L’Europa non può dimenticare il Sud Sudan

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“Se il Sud Sudan viene ignorato, l’ondata di profughi che raggiungono le coste europee potrebbe ingrossarsi”: è quanto ha dichiarato mons. Edward Hiiboro Kussala, vescovo di Tombura-Yambio e presidente dell’Inter-Faith Council for Peace Initiative (Icpi) nella Western Equatoria.

Da alcune settimane nella città di Wau gli scontri tra le forze governative e i gruppi armati hanno provocato l’allontanamento di migliaia di persone dalle loro case. La maggior parte dei rifugiati accolti in Uganda (85%) sono donne e bambini al di sotto dei 18 anni, e molti minori hanno perso uno o entrambi i genitori. Buona parte delle persone colpite proviene da Eastern Equatoria, dalla capitale Juba e dalla regione dell’Alto Nilo. Molti sudsudanesi sono fuggiti approfittando dei convogli organizzati dall’esercito ugandese per evacuare i propri connazionali.

Mons. Kussala ha richiamato alla responsabilità della comunità internazionale, ricordando che il Sud Sudan è potenzialmente molto ricco, non solo di petrolio, ma anche di diversi minerali e ha un forte potenziale agricolo; ma il conflitto, provocato da ‘una piccola minoranza’ impedisce al Paese di svilupparsi: “Con l’aiuto internazionale, quello della Chiesa cattolica e degli altri membri della South Sudan Council of Churches, di agenzie come Cafod e Trocaire, Caritas, e altre agenzie umanitarie aiutiamo le popolazioni a sopravvivere, e possiamo ancora assicurare un futuro al nostro Paese…

La tragedia del Sud Sudan è sovrastata nei media dagli attentati terroristici in Europa e in altre parti del mondo, ma l’Europa non può ignorarla altrimenti sarà travolta da un’altra ondata di profughi”. Intanto, la fondazione Avsi ha lanciato nei giorni scorsi una nuova campagna per acquistare cereali, farina, olio e acqua. La onlus ha dovuto sospendere per motivi di sicurezza le attività nelle basi di Juba e nell’Eastern Equatoria, ma è al lavoro per far fronte alla crisi alimentare e garantire ai bambini sostegno a distanza e agli studenti nelle scuole la possibilità di sfamarsi, come ha scritto da Juba frate Bill Firman, lasalliano e responsabile del progetto ‘Solidarietà con il Sud Sudan’ operativo dal 2007:

“C’è calma apparente in tutti i centri principali del paese, in realtà questa è una bomba che sta per esplodere… La gente ha paura e fame. In molti non hanno un riparo, né cibo. Il cugino di un diacono è stato giustiziato dai soldati ad un check point per il solo fatto che era della tribù Nuer. La frontiera con l’Uganda rimane chiusa. Molti cercano di fuggire, invano. L’aeroporto, stracolmo, è aperto, ma volano solo i charter. Croce rossa, Medici senza Frontiere e molti altri hanno evacuato il loro personale…

Il processo di pace è in panne. Le rappresaglie riprenderanno in altre parti del paese dove i ribelli sono più forti. Il governo del Sud Sudan è in bancarotta. Non paga i soldati e tanti altri dipendenti pubblici, che finiscono per rubare per disperazione. Noi? Vogliamo restare, per continuare a dare risposte di vita ed una speranza possibile”. Inoltre negli ultimi due mesi le violenze hanno causato pesanti conseguenze sulla popolazione e aggravato l’emergenza umanitaria in tutto il Paese.

Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite Ocha, gli ultimi scontri hanno provocato oltre 36.000 sfollati e si stima che quasi la metà di loro non abbia un luogo in cui dormire e non possa accedere a acqua cibo e a servizi igienici e sanitari di base. Circa 5.000 sud sudanesi, gran parte donne e minori, sono scappati in Uganda e in Kenya in cerca di un rifugio sicuro. Secondo l’agenzia Ocha dal dicembre 2013 oltre 2.300.000 hanno lasciato le proprie case e più di 1.600.000 di sud sudanesi sono attualmente sfollati, 720.000 hanno trovato rifugio all’estero. Oltre 5.000.000 di persone hanno bisogno di assistenza umanitaria.

Cei e Caritas italiana hanno stanziato un fondo, attraverso la donazione dell’8permille, per sovvenire alle necessità della popolazione e pubblicato un dossier dal titolo ‘2016: Un nuovo inizio?, in cui si ripercorrono “le tappe più importanti di questo martoriato Paese e si offre uno spaccato della situazione socio-economica, delle dinamiche alla base del recente conflitto, delle principali questioni aperte, con uno sguardo anche al Sudan”.

Con questo dossier, Caritas italiana fa eco al ‘messaggio di speranza e incoraggiamento per il futuro’ lanciato dai vescovi del Sud Sudan: “Non abbiate paura, alzatevi al di sopra delle avversità. Siate pronti ad impegnarvi per la pace e per il bene comune… Non c’è una guerra giusta, ma è necessario un approccio alla pace giusta… Dobbiamo sfidare la cultura militarista in Sud Sudan, dove perfino i civili portano fucili da guerra. Condanniamo il commercio di armi che alimenta la guerra”.

Inoltre Amnesty International e la Federazione internazionale dei diritti umani (Fidh) hanno dichiarato che i recenti episodi di violenza rendono ancora più evidente la necessità di chiamare a rispondere di fronte alla giustizia i responsabili dei crimini di diritto internazionale commessi durante il conflitto armato:

“La recente escalation di violenza a Juba e in altre parti del Sud Sudan è solo l’ultima di un ciclo di violenze alimentato dall’impunità. Una pace sostenibile rimarrà un miraggio se non si farà nulla per accertare e punire le responsabilità dei crimini commessi in passato”.

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