I cristiani, i più perseguitati

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I numeri parlano chiaro e sono esorbitanti: 100 milioni i cristiani perseguitati in tutto il mondo; nel 2015 sono stati uccisi 7.100 cristiani rispetto ai 4.344 del 2014 (World Watch List); ogni mese 322 cristiani vengono uccisi a motivo della loro fede, altri 772 subiscono violenze (Open Doors); in 17 dei 22 paesi monitorati da ACS la situazione dei cristiani si è aggravata negli ultimi due anni, e aumenta il numero di paesi in cui la persecuzione è “estrema”.

Un panorama illustrato nell’ultimo numero di “Atlantide”, periodico della Fondazione per la Sussidiarietà, presentato a Roma in un convegno dedicato in particolare alla Siria: “Aleppo crocevia di umanità”. Il vicario apostolico di Aleppo dei Latini, monsignor Georges Abou Khazen parla di una Aleppo multietnica, cosmopolita, una città di commercio e di cultura. “Un bel mosaico” fino a pochi anni fa, e che oggi “qualcuno vuole rompere e ridurre tutto a un unico colore, il nero”.

Oggi Aleppo viene chiamata la Sarajevo della Siria. Una città divisa in due, da una parte l’esercito governativo e dall’altra i ribelli. Una città in cui manca l’elettricità da 7 mesi, in cui anche l’acqua non sempre è disponibile, in cui l’embargo aumenta i disagi della popolazione. Ma il mosaico non è ancora distrutto, se è vero che come racconta il vicario Abou Khazen – i locali del vicariato intitolati a “Gesù operaio” possono ospitare un’opera di musulmani per anziani e disabili, e i musulmani si incaricano di sostenere la mensa del Jesuit Refugee Service (JRS). I reportage di Gian Micalessin (girati tra il 2012 e il 2015) ci proiettano nel cuore di Aleppo. E testimoniano che fin dall’inizio la chiesa siriana aveva messo in guardia dalle violenze dei ribelli e dalla radicalizzazione islamica.

La telecamera entra nelle chiese diroccate dai bombardamenti, ascolta le voci dei cristiani di Aleppo, prima e durante l’occupazione dell’Isis. No, la strada non era proprio l’abbattimento del regime. Non era armare e addestrare chi ha distrutto il paese. Gli stessi che sono arrivati a colpire nel cuore dell’Europa, a Parigi e Bruxelles. Non I media non hanno capito, e nemmeno l’Europa. O non hanno voluto sentire. La Siria, paese storicamente aperto all’accoglienza e all’integrazione di popoli in fuga – dai circassi agli armeni, dai palestinesi ai libanesi, fino ai sudanesi – chiede accoglienza per chi fugge ma anche un aiuto a rimanere: “Aiutateci ad avere pace e molti torneranno”. Un appello, quello del vicario Abou Khazen, che trova un’Europa ancora impacciata.

Puntuale e sobria l’analisi di monsignor Silvano Tomasi, con una lunga esperienza come osservatore della Santa Sede presso le Nazioni Unite a Ginevra. “L’approccio diplomatico che il Vaticano sta portando avanti non è chiedere un privilegio per i cristiani ma difendere i diritti di ogni persona”. Che a livello operativo significa “il rispetto della cittadinanza. Se ogni cittadino ha gli stessi diritti/doveri nei confronti del governo, il governo ha gli stessi doveri verso i cittadini”, a prescindere dalla loro fede religiosa. Laddove i diritti/doveri dei cittadini fossero diversi in base alla loro posizione, “si porrebbero le premesse per la discriminazione”. Un approccio “condiviso dai patriarchi del Medio Oriente” ha sottolineato. Ha quindi puntualizzato che l’esercizio della libertà religiosa a livello sociale è parte dei diritti della persona umana e come tale va garantito a tutti: “La base è la nostra comune umanità, che esige come diritto inerente la libertà religiosa”.

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