Ratzinger: insegnare ed imparare l’amore di Dio

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“Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia”: è la citazione paolina (2 Cor 1,24) che nella festa dei Santi Pietro e Paolo dell’anno 1951 accompagnava l’ordinazione sacerdotale di Joseph Ratzinger, ricevuta nel duomo di Frisinga per mano dell’arcivescovo di Monaco, card. Michael von Faulhaber, incisa sull’immaginetta a ricordo di quell’avvenimento.

L’anniversario è stato ricordato con una cerimonia solenne il 28 giugno nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico, alla presenza di papa Francesco e del papa emerito Benedetto XVI, che nella sua autobiografia ha scritto: “Eravamo più di quaranta candidati; quando venimmo chiamati rispondemmo Adsum, ‘sono qui’. Era una splendida giornata d’estate, che resta indimenticabile, come il momento più importante della mia vita.

Non si deve essere superstiziosi, ma nel momento in cui l’anziano arcivescovo impose le mani su di me, un uccellino, forse un’allodola, si levò dall’altare maggiore della cattedrale e intonò un piccolo canto gioioso; per me fu come se una voce dall’alto mi dicesse: va bene così, sei sulla strada giusta… Eravamo invitati a portare in tutte le case la benedizione della prima Messa e fummo accolti dovunque, anche da persone completamente sconosciute, con una cordialità che fino a quel momento non mi sarei nemmeno immaginato.

Sperimentai così molto direttamente quali grandi attese gli uomini abbiano nei confronti del sacerdote, quanto aspettino la sua benedizione, che deriva dalla forza del sacramento. Non si trattava della mia persona o di quella di mio fratello: che cosa avrebbero potuto significare per se stessi due giovani come noi per tanta gente che incontravamo? Essi vedevano in noi delle persone cui Cristo aveva affidato un compito, per portare la sua presenza fra gli uomini”.

Ed in occasione della presentazione del volume di Roberto Regoli, ‘Oltre la crisi della Chiesa – Il pontificato di Benedetto XVI’, mons. Georg Gänswein, prefetto della Casa Pontificia e segretario particolare del Papa emerito, ha tratteggiato la sua teologia: “In effetti devo ammettere che forse è impossibile riassumere più concisamente il pontificato di Benedetto XVI. E lo afferma chi in tutti questi anni ha avuto il privilegio di fare da vicino esperienza di questo Papa come un classico ‘homo historicus’, l’uomo occidentale per eccellenza che ha incarnato la ricchezza della tradizione cattolica come nessun altro; e che, nello stesso tempo, è stato talmente audace da aprire la porta a una nuova fase, per quella svolta storica che nessuno cinque anni fa si sarebbe potuto immaginare.

Da allora viviamo in un’epoca storica che nella bimillenaria storia della Chiesa è senza precedenti. Come ai tempi di Pietro, anche oggi la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica continua ad avere un unico Papa legittimo. E tuttavia, da tre anni a questa parte, viviamo con due successori di Pietro viventi tra noi – che non sono in rapporto concorrenziale fra loro, e tuttavia entrambi con una presenza straordinaria! Potremmo aggiungere che lo spirito di Joseph Ratzinger in precedenza ha già segnato in modo decisivo il lungo pontificato di san Giovanni Paolo II, che egli fedelmente servì per quasi un quarto di secolo come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Molti continuano a percepire ancor oggi questa situazione nuova come una sorta di stato d’eccezione voluto dal Cielo”.

Ed ha tratteggiato il suo pontificato: “Joseph Ratzinger non divenne Giovanni Paolo III, come forse molti si sarebbero augurati. Si riallacciò invece a Benedetto XV, l’inascoltato e sfortunato grande papa della pace degli anni terribili della Prima guerra mondiale, e a san Benedetto di Norcia, patriarca del monachesimo e patrono d’Europa.

Potrei comparire come superteste per testimoniare come, negli anni precedenti, mai il cardinale Ratzinger aveva premuto per assurgere al più alto ufficio della Chiesa cattolica. Già sognava invece vivamente una condizione che gli avrebbe permesso di scrivere in pace e tranquillità alcuni, ultimi libri. Tutti sanno che le cose andarono diversamente. Durante l’elezione, poi, nella Cappella Sistina fui testimone che visse l’elezione come un ‘vero shock’ e provò ‘turbamento’, e che si sentì ‘come venire le vertigini’ non appena capì che ‘la mannaia’ dell’elezione sarebbe caduta su di lui.

Non svelo qui alcun segreto perché fu Benedetto XVI stesso a confessare tutto questo pubblicamente in occasione della prima udienza concessa ai pellegrini venuti dalla Germania. E così non sorprende che fu Benedetto XVI il primo papa che subito dopo la sua elezione invitò i fedeli a pregare per lui, fatto questo che ancora una volta questo libro ci ricorda”.

E così ha raccontato le sue dimissioni: “Le dimissioni epocali del Papa teologo hanno rappresentato un passo in avanti essenzialmente per il fatto che l’11 febbraio 2013, parlando in latino di fronte ai cardinali sorpresi, egli introdusse nella Chiesa cattolica la nuova istituzione del ‘Papa emerito’, dichiarando che le sue forze non erano più sufficienti ‘per esercitare in modo adeguato il ministero petrino’. La parola chiave di quella Dichiarazione è munus petrinum, tradotto, come accade il più delle volte, con ‘ministero petrino’.

E tuttavia, munus, in latino, ha una molteplicità di significati: può voler dire servizio, compito, guida o dono, persino prodigio. Prima e dopo le sue dimissioni Benedetto ha inteso e intende il suo compito come partecipazione a un tale ‘ministero petrino’. Egli ha lasciato il Soglio pontificio e tuttavia, con il passo dell’11 febbraio 2013, non ha affatto abbandonato questo ministero.

Egli ha invece integrato l’ufficio personale con una dimensione collegiale e sinodale, quasi un ministero in comune, come se con questo volesse ribadire ancora una volta l’invito contenuto in quel motto che l’allora Joseph Ratzinger si diede quale arcivescovo di Monaco e Frisinga e che poi ha naturalmente mantenuto quale vescovo di Roma: ‘cooperatores veritatis’, che significa appunto ‘cooperatori della verità’”.

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