Via crucis, via lucis

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All’origine di tutto c’è sempre l’amore di Gesù che è esplosione di misericordia che accompagna la monotonia del nostro peccato e prosegue compiendosi in Lui Figlio di Dio fatto uomo e crocifisso. Siamo giustificati dall’amore misericordioso e dalla sua accoglienza mediante la fede. Di conseguenza, non sono le opere dell’uomo che giustificano con il loro valore autonomo e sterile, ma è l’opera di Cristo che suscita la novità di vita in chi l’accoglie pienamente e coscientemente.

Nel viaggio verso Gerusalemme Luca ci racconta un episodio singolare in un momento decisivo della vita di Gesù (cf Lc 9, 18-24). A motivo dell’incomprensione della folla e dell’opposizione sempre più violenta dei farisei, Gesù, camminando sempre più solo verso la croce, cerca di evitare il contatto con le masse e si ritira in un luogo deserto per concentrarsi sulla formazione dei discepoli.

Mentre si trova in luogo appartato a pregare, chiede ai discepoli che erano con lui: Le folle, chi dicono che io sia?  Nella risposta che i discepoli danno si nota che non è un uomo come tanti altri. Egli, infatti, è ritenuto un Giovanni Battista, un Elia o uno degli antichi profeti risorto alla vita. Gesù risponde alla domanda con una contro domanda: Ma voi, chi dite io sia? A nome del gruppo, Pietro proclama la sua messianicità: Il Cristo di Dio. L’Apostolo, però, è cosciente di quel che dice? Crede nel Messia glorioso o nel Servo sofferente? E’ difficile capire cosa esattamente l’apostolo intendesse dire. Secondo il racconto di Marco e Matteo, Pietro, a questo punto, si rivela profondamente incredulo. Luca, invece, colpito dall’incomprensione dell’apostolo, preferisce tacere.

Intanto Gesù, per evitare equivoci, rivela la necessità della sua passione; traccia il proprio itinerario e destino e afferma con decisione, che la gloria messianica non mancherà, ma si rivelerà e sarà data al termine della sofferenza, della riprovazione e della morte. Dopo sarebbe esplosa la risurrezione. Sul Calvario, infatti, Dio onnipotente è “colpito” ma non per questo è reso impotente! Con questo racconto di Luca, è bello notare, nel modo di agire di Gesù, il rapporto tra orazione, rivelazione e confessione!

Intanto lo scandalo sta tutto in quel deve soffrire molto. In effetti, si può accettare una passione che viene per caso, ma è difficile accettare una passione che scaturisce dalla logica di un misterioso piano del Padre sul Figlio incarnato e sull’umanità tutta. Fu questo il perenne motivo di scandalo nell’ambiente giudaico, fu questo l’interrogativo assillante della chiesa dei primi secoli e continua a esserlo per la chiesa di sempre.

La passione, dunque, non è il solo destino di Gesù, ma anche dei suoi discepoli. La condizione per seguirlo è il non stare a pensare a se stessi: Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. La sequela non si esaurisce in un cambiamento morale ma in un’autentica conversione personale e teologica. Personale perché, coinvolgendo tutta la persona, la conversione è radicale. Teologica perché, rovesciando il nostro modo di concepire Dio e il suo amore misericordioso, annulla il Dio costruito da noi come sostenitore dei nostri progetti e accoglie il Dio che offre il suo amore inatteso e critico nei confronti dei nostri progetti. La sequela di Gesù comporta, dunque, il ricalcare le orme del Cristo storico, ciascuno all’interno delle proprie coordinate storiche d’amore.

La Provvidenza non risparmia nessuno se la sola strada della redenzione messianica passa attraverso il Calvario. Ogni purificazione e ogni rinnovamento vengono dal sacrificio di Gesù e dalla sintonia in cui mettiamo la nostra vita rispetto alla volontà di Dio che è salvezza con la passione. Essere discepoli significa appartenere a Lui attraverso la consonanza interiore e concreta e la solidarietà di sorte. Diversamente ci illudiamo di andare dietro al Maestro perché rendiamo vana in noi la sua passione, sterile la professione di fede, senza contenuto la vita sacramentale.

Il discorso di Gesù non è un programma di morte ma un itinerario di luce e di vita, di trasfigurazione e di divinizzazione. Rischiare la vita per Cristo è l’unico modo per poterla salvare.

Se nella professione di fede riconosciamo Gesù, Figlio di Dio, comunicando al suo Corpo e al suo Sangue noi dimoriamo in Lui e Lui in noi. I Padri della Chiesa non hanno mai esitato a parlare della nostra “concorporeità” e “consanguineità” con il Figlio di Dio, Cristo Gesù, in virtù della comunione con Lui. Soltanto così la nostra esistenza diventa ogni giorno sublime dedizione a Cristo. Il vero credente è un essere “per” Lui, com’Egli è “per” il Padre.

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