Pena di morte: si aggrava la situazione

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“Vorrei, infine, invitare tutti i presenti a sostenere due delle richieste che ho rivolto ai responsabili degli Stati, in questo Anno Giubilare: l’abolizione della pena di morte, là dove essa è ancora in vigore, insieme alla possibilità di un’amnistia, e la cancellazione o la gestione sostenibile del debito internazionale degli Stati più poveri”:

ha domandato papa Francesco nel suo messaggio indirizzato al card. Turkson e a tutti i partecipanti alla Conferenza organizzato congiuntamente dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e dal Movimento Pax Christi, sul tema ‘Nonviolence and Just Peace: Contributing to the Catholic Understanding of and Commitment to Nonviolence’. E nei mesi precedenti aveva lanciato un appello per la sua abolizione nell’anno giubilare:

“Il Giubileo straordinario della Misericordia è un’occasione propizia per promuovere nel mondo forme sempre più mature di rispetto della vita e della dignità di ogni persona. Anche il criminale mantiene l’inviolabile diritto alla vita, dono di Dio. Faccio appello alla coscienza dei governanti, affinché si giunga ad un consenso internazionale per l’abolizione della pena di morte. E propongo a quanti tra loro sono cattolici di compiere un gesto coraggioso ed esemplare: nessuna condanna venga eseguita in questo Anno Santo della Misericordia”.

Però i dati forniti da Amnesty International non sono affatto confortanti: nel 2015 sono state eseguite le condanne a morte di almeno 1.634 persone nel mondo, che rappresenta il numero più alto mai registrato dall’organizzazione dal 1989, e circa il 50% più alto rispetto al 2014. Stando al rapporto, quasi il 90% delle condanne a morte eseguite nel 2015 sono avvenute in tre paesi: Iran, Pakistan e Arabia Saudita.

Le cifre non comprendono le condanne a morte eseguite in Cina: dal 2009 infatti Amnesty International non ha più tentato di raccogliere dati sulle esecuzioni in Cina, viste la difficoltà e le limitazioni a reperire informazioni affidabili. Secondo i ricercatori è probabile che il numero annuale di condanne a morte eseguite in Cina sia nell’ordine delle migliaia, cosa che ne farebbe il paese con più esecuzioni al mondo.

Il segretario generale di Amnesty International, Salil Shetty, ha affermato, commentando i dati: “Iran, Pakistan e Arabia Saudita hanno giustiziato un numero di persone senza precedenti, spesso dopo processi iniqui. Questo massacro deve finire”. Nel dettaglio il Pakistan ha proseguito l’ondata di esecuzioni iniziata nel dicembre 2014 con l’abolizione di una moratoria sull’applicazione della pena di morte per i civili.

L’anno scorso nel paese sono state giustiziate oltre 320 persone (gran parte cattolici), il numero più alto mai registrato da Amnesty International nel Paese. L’Iran ha giustiziato almeno 977 persone nel 2015, contro le 743 dell’anno precedente, la maggior parte delle quali per reati legati al traffico di droga.

L’Iran, in aperta violazione del diritto internazionale, è anche uno degli ultimi paesi rimasti al mondo a giustiziare minorenni: nel 2015 nel paese sono state giustiziate almeno quattro persone che avevano meno di 18 anni all’epoca del reato per cui sono state condannate. Mentre nello scorso anno in Arabia Saudita sono state giustiziate almeno 158 persone, con un aumento del 76% rispetto al 2014. La maggior parte dei condannati a morte sono stati decapitati, ma le autorità saudite hanno usato anche la fucilazione e in alcuni casi i cadaveri dei condannati uccisi sono stati esposti in pubblico.

Amnesty International ha registrato un considerevole aumento delle esecuzioni anche in altri paesi, tra cui Egitto e Somalia. Il numero dei paesi in cui sono state eseguite condanne a morte è salito a 25, rispetto ai 22 del 2014. Almeno 6 sono stato i Paesi che non avevano eseguito condanne a morte nell’anno precedente lo hanno fatto nel 2015: tra questi vi è il Ciad, dove le esecuzioni sono riprese dopo oltre un decennio.

Però, nonostante i passi indietro del 2015, il mondo continua a marciare in direzione dell’abolizione della pena di morte. Alcuni sviluppi dello scorso anno hanno dato speranza e mostrato che i paesi che ancora si aggrappano alla pena di morte sono una isolata minoranza. Quattro Paesi (Figi, Madagascar, Repubblica del Congo e Suriname) hanno abolito la pena di morte per tutti i reati mentre in Mongolia è stato adottato un nuovo codice penale abolizionista che entrerà in vigore nel corso di quest’anno.

Per la prima volta la maggioranza dei paesi del mondo, 102, è completamente abolizionista. In totale, sono 140 quelli che non ricorrono più alla pena di morte per legge o nella prassi. Per quanto riguarda le Americhe, Amnesty International ha ricordato che per il settimo anno consecutivo, gli Stati Uniti d’America sono stati gli unici a eseguire condanne a morte: le esecuzioni sono state 28. Oltre agli USA, solo Trinidad e Tobago ha emesso condanne a morte.

Per quanto riguarda il Medio Oriente l’uso della pena di morte, già motivo di enorme preoccupazione, è aumentato nel 2015. Nell’Africa subsahariana vi sono stati sviluppi sia positivi che negativi. Madagascar e Repubblica del Congo hanno abolito la pena di morte per tutti i reati e il numero delle condanne a morte è profondamente sceso, da 909 nel 2014 a 443 nel 2015, soprattutto grazie a una riduzione in Nigeria. 5 dei 54 stati dell’Unione Africana hanno eseguito condanne a morte.

Le più numerose sono state in Somalia (25) ma Amnesty ha stimato il dato come incompleto, come quelle in Egitto (almeno 22) e in Sud Sudan (almeno 5). In Ciad le esecuzioni sono state 10, dopo una pausa durata una dozzina d’anni, in Sudan 3. Le condanne a morte sono state pronunciate nel 2015 da tribunali di ben 26 paesi africani. Il record assoluto appartiene all’Egitto (almeno 538 condanne) seguito dalla Nigeria (171) e dall’Algeria (oltre 62).

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