, ci proponiamo di fare conoscere al mondo intero tutte le storie di bene, di umanità, dì solidarietà di cui nessuno parla e che rimangono purtroppo sconosciute… C’è un altro motivo per cui abbiamo tanto a cuore la diplomazia del Bene e il Giardino dei Giusti di Tunisi.

Noi vogliamo che tutte queste storie di coraggio morale dei Giusti arabi e musulmani siano conosciute in Italia e in Europa. Fino ad ora c’è stata tanta ignoranza, e molti ancora non hanno capito che la sconfitta del terrorismo passa prima di tutto da una grande alleanza tra gli europei e gli arabi e musulmani contro lo stesso nemico comune. Fare conoscere queste storie può essere di grande significato per rispondere a coloro che in preda alla paura propongono muri per i migranti e creano pericolosi pregiudizi nei confronti degli arabi e dei musulmani”.

Di seguito è stata letta la lettera di Simeen Hossain, madre di Faraaz Hussein: “Lui si era sempre sentito responsabile delle persone che lo circondavano, assumendosi il dovere di proteggere coloro che amava. Questi sono i valori che Faraaz si era imposto di rispettare, credendo per prima cosa e sopra ogni altra che una persona debba essere soprattutto un buon essere umano. Pieno di questo spirito, vivendo ogni momento con un sorriso smagliante, ed esemplificando il meglio della gioventù, Faraaz era una perla di essere umano.

Si occupava sempre degli altri, assicurandosi che le sue azioni rendessero felici le persone intorno. Era un brillantissimo studente della Goizueta Business School della Emory University, che aveva lasciato stupefatti per la sua bravura coloro per i quali aveva lavorato come stagista alla Transcom e alla Pepsico.

Toccava i cuori di ogni persona con cui interagiva e aveva dimostrato di essere un leader nato in qualunque cosa facesse. Soprattutto è rimasto un uomo giusto fino all’ultimo suo respiro. Con un senso estremamente chiaro del bene e del male, ha tenuto fede a ciò che riteneva giusto con tutte le sue forze”.

Poi è stato letto il messaggio che Cristina Miedico, direttrice del Museo Archeologico di Angera, ha dedicato all’archeologo Khaled al Asaad, ‘custode’ del sito archeologico di Palmira: “Non ho avuto l’opportunità di conoscere personalmente Khaled al Asaad, ma l’ho sempre visto come un modello, un archeologo e un curatore nel senso più stretto del termine. Un uomo che prima di ogni altro era stato capace di comprendere l’importanza, l’unicità e l’infinita bellezza di Palmira.

Un sapiente archeologo che era stato capace, con fierezza e umiltà, di chiedere aiuto al mondo per farla studiare ed emergere dalla sabbia, un promotore culturale capace di far iscrivere Palmira tra i monumenti che sono Patrimonio Mondiale dell’Umanità. A pochissimi di noi sarà possibile raggiungere tali risultati nella vita… A lui rivolgo la mia più profonda gratitudine, quella che si prova verso i Maestri, a lui cercherò di ispirarmi nel cercare di costruire ponti tra culture.

Spesso tradizioni diverse sono solo apparentemente distanti, e condividono in realtà radici comuni. Europa, infatti, era una principessa fenicia rapita da Zeus sulle coste dell’Asia Minore e condotta a Creta. Dalla loro unione nacquero i futuri fondatori di alcune tra le più importanti città della Grecia antica: non è certo un caso se i loro discendenti decisero di chiamare Europa il nostro continente, che ha quindi le sue radici proprio in Medio Oriente”.

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