Contro il lavoro minorile

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Durante l’Angelus di domenica 12 giugno papa Francesco aveva rivolto alcune parole per ricordare la giornata mondiale contro il lavoro minorile: “Oggi ricorre la Giornata mondiale contro il lavoro minorile. Rinnoviamo tutti uniti lo sforzo per rimuovere le cause di questa schiavitù moderna, che priva milioni di bambini di alcuni diritti fondamentali e li espone a gravi pericoli. Oggi ci sono nel mondo tanti bambini schiavi”.

Infatti secondo gli ultimi dati dell’ILO sono 168.000.000 i bambini coinvolti nel lavoro minorile contro i 246.000.000 del 2000. 85.000.000 di questi (erano 171.000.000 nel 2000) sono impegnati in lavori pericolosi, ovvero quelli dove i bimbi rischiano la vita o causano malattie e disabilità permanenti. Inoltre si stima che siano 115.000.000 i bambini tra i 5 e i 17 anni che lavorano in condizioni pericolose in settori diversi come l’agricoltura, le miniere, il manifatturiero, gli alberghi, la ristorazione e i servizi domestici. Un fenomeno che accomuna sia i paesi industrializzati che quelli in via di sviluppo.

Sempre secondo l’ILO, sarebbero circa 22.000 i bambini uccisi sul posto di lavoro ogni anno, mentre non si conosce il numero dei feriti o di quelli che si ammalano a causa del loro lavoro. L’Asia e il Pacifico restano le zone dove si concentra il maggior numero di bambini con quasi 78.000.000, ovvero il 9,3% della popolazione minore. L’Africa sub-sahariana continua ad essere la regione con la più alta incidenza di lavoro minorile (59.000.000, oltre il 21%). L’agricoltura è il settore con il maggior numero di bambini lavoratori coinvolti.

Per l’occasione l’ong Terre des Hommes aveva pubblicato anche un report, ‘We Struggle to Survive’ (Ci sacrifichiamo per vivere) che indaga il lavoro minorile tra i bambini rifugiati siriani, che, come ha ribadito il suo presidente Raffaele Salinari, ha raggiunto dimensioni allarmanti: “Le disperate condizioni di vita dei siriani dopo cinque anni di conflitto stanno spingendo sempre più minori ad accettare qualsiasi lavoro, anche quelli più pesanti o pericolosi.

Sebbene non siano disponibili dati ufficiali sul numero dei bambini lavoratori, abbiamo riscontrato che tra le famiglie rifugiate il ricorso al lavoro dei bambini sta diventando la risposta più comune alla drammatica mancanza di risorse economiche e di accesso gratuito ai servizi di base. Chiediamo quindi ai governi che ospitano i rifugiati e alle agenzie umanitarie di adottare immediatamente meccanismi di protezione dei bambini e di prevenzione del loro sfruttamento che tengano conto della complessità del fenomeno”.

Lo studio dell’ong ha coinvolto tutte le organizzazioni della Federazione, attive in Medio Oriente e le associazioni locali che contribuiscono a portare assistenza ai bambini rifugiati e alle loro famiglie in Siria, Libano, Giordania, Iraq, Turchia, Grecia. All’indagine hanno partecipato direttamente 97 bambini e ragazzi lavoratori, dagli 8 ai 18 anni (86 siriani e 11 iracheni), che hanno portato la loro testimonianza in 10 focus group svolti tra marzo e aprile 2016. Più del 50% di loro ha dichiarato di lavorare più di 7 ore al giorno, il 33% lavora 7 giorni su 7. Alcuni di loro avevano solo 5-6 anni quando hanno iniziato a lavorare.

Ancora il presidente ha evidenziato il proliferare del lavoro minorile senza interventi di autorità in grado di reprimere il fenomeno: “Vediamo bambini e bambine siriane lavorare nei campi, cantieri, ristoranti, negozi, fabbriche, allevamenti. Sono per strada a vendere fiori o altra mercanzia, ma anche a mendicare. In Iraq, tra i minori che hanno partecipato al nostro studio un bambino su tre ha dichiarato di essere stato avvicinato da qualcuno che gli aveva proposto di arruolarsi in una delle parti in conflitto.

Particolarmente preoccupante la presenza del lavoro minorile in Turchia, un paese che aspira ad entrare nell’Unione Europea e l’affacciarsi di questo fenomeno sulla rotta balcanica a seguito della chiusura del confine tra Grecia e Macedonia, con alcuni casi di bambini lavoratori rilevati nella zona di Idomeni, a causa della mancanza di un’adeguata assistenza umanitaria ai migranti”.

I bambini siriani stanno sacrificando la loro infanzia, prendendo su di sé il pesante carico di mantenere o aiutare la propria famiglia con il proprio lavoro. Spesso sono gli unici a poter lavorare, date le restrizioni poste dalla legge dei paesi ospitanti al lavoro legale degli adulti. Adulti che spesso non sono in condizioni di lavorare perché malati o mutilati a causa della guerra.

Finiti i risparmi delle famiglie, ridotti i servizi per i rifugiati e tagliati gli aiuti delle Nazioni Unite a causa della mancanza di fondi, i bambini sono stati costretti a cercare un modo per guadagnare. La difficoltà di inserirsi nelle scuole dei paesi ospitanti ha fatto il resto, creando una generazione di bambini che anche quando il conflitto terminerà non avrà la possibilità di aspirare a impieghi specializzati.

Terre des Hommes è in particolare preoccupata per l’accordo tra UE e la Turchia, che potrebbe portare a concrete violazioni del diritto umanitario, ostacolando le richieste di asilo. Inoltre raccomanda all’Unione Europea di mettere in atto meccanismi per la prevenzione e la protezione dei bambini rifugiati, in particolare per coloro che sono vittime di sfruttamento lavorativo. Lo studio ha evidenziato come il conflitto in Siria abbia portato a un forte incremento del lavoro minorile.

In quel paese le violazioni dei diritti fondamentali dei bambini e il protrarsi dei combattimenti hanno creato una generazione di bambini che non ha avuto accesso a un’istruzione di qualità ed è stata esposta ad orrori indicibili, finendo per essere condannata, se non viene adeguatamente assistita e supportata, a un futuro di privazioni e sfruttamento.

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