Turchia: attacco a chiese durante il colpo di stato

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Nel colloquio con i giornalisti durante il viaggio di ritorno a Roma da Cracovia papa Francesco così ha risposto ad una domanda se ha timore di ripercussioni nei confronti dei cristiani dopo gli avvenimenti in Turchia:

“Quando ho dovuto dire qualcosa che non piaceva alla Turchia ma della quale ero sicuro, l’ho detta, con le conseguenze che voi conoscete. Ma ero sicuro. Non ho parlato finora perché non sono ancora sicuro, con le informazioni ricevute, su che cosa stia succedendo lì.

Ascolto le informazioni che arrivano in Segreteria di Stato, e quelle di qualche analista politico importante. Sto studiando la situazione con la Segreteria di Stato e la cosa ancora non è chiara. E’ vero, sempre si deve evitare il male ai cattolici. Ma non al prezzo della verità. C’è la virtù della prudenza, ma nel caso mio voi siete testimoni che quando ho dovuto dire qualcosa che toccava la Turchia, l’ho detta”.

Secondo l’ong ‘Porte Aperte’ il fallito golpe in Turchia ha avuto forti ripercussioni contro le chiese cristiane: “Durante la notte del 15 luglio, la Turchia ha tremato di fronte al colpo di stato poi fallito dei militari. Ora tremano gli equilibri internazionali oltre che le migliaia di epurati, incarcerati e licenziati da Erdogan. Ogni conoscitore del contesto turco e di Erdogan non sarà sorpreso dalla dura repressione del cosiddetto ‘Sultano della Turchia’.

Ciò che vorremmo far risaltare è che in mezzo a questo golpe e in questo grande paese musulmano (osservato speciale per tante ragioni), vive una minoranza cristiana discriminata al punto che la Turchia è presente nella nostra WWList (45° posto). A Malatya, un gruppo non identificato di persone ha attaccato la Chiesa Protestante di Malatya, riuscendo a mandare in pezzi i vetri delle porte di ingresso, secondo quanto riportato da Middle East Concern (MEC).

Secondo il pastore Stone, il fatto è da annoverarsi tra gli atti vandalici, ossia un gruppo di musulmani radicali che hanno approfittato della notte del golpe per sfogare il loro odio verso i cristiani. Crediamo non vada ridimensionato eccessivamente questo attacco, così come non va dimenticato che Malatya è la stessa città dove il 18 aprile 2007 furono brutalmente seviziati ed uccisi 3 cristiani.

Sempre MEC riporta che la Chiesa Cattolica di Santa Maria a Trebisonda è stata presa di assalto da un gruppo di 10 persone circa, le quali con bastoni e martelli hanno danneggiato le finestre e tentato di entrare. A quanto pare, sono stati dei vicini musulmani a convincere gli aggressori a smetterla e ad andarsene. Stiamo parlando della stessa chiesa in cui nel febbraio 2006 fu ucciso il prete cattolico Andrea Santoro”.

Intanto dopo alcune settimane dal fallito colpo di Stato Amnesty International ha raccolto credibili informazioni sui pestaggi e le torture, compresi gli stupri, che avvengono nei centri di detenzione ufficiali e non ufficiali della Turchia, secondo cui a seguito del fallito colpo di stato, sono state arrestate oltre 10.000 persone, come ha dichiarato John Dalhuisen, direttore per l’Europa:

“Le notizie di pestaggi e stupri sono estremamente allarmanti, considerando soprattutto l’alto numero di arresti dell’ultima settimana. I crudi dettagli di cui siamo in possesso sono solo un esempio di quello che potrebbe star accadendo nei luoghi di detenzione… E’ assolutamente fondamentale che le autorità turche fermino queste pratiche ripugnanti e consentano agli osservatori internazionali di incontrare tutti i detenuti”.

Ha documentato le violazioni dei diritti umani, fornendo numeri allarmanti. Secondo il governo, durante il fallito colpo di stato sono state uccise almeno 208 persone e ne sono state ferite oltre 1400. In seguito, sono state arrestate oltre 10.000 persone. Oltre 45.000 persone sono state sospese o rimosse dall’incarico, tra le quali giudici, procuratori, funzionari di polizia e altre ancora. Alla data del 25 luglio erano stati spiccati 42 mandati di cattura nei confronti di giornalisti e, alla data del 26 luglio, sei giornalisti erano agli arresti. Nei giorni successivi al fallito colpo di stato sono stati bloccati 20 siti Internet. A decine di giornalisti è stato ritirato l’accredito-stampa ed è stata revocata la licenza a 25 organi d’informazione.

Secondo le informazioni raccolte da Amnesty International, i detenuti in custodia di polizia a Istanbul e Ankara sono costretti a rimanere fino a 48 ore in posizioni che provocano dolore fisico. Inoltre, sono privati di cibo, acqua e cure mediche, insultati e minacciati e, in diversi casi, sottoposti a brutali pestaggi e a torture, tra cui lo stupro. La durata iniziale dello stato d’emergenza imposto il 20 luglio è di tre mesi, durante i quali il governo può agire tramite decreto senza voto parlamentare:

“Stiamo assistendo a una repressione di proporzioni eccezionali. Mentre è comprensibile e legittimo che il governo voglia porre sotto inchiesta e punire i responsabili del sanguinoso tentativo di colpo di stato, è doveroso che le autorità rispettino lo stato di diritto e proteggano la libertà d’espressione… La popolazione si sta ancora riprendendo dai tragici avvenimenti ed è fondamentale che la libertà di stampa e la circolazione senza ostacoli delle informazioni siano protette, anziché soppresse”.

Un altro fronte preoccupante riguarda l’accordo tra Turchia e Unione Europea sui migranti, già precedentemente contestato da tutte le organizzazioni umanitarie e che, dopo gli ultimi avvenimenti, torna a far discutere. Infatti secondo Chrsopher Hein, portavoce del Consiglio Italiano rifugiati (Cir), l’Europa deve far un passo indietro, perché per quel patto sono venuti meno tutti i presupposti:

“L’accordo tra Ue e Turchia non è un vero e proprio trattato internazionale, non ne ha la natura giuridica. E’ un’intesa politica che si può sciogliere senza formalità, e che a nostro avviso va sciolta, perché si basa sulla considerazione che la Turchia sia un paese terzo sicuro, in cui possono essere legalmente rimandati indietro i rifugiati dalla Grecia.

E’ chiaro che questo presupposto, su cui ci siamo espressi negativamente in passato, oggi non è più sostenibile. La Turchia non è un paese terzo sicuro e dunque anche l’accordo con l’Ue deve venire meno”. Secondo Hein, inoltre, sarebbe quantomeno imbarazzante per l’Europa autorizzare il pagamento di € 6.000.000.000 previsti dall’accordo a un paese che sta attuando una repressione tanto cruda.

Anche secondo Chiara Favilli, esperta di diritto comunitario e membro di Asgi (associazione studi giuridici per l’immigrazione) tutta la partita si gioca sul piano politico: “La Turchia è da sempre un partner scomodo per l’Europa, anche prima di questa strategia di repressione, che per ora sta interessando cittadini turchi e non i profughi, la libertà di stampa non era garantita, così come il dissenso.

Molte organizzazioni umanitarie hanno più volte evidenziato come il paese non fosse in linea con il sistema dei diritti fondamentali europei. Ma la posizione degli Stati è sempre stata ambigua anche perché la Turchia fa parte del Consiglio d’Europa. Per questo motivo finora sono stati stretti diversi accordi commerciali e da ultimo quello sull’immigrazione”.

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