Mons. Mansueto Bianchi: alla fine resta la Misericordia di Dio

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Nei giorni scorsi a Pistoia, nella cattedrale di san Zeno, si sono celebrati i funerali dell’assistente generale dell’Azione Cattolica Italiana dal 5 aprile 2014 ed assistente del Forum Internazionale di Ac dal 25 giugno 2014, mons. Mansueto Bianchi, a cui era stata diagnosticata, all’inizio del mese di marzo, una forma tumorale che ha rivelato, nonostante un importante intervento chirurgico, tutta la sua aggressività.

Nell’omelia funebre, il vescovo della diocesi pistoiese, mons. Fausto Tardelli, ha ricordato la sua testimonianza di fede, di speranza e di carità vissuti durante la sua malattia: “M’immagino già cosa starai dicendo ora: che non va bene. Appena ti rividi subito dopo l’operazione, con la tua solita ironia ma già presentendo come sarebbe andata a finire, mi dicesti che volevi leggere in anticipo la mia omelia, per controllare ciò che avrei detto al tuo funerale.

Non ti ho obbedito e ora sono qui a presiedere un rito che mai avrei pensato di dover presiedere. Pensavo altro, sinceramente. E mi sembra uno dei tuoi scherzi, se non è troppo irriverente il dirlo. Eppure, quando l’altra sera ti ho incontrato immobile nel tuo letto e ho visto il tuo sorriso, l’ho subito riconosciuto, perché rivisto tante e tante altre volte”.

Mons. Tardelli ha richiamato il suo testamento spirituale nel quale mons. Bianchi aveva scritto: ‘Alla fine rimane soltanto la Misericordia di Dio!’: “Si, è vero, Dio è infinitamente misericordioso… Com’è strana questa Misericordia di Dio! Com’è lontana dai cliché di moda, dalle banalità che spesso si dicono. La Misericordia di Dio ti spoglia, ti mette a nudo, ti scarnifica, ti consuma nell’amore; ti salva facendoti nuovo; facendoti rinascere attraverso un parto doloroso.

La Misericordia di Dio spesso ci fa soffrire, lascia che si scarichino su di noi mali, sofferenze e disagi; non ci evita le conseguenze nefaste per noi e per gli altri delle nostre scelte sbagliate. La Misericordia di Dio a volte è dura. Umanamente, sembra persino non conoscere pietà…. Quanto e in quanti abbiamo pregato, implorato, supplicato a lungo e insistentemente Dio per la guarigione del nostro fratello ed amico…

Certo, la Misericordia di Dio sa e vede ciò che noi non sappiamo e non vediamo e da quando si è manifestata sommamente nella croce di Cristo, dobbiamo abbandonarci ad essa con piena fiducia, come un bambino svezzato in braccio a sua madre. Ma le domande restano, eccome. I perché rimangono e assillano il cuore e la mente; i dubbi, gli interrogativi continuano a segnare le profondità dell’anima, a ricordarci la nostra condizione di viandanti e pellegrini, ‘con bastone e calzari’”.

E mons. Bianchi era sempre pronto a cercare il volto di Dio: “E tu, amico mio, nel grigiore dei giorni che acutamente avvertivi, nella banalità delle ore che scorrono dentro la quotidianità, in mezzo alla cronaca delle piccinerie umane come dei drammi più assurdi della stupidità umana, hai cercato il volto di Dio; come a tentoni, come in un antico specchio ma con costanza e fedeltà.

Lo hai incontrato in tante situazioni e persone che hai amato e servito con delicatezza e premurosa attenzione, ma sempre di nuovo ti sei ritrovato a cercarlo perché di nuovo perduto, come l’amato del cantico dei cantici. Ora che, ne sono certo, tu vedi come sei visto, dici a noi di non stancarci di cercare, ancora e ancora di nuovo, non nell’astrazione di spiritualismi disincarnati, ma in quel grigio quotidiano fatto però di volti concreti e di gesti d’amore. Quel grigio che nasconde, come una perla nascosta nel campo, la sfolgorante bellezza del Regno di Dio”.

