Dal Meeting di Rimini i racconti dalla periferia

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I numeri ormai si conoscono, ma i visitatori continuano a visitare la mostra sui migranti al Meeting di Rimini ed ad affollare anche gli incontri di approfondimento per ascoltare le testimonianza di chi racconta le periferie, partendo dall’umano, come ha affermato uno dei curatori, Giorgio Paolucci:

“La mostra propone storie umane proprio perché è a partire dalla conoscenza di queste storie e non da un giudizio generico, sociologico, politico o statistico che è possibile immaginare e incominciare a costruire delle soluzioni: a partire da questa dinamica dell’incontro che Papa Francesco continua a proporci. E sono le esperienze e le storie che attraverso i video, i pannelli, attraverso le persone che abbiamo invitato anche in questa mostra, vengono offerte ai visitatori”.

Infatti ai numeri, che dicono una realtà che molto spesso ci sfugge, perché abbiamo paura di conoscere, si contrappone il richiamo di papa Francesco che richiama l’uomo a vivere nella realtà, come scritto nel messaggio al segretario generale dell’ONU, Ban Ki-Moon per l’apertura del 1° World Humanitarian Summit, svoltosi ad Istanbul nello scorso maggio: “Non possiamo negare che troppi interessi impediscono oggi le soluzioni dei conflitti, e che strategie militari, economiche e geo-politiche spostano persone e popoli e impongono il dio denaro, il dio potere.

Nello stesso tempo, gli sforzi umanitari vengono frequentemente condizionati da imposizioni commerciali e ideologiche. Per questo, ciò che occorre oggi è un impegno rinnovato a proteggere ogni persona nella sua vita quotidiana e a salvaguardare la sua dignità e i suoi diritti umani, la sua sicurezza e i suoi bisogni integrali. Contemporaneamente, è necessario preservare la libertà e l’identità culturale e sociale dei popoli; senza che ciò porti a chiusure, ma, anzi, favorisca la cooperazione, il dialogo e, specialmente, la pace… Non si amano i concetti, non si ama un’idea; si amano le persone”.

E’ proprio da questo sguardo libero di fronte alla realtà che nascono le opere di misericordia, che permettono al cuore di trasformare le ‘periferie’, come hanno raccontato Jean Francois Morin, direttore dell’associazione ‘Le Rocher Oasis des Cités’ in Francia e José Maria ‘Pepe’ di Paola, prete villero e coordinatore della Commissione episcopale contro la tossicodipendenza in Argentina.

Entrambi vivono nelle periferie degradate e pericolose, chiuse in se stesse, preda di violenza e narcotraffico. Entrambi indicano come unico metodo per la irrinunciabile integrazione ‘vivere con’, non ‘vivere per’. L’associazione ‘Le Rocher’ è presente in molte periferie delle città francesi, in cui il 90% degli abitanti sono musulmani:

“Ci caliamo nella vita quotidiana e cerchiamo di essere e vivere con le persone… L’idea è mostrare a queste persone che le amiamo. Le persone sanno che preghiamo. Siamo lì perché vogliamo testimoniare che c’è qualcosa di più grande di noi che ci consente di aprire il cuore, di accogliere la tristezza che ci circonda e che c’è sempre una possibilità”.

Padre Pepe è uno dei curas villeros, preti che hanno deciso di vivere all’interno di questi enormi quartieri periferici: “Siamo grati di vivere lì, impariamo una vita più umana, vediamo valori importanti di persone con cui condividiamo la vita. Siamo felici di poter vivere lì dove possiamo costruire la Chiesa non dal di fuori”.

Per questo nel 2007 con altri 20 preti delle villas e con l’assenso dell’allora arcivescovo Bergoglio, aveva presentato un documento sull’integrazione urbana alla vigilia delle elezioni locali. Il documento voleva contrastare l’analisi con cui i candidati sostenevano il loro programma di sradicamento delle villas, ritenendo che così facendo avrebbero risolto anche il problema della violenza e del narcotraffico:

“Per poter realmente realizzare città integrate, invece, è necessario instaurare un dialogo culturale e nel documento viene sottolineata la necessità di garantire le cosiddette tre ‘t’ (tierra, techo, trabajo ovvero il sacro diritto alla terra, alla casa e al lavoro) ed anche le tre ‘c’ (colegio, club e capilla, ovvero scuola, attività ricreative e cappella). Occorre garantire all’interno dei quartieri formazione e istruzione, un luogo in cui si possono vivere le proprie capacità, lo sport come scuola di vita e il luogo religioso che è il luogo dell’identità.

