Il mondo onora Elie Wiesel, autore della memoria

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Il 6 maggio scorso, in occasione della consegna del Premio Carlo Magno, Papa Francesco nel suo discorso di ringraziamento così ricordò Elie Wiesel, scomparso recentemente: “Lo scrittore Elie Wiesel, sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti, diceva che oggi è capitale realizzare una ‘trasfusione di memoria’. E’ necessario ‘fare memoria’, prendere un po’ di distanza dal presente per ascoltare la voce dei nostri antenati. La memoria non solo ci permetterà di non commettere gli stessi errori del passato, ma ci darà accesso a quelle acquisizioni che hanno aiutato i nostri popoli ad attraversare positivamente gli incroci storici che andavano incontrando.

La trasfusione della memoria ci libera da quella tendenza attuale spesso più attraente di fabbricare in fretta sulle sabbie mobili dei risultati immediati che potrebbero produrre ‘una rendita politica facile, rapida ed effimera, ma che non costruiscono la pienezza umana’. A tal fine ci farà bene evocare i Padri fondatori dell’Europa.

Essi seppero cercare strade alternative, innovative in un contesto segnato dalle ferite della guerra. Essi ebbero l’audacia non solo di sognare l’idea di Europa, ma osarono trasformare radicalmente i modelli che provocavano soltanto violenza e distruzione. Osarono cercare soluzioni multilaterali ai problemi che poco a poco diventavano comuni”.

Così se ne è andato uno scrittore che ha aiutato il mondo a non dimenticare ciò che è stato. Nel 1940 la Romania perse la città di lingua yiddish a seguito del secondo arbitrato di Vienna. Nel 1944 Wiesel, la sua famiglia ed il resto dei suoi concittadini furono rinchiusi nei due ghetti di Sighet. Wiesel e la sua famiglia vissero nel più grande dei due, in via del Serpente. Il 6 maggio 1944, le autorità ungheresi diedero il permesso all’esercito tedesco di effettuare la deportazione degli ebrei dei ghetti di Sighet ad Auschwitz-Birkenau.

Molti libri ha scritto, la sua scrittura, pur nella durezza delle parole scarne, era piacevole. Ho letto alcuni libri del premio Nobel per la letteratura, ma il romanzo che più mi ha colpito alla stregua di Primo Levi, è stato il romanzo ‘La notte’, che descrive il tragico arrivo al campo di Auschwitz:

“Mai dimenticherò quella notte, la prima notte nel campo, che ha fatto della mia vita una lunga notte e per sette volte sprangata. Mai dimenticherò quel fumo. Mai dimenticherò i piccoli volti dei bambini di cui avevo visto i corpi trasformarsi in volute di fumo sotto un cielo muto. Mai dimenticherò quelle fiamme che bruciarono per sempre la mia Fede. Mai dimenticherò quel silenzio notturno che mi ha tolto per l’eternità il desiderio di vivere.

Mai dimenticherò quegli istanti che assassinarono il mio Dio e la mia anima, e i miei sogni, che presero il volto del deserto. Mai dimenticherò tutto ciò, anche se fossi condannato a vivere quanto Dio stesso. Mai”. Contro l’oblio dell’Occidente scelse, all’inizio degli anni ’50, di essere un testimone, di scrivere: sapeva di produrre qualcosa di buono solo quando ‘le parole erano incandescenti’.

Fu così che decise di essere un combattente contro l’oblio, l’indifferenza, la menzogna, un partigiano del suo popolo e degli oppressi, perché ha sempre lottato per la libertà degli ebrei russi, finché c’era la Cortina di ferro, e quelli etiopici, e moltissimo si è speso contro i genocidi in Cambogia, Ruanda, l’apartheid in Sudafrica, per i desparecidos in Argentina, le vittime bosniache, gli indiani Miskito in Nicaragua, i Curdi, chiedendo interventi in Darfur, Sudan, una risoluzione Onu che definisse e giudicasse il terrorismo un crimine contro l’umanità.

All’inizio della sua carriera ebbe timore di raccontare il suo dolore; cambiò idea durante un’intervista allo scrittore cattolico Francois Mauriac: lo fece piangere paragonando le sofferenze dei bambini ebrei a quelle di Gesù. Mauriac gli suggerì di parlarne. Una volta riscritto in francese e molto più brevemente, Mauriac gli regalò un’introduzione. Fu rifiutato da tutti gli editori fuorché dal piccolo Editions de Minuit nel 1958. Fu stampato nel ’59, pochi lo comprarono.

Poi nel ’61 la cattura di Eichmann e il suo processo a Gerusalemme mutarono la scena, e le guerre dei Sei Giorni e di Kippur ancor di più: l’umanità divenne consapevole della Shoah e si interrogava dei destini ebraici. Nel giorno del conferimento del Nobel nel 1986 disse: “E’ per gli esseri viventi che scrivo e al tempo stesso per riconciliarli con i morti. Forse una tremenda ira li separa ed ecco perché, penso è giunta l’ora di cercare di riconciliarli”.

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