Vivere la verità nell’amore: l’accoglienza degli omosessuali nella Chiesa

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“Vivere la verità nell’amore”: è stato questo il tema che ha guidato la giornata di studio e testimonianza organizzata dal Pontificio Istituto ‘Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia’ dell’Università lateranense insieme a Courage Italia.

Il seminario è stato un camminare insieme con alcuni esperti di vari settori. La questione antropologica è stata affrontata dal professore Juan José Pérez-Sobache che ha spiegato come il cristianesimo aggiunga “la realtà delle creazione per amore che unisce la dignità della persona con la vocazione di Dio ad amare e può superare anche l’esperienza di peccato che tocca il suo cuore”.

Mons. Robert Gahl, docente alla Pontificia Università della Santa Croce, invece ha detto che “il concetto contemporaneo dell’ orientamento sessuale implica un errore antropologico profondo dentro la teoria del gender. La biologia con la sua realtà empirica può servirci anche a superare le convinzioni ideologiche…

La Chiesa può accogliere queste persone come accoglie tutti: cioè, non devono esserci categorie a parte, anche se possono esserci attività specifiche per le persone che sperimentano attrazione verso persone dello stesso sesso. E queste altre attività possono aiutarle anche a trovare senso di vita vocazionale. Quindi la Chiesa offre loro soprattutto i sacramenti, e quindi la Confessione e l’Eucaristia sono un grandissimo aiuto, come lo sperimentiamo tutti, per lottare, per cercare la santità”.

Interessante la relazione del prof. Inaki Guerrero, docente al polo universitario ‘Sophia’ di Loppiano, sulla dimensione psicologica della questione, per cui l’origine dell’attrazione verso lo stesso sesso ha spesso elementi in comune come padri assenti o esigenti, madri depressive, bullismo, abusi sessuali sofferti in infanzia o adolescenza.

Concludendo i lavori il dott. Alberto Corteggiani, responsabile di Courage Italia, ha presentato l’associazione per offrire cura pastorale per coloro che sperimentano una attrazione per lo stesso sesso e che aspirano a vivere una vita casta secondo l’insegnamento della Chiesa cattolica sulla sessualità umana.

A lui abbiamo chiesto di spiegarci quale pastorale offre la Chiesa per le persone con attrazione per lo stesso sesso: “Tutti conoscono la posizione della Chiesa cattolica rispetto al comportamento omosessuale, ciò che è meno noto, è che questo ‘no’ è solo conseguenza di un più ampio ‘si’ alla persona, nella sua interezza e dignità umana. L’insegnamento della Chiesa ha sempre tutelato il bene della persona a cominciare dalla libertà. Per questo non si stanca di richiamare il rapporto essenziale e costitutivo che la libertà ha con la verità della persona”.

In che senso?
“La persona non può mai essere ridotta solo alla sua tendenza sessuale ed essere definita da un prefisso, sia ‘etero’ che ‘omo’. Un atteggiamento che non presupponga una concezione dell’uomo come creatura di Dio, destinata ad un progetto di amore autentico, amabile e amata per quello che è e non per quello che fa o può fare, non consente di svolgere un discorso ragionevole”.

Non potrebbe sembrare un poco teorico?
“Non lo è perché la pastorale della Chiesa risponde proprio a questa domanda di senso, incontrando, ascoltando e accompagnando la persona attraverso un percorso alla scoperta del sua vera identità, con programmi da tempo diffusi all’estero e che solo recentemente sono arrivati anche in Italia”.

Quale aiuto specifico offrire per superare le ‘paure’?
“Occorre evitare facili stereotipi, come quello veicolato dalla cultura dominante che pone come condizione per la piena realizzazione della persona con un’attrazione omosessuale l’identificarsi pubblicamente come ‘gay’ e assecondare la propria pulsione genitale, pena una vita infelice da repressi. La realtà, fatta di persone concrete