Così, con quella creatività di cui parla il Papa, si realizza un circolo virtuoso e si custodiscono i valori culturali positivi delle villas. Se non ci sono questi punti di riferimento all’interno dei quartieri cominciano i problemi gravi e lì la droga riacquista il suo potere schiavizzante”.

Quindi le testimonianze di chi guarda la realtà con occhi ‘evangelici’ è in grado di cambiare il ‘cuore’ e sconfiggere la paura dell’altro, come è avvenuto nel racconto di Caterina Vaglio Tessitore volontaria dell’Associazione ‘Solidarité di Note Dame de Tanger’ di Parigi e Rosanna Pelosi, insegnante a Molenbeek, vicino a Bruxelles.

Caterina si trova a Parigi per il conseguimento di un dottorato di ricerca in Storia dell’arte. Lei e i suoi amici nello scorso mese di ottobre hanno incontrato Suor Marie Jo, camerunense, inviata a Parigi dalla sua congregazione per essere vicina ai migranti: “Avevamo l’esigenza di trarre spunto dalle parole del Papa, rendendoci conto che di fronte a questo problema non si può mettere la testa sotto la sabbia. Il punto, ci disse Suor Marie, è che dobbiamo partire dall’umano.

E di lì abbiamo iniziato, con il sostegno della diocesi, in alcuni locali di una parrocchia nel 19^ arrondissement, una delle realtà territoriali più complesse, cercando di far attenzione, come diceva Suor Marie che ognuno di loro fosse prima di tutto ‘incontrato’, aiutandoli anche nello svolgimento delle pratiche d’ufficio per ottenere asilo, così come con corsi di alfabetizzazione e dando sostegno psicologico. Anche se non si riesce sempre a far fronte ai loro problemi, l’esigenza che hanno maggiormente è quella di essere accolti e stando con loro nascono anche veri rapporti di amicizia”.

Invece Rosanna Pelosi è insegnante d’italiano per conto dell’ambasciata italiana, a Molenbeeck, quartiere ad alto disagio sociale, salito alle cronache per gli attentati terroristici dei mesi scorsi: “L’estremismo islamico nasce in tanti giovani dalla radicalizzazione di una ricerca delle proprie origini e questo crea insicurezza. Anche questi fatti mi fanno sentire l’esigenza di tornare alle origini della nostra fede perché diventi un dialogo con altre culture e mi spinge a cercare, nel rapporto con i ragazzi di cui sono insegnante, di conoscere il meglio me stessa”.

Il disagio si vince anche con la bellezza, come ha raccontato Raymond Bahati, proveniente dalla Repubblica Democratica del Congo. In Italia da quindici anni, ha realizzato il sogno di laurearsi in Psicologia alla Cattolica di Milano e di creare il coro multietnico ‘Elikya’ che canta la speranza in ‘12 lingue’: come da lui stesso raccontato:

“La sollecitazione a venire in Italia e ad iscrivermi a psicologia mi è venuta da don Francesco Pedretti, che ho conosciuto in Africa. Io non volevo venire in Italia e la mamma, che comanda nelle società matriarcali, diceva che lo studio della psicologia, che non esiste in Congo, non serve a niente”.

Dopo la laurea, è nato il desiderio di coltivare la passione per il canto e la musica attraverso la costituzione di ‘Elikya’, (in congolese significa speranza), che è un coro, un laboratorio e un’amicizia in cui ci sono cattolici, musulmani, evangelici ed anche atei: “Cantiamo alle messe e fuori dalle messe, ai matrimoni, in concerti ed anche alla ‘Festa del vino’, perché bisogna uscire dai confini ecclesiastici. Tre anni fa siamo diventati un’associazione:

nello statuto si dice che la nostra esperienza nasce da una base cristiana, ma questo non ha impedito a non cristiani di far parte del coro e di sentirsi in famiglia. Non scegliamo le persone del coro, ma le accogliamo e se c’è chi sa cucire, ma non sa cantare, facciamo un concerto sfilata. Ogni componente si sente accettato così com’è”.

Al termine è stato proposto un video di un’esibizione del coro davanti a papa Benedetto, in occasione del Convegno sulla famiglia tenutosi a Milano nel giugno 2012. Il coro multietnico si è esibito anche davanti a Papa Francesco che, ascoltato un arrangiamento africano di ‘Ubi caritas’, ha apprezzato il risultato e ha incoraggiato il percorso: ‘Non abbiate paura delle contaminazioni’. Fra qualche mese uscirà il cd.

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