E portando il saluto dell’Azione Cattolica, il presidente nazionale, Matteo Truffelli, lo ha definito un ‘dono inestimabile, da custodire per tutta la vita’: “Ha accompagnato e sostenuto con affetto e con stima il cammino dell’Azione Cattolica condividendo le nostre scelte e incoraggiandoci sempre, con serenità e sapienza, perché, come ci ha ricordato anche negli ultimi giorni, ‘il bandolo lo tiene Lui’.

Ci ha sostenuto e incoraggiato, dunque, dimostrando sempre al contempo un costante rispetto per la responsabilità laicale. Gli siamo grati per aver in tante occasioni spezzato per noi la Parola, facendocela conoscere, capire e gustare con profondità e concretezza. Per la passione, e anche l’ironia, con cui ha condiviso il nostro impegno; una passione e un’ironia fondate sull’amore per la Chiesa e per il mondo. Per l’allegria con cui abbiamo affrontato problemi e inconvenienti, momenti belli e gioiosi della vita associativa.

Gli siamo grati per lo stupore, la stima e la gratitudine con cui ha vissuto il suo servizio in Azione Cattolica: quello stupore, quella stima e quella gratitudine con cui non si stancava di ripeterci, anche negli ultimi giorni, fino quasi a convincerci: ‘siete una Chiesa bellissima’. Un’immensa gratitudine, infine, proviamo per tutto ciò che ha insegnato e trasmesso a ciascuno di noi in questi ultimi mesi”.

E nel ricordarlo la Presidenza nazionale dell’Azione Cattolica ha scritto che sua caratteristica era quella di far amare la Parola di Dio: “ Un tratto che ha caratterizzato la vita e il ministero di mons. Bianchi è stato certamente quello della sua relazione con la Parola di Dio… I suoi contributi, durante le riflessioni e dibattiti, sono passati non solo attraverso la saggezza, l’acutezza, l’esperienza ma sempre attraverso la luce della Parola di Dio”.

Ricordo che nell’udienza concessaci durante l’assemblea nazionale di AC del 2014 papa Francesco aveva invitato i delegati ad ascoltare i suoi consigli per non diventare ‘asinelli’: “Con questo rimanere in Gesù, andare ai confini, vivere la gioia evitando queste tentazioni, eviterete di portare avanti una vita più simile a statue da museo che a persone chiamate da Gesù a vivere e diffondere la gioia del Vangelo.

Se voi volete ascoltare il consiglio del vostro Assistente generale (è tanto mite, perché porta un nome mite, lui, è Mansueto!) se voi volete prendere il suo consiglio, siate asinelli, ma mai statue di museo, per favore, mai!” Mons. Bianchi, da giovane seminarista, aveva anche partecipato, insieme a migliaia di giovani, a portare soccorso ai fiorentini nell’alluvione del 1966, come ha ricordato nel 2010 in un’intervista a Franco Mariani, presidente di ‘Firenze promuove’:

“S’incontrava gente di tutte le parti del mondo e di ogni età convenuta a Firenze per liberarla da questa onta, da questa sciagura che l’aveva colpita. Negli anni mi ha sorpreso questa suggestiva ed immeritata espressione di Angeli del Fango, perché in cui giorni nessuno pensava di essere un angelo per nessuno, semplicemente si cercava di rispondere alla disperazione della gente.

Negli anni successivi mi è capitato di pensarci tante volte perché è stata una di quelle esperienze che ti lasciano il segno dentro, ma non avrei sospettato, a distanza di decenni, di trovarmi alla ribalta dei giornali, insieme agli altri, per i fatti di allora, anche perché ritengo di aver fatto, in quel momento, la cosa più giusta, niente di più”.

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