Mons. Twal: la presenza cristiana vivifica la Terra Santa

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La situazione dei cristiani in Terra Santa è stata al centro dell’incontro con il patriarca latino di Gerusalemme, mons. Fouad Twal, tenutosi nella Pontifica Università della Santa Croce. Dopo aver fatto una ricca panoramica sulla presenza delle prime comunità cristiane nella Terra di Gesù, il patriarca ha riportato i dati della presenza:

“In Terra Santa la presenza dei cristiani è molto esigua, poco meno del 2% della popolazione complessiva: circa 450.000 fedeli su un totale di circa 18.000.000 di persone, tanti sono gli abitanti di Giordania, Palestina ed Israele, cui sono da aggiungere gli abitanti di Cipro.

La città di Gerusalemme, che nel 1948, alla fondazione dello Stato di Israele, contava una presenza di cristiani pari a circa ¼ della sua popolazione di allora, si trova ad avere oggi appena 11.900 cristiani su un numero complessivo di circa 500.000 ebrei e 300.000 musulmani, pari all’1,97%. Il tasso di disoccupazione medio in Israele è attorno al 6%. Come emerso da un recente rapporto della Bank of Israel, tuttavia, tra gli arabi israeliani, la disoccupazione è del 12%. In Palestina il tasso di disoccupazione sarebbe del 25%. La situazione peggiora ulteriormente quando si parla delle donne arabe. A Gaza il tasso di disoccupazione sarebbe del 40%”.

Poi ha affermato che la presenza dei cristiani è un ‘cuscinetto’, specialmente a causa del conflitto israelo-palestinese: “Basti pensare al muro di separazione, lungo più di 700 km e alto circa 8 metri, che di fatto isola la popolazione palestinese. Limita la libertà di movimento, di studio, di lavoro, di viaggio, di cure mediche. In mezzo a queste difficoltà, ansie e paure condivise da tutti, c’è da concludere che la situazione è precaria e c’è sempre il timore dello scoppio di nuovi conflitti. D’altra parte i recenti episodi di violenza occorsi in territorio sia palestinese sia israeliano sono segni della tensione latente, ma sempre presente (l’intifada dei coltelli)”.

Inoltre ha detto che i cristiani presenti in Terra Santa sono circa 100.000, compresi gli immigrati: “Le condizioni in cui vivono sono molto difficili. Ho visto e sentito i racconti strazianti di persone disperate e affamate: c’è disoccupazione, i bambini sono numerosi, spesso ci sono malati gravi che necessitano di cure. Molte abitazioni sono fatiscenti con pareti e tetto ancora di lamiera, e senza energia elettrica. Il freddo dell’inverno penetra dappertutto…

Occorre anche dire che il cristianesimo talvolta viene interpretato dagli altri arabi palestinesi come una posizione politica di disimpegno, come se i nostri cristiani impegnati sul fronte della giustizia, della pace, del dialogo, non prendessero posizione ‘contro il nemico’ occupante. La teologia della misericordia, la pastorale del perdono e della ‘purificazione della memoria’ non sono sempre capiti, vengono facilmente interpretate come prassi del disimpegno.

D’altronde i cristiani, facendo parte integrante della popolazione, subiscono le conseguenze della tragica situazione in cui versa tutta la Palestina. La disoccupazione ingente, la situazione politica e la situazione di insicurezza generale, fanno sì che anche i cattolici siano tentati di emigrare verso regioni del mondo più sicure, dal punto di vista occupazionale, professionale e religioso”.

Ha concluso l’incontro con una prospettiva di sopravvivenza dei cristiani nei luoghi di Gesù: “I cristiani di Terra Santa giocano un ruolo di ponte tra l’Oriente e l’Occidente. E per essere ponte, hanno bisogno di essere ancorati solidamente su entrambi i lati. In effetti, sono ancorati nell’Oriente, che è il loro ambiente storico, culturale, linguistico, letterario, psicologico e politico e sono ancorati anche nell’Occidente per la loro fede, il loro patrimonio spirituale e la loro apertura intellettuale… La fede resta il fondamento della speranza dei cristiani di Terra Santa.

Ciò significa che da parte nostra, come Chiesa Cattolica , è necessaria un’azione umile ed allo stesso tempo efficace: umile e dinamica. Un giorno, i capi politici, Israeliani e Palestinesi, insieme alla Comunità Internazionale, arriveranno a comprendere, al di là del gioco di interessi e delle ambizioni politiche, il senso, la natura e la vocazione di questa Terra benedetta, scelta da Dio per unire gli uomini a Sé e tra di loro”.

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