Save the Children: le mamme sono equilibriste

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Nei giorni scorsi è stato inaugurato a Roma, nell’ospedale San Giovanni Addolorata, un nuovo spazio del progetto ‘Fiocchi in Ospedale’. Con tale progetto dal 2012 sono state raggiunte 21150 persone tra bambini e famiglie con i servizi di sostegno a mamme e neonati presenti in 4 strutture ospedaliere a Bari (Policlinico), Napoli (Cardarelli), Roma (Gemelli) e Milano (Niguarda).

Ed in occasione della Festa della Mamma Save the Children ha messo in rete anche un video emozionale virale per fare gli auguri a tutte le mamme, perché, come loro, ‘farebbe di tutto per salvare i bambini’. In effetti oggi le mamme in Italia sono in media un po’ più avanti negli anni, 31 e mezzo alla nascita dei figli, e molto raramente sono teenagers (meno di 2.000 i figli nati da madri minorenni), ma tutte, indistintamente, condividono una condizione inequivocabile di svantaggio sociale, professionale ed economico.

Le donne in Italia sono infatti costrette a un difficile equilibrismo tra la scelta di maternità e il carico dovuto alle cure familiari, ancora molto sbilanciato sulle loro spalle e reso ancor più gravoso dalla carenza di servizi di sostegno sul territorio, facendo al tempo stesso i conti con un mercato del lavoro che le penalizza a priori in quanto donne e diventa un problema ancora più grande quando arrivano i figli.

Cura familiare, lavoro e servizi pubblici per l’infanzia sono proprio le tre dimensioni rappresentate nel nuovo ‘Indice delle Madri’ di Save the Children, che stila una speciale classifica delle regioni dove è più facile essere mamme in Italia. L’indice, sviluppato sulla base dell’analogo indice mondiale dell’Ong, incrocia in modo ragionato sette tra i principali e più recenti indicatori disponibili per diverse fasce d’età, quali il tasso di fecondità, l’indice di asimmetria nel lavoro familiare, il tasso di occupazione femminile e quello di mancata partecipazione al mercato del lavoro, l’indice di presa in carico degli asili nido e dei servizi per la prima infanzia e la frequenza della scuola dell’infanzia.

In base a tale Indice se la regione più ‘mother friendly’ di tutte risulta essere il Trentino Alto Adige, che si colloca al primo posto seguito nell’ordine da Valle d’Aosta (2), Emilia Romagna (3), Lombardia (4), Toscana (5), Piemonte (6) e dalle altre regioni del nord, che mostrano in generale condizioni più favorevoli alla maternità, la Calabria chiude invece in ultima posizione la speciale classifica, preceduta di poco da altre regioni del Mezzogiorno come Puglia (16), Basilicata (17), Sicilia (18) e Campania (19).

Si tratta di uno squilibrio territoriale tra nord e sud confermato anche nel dettaglio di ciascuna dimensione che compone l’indice relativo a cura, lavoro e servizi per l’infanzia. Anche osservando solo l’aspetto della cura familiare, infatti, l’Emilia Romagna si colloca al 1° posto mentre all’ultimo si posiziona sempre la Calabria, e rispetto all’accesso delle donne al mondo del lavoro il Trentino Alto Adige è la regione più virtuosa, la Campania quella meno. Per quanto riguarda l’offerta di servizi pubblici per l’infanzia la Valle d’Aosta si segnala al 1° primo posto e la Basilicata all’ultimo.

Come ha evidenziato tale rapporto, la pressione del lavoro di cura familiare riguarda in Italia circa 8.000.000 di mamme tra i 25 e 64 anni che convivono con figli under 15 o under 25, ancora dipendenti economicamente da loro, ma si concentra maggiormente su quelle con almeno un figlio sotto i 5 anni (2.700.000 di mamme) o tra i 6 e gli 11 anni (2.000.000). L’aumento nel corso degli ultimi 20 anni delle separazioni (+70,7%) e dei divorzi (+100%), inoltre, ha moltiplicato il carico di cura in sfavore delle donne: quasi una mamma su due (45,5%) tra i 35 e i 54 anni separata o divorziata vive da sola con i figli contro l’8,4% degli uomini.

Inoltre il carico preponderante di cure familiari per le mamme si intreccia con un mercato del lavoro che in Italia ne taglia fuori metà tra i 25 e i 64 anni, mentre solo una su tre in Europa trova le porte del lavoro chiuse (32,1%). L’accesso al lavoro delle mamme in Italia si riduce ulteriormente se aumenta il numero dei figli: tra i 25 e i 49 anni il tasso di occupazione materna con 1 figlio è pari al 58,6%, ma si ferma a 54,2% se i figli sono 2 e non supera il 40,7% con 3 o più figli. Un dato fortemente sbilanciato rispetto agli uomini occupati rispettivamente all’81,7%, 86,2% e 81,6%.

Il divario di genere tra i 25 e i 49 anni è ancora più ampio se il grado di istruzione dei genitori è più basso e ci sono 3 o più figli: se il livello è inferiore al secondario superiore solo il 22,5% delle mamme trova lavoro contro il 72,5% dei padri, mentre con un livello di istruzione terziario e un solo figlio l’occupazione materna sale al 73,5% e quella paterna all’83,7%. Anche quando lavora, 1 mamma su 3 si ritrova a fare ricorso al part-time, percentuale che cresce con il numero dei figli. L’8,7% delle mamme che lavora o ha lavorato, poi, ha sperimentato un licenziamento forzato in caso di gravidanza, e la percentuale delle dimissioni in bianco sale ulteriormente se si tratta delle donne più giovani.

In questo quadro bisogna tenere anche conto dei fenomeni di segregazione orizzontale, per cui le donne lavorano in settori economici diversi da quelli degli uomini (servizi, cura e relazione con le persone), del differenziale salariale (6,5% nel 2014), e della segregazione verticale in termini di percorsi di carriera (le donne costituivano solo il 27,6% sul totale dei dirigenti nel 2015). Infine le mamme con un figlio dagli 0 ai 3 anni trovano per lo più l’aiuto dei nonni, nel 51,4% dei casi, quello di un asilo nido, 38,8%, di una colf, baby-sitter o badante (4,2%) o di altri familiari (2,5%), e solo nel 3,3% dei casi quello del compagno o del marito.

Inoltre, bisogna considerare che il 29,7% delle mamme lavoratrici che hanno un figlio 0-3 anni che non frequenta l’asilo nido desidererebbero che non fosse così, e indicano come maggiori ostacoli la retta tropo cara (50,2%) o la mancanza di posti (11,8%). La presa in carico tra 0-3 anni degli asili nido e dei servizi integrativi e innovativi per la prima infanzia in Italia è infatti ferma al 13%, con il picco positivo in Emilia Romagna (26,8%) e il dato peggiore in Calabria (2,1%).

Uno scenario desolante che cambia però radicalmente per i bambini dai 4 ai 5 anni, che nel 95,1% dei casi frequentano la scuola dell’infanzia. Raffaela Milano, direttore dei programmi Italia-Europa di Save the Children, ha sottolineato che occorre intervenire su due livelli: “Per sostenere concretamente le mamme in Italia è necessario intervenire sia sul piano dei servizi che sul piano del lavoro. E’ fondamentale rafforzare la rete dei servizi per la prima infanzia, in alcune aree del Paese oggi di fatto inesistente e, allo stesso tempo, occorre favorire e incentivare un cambiamento nel mondo del lavoro, sia pubblico che privato, affinché non penalizzi più, ma anzi valorizzi, le donne che sono mamme e che lavorano”.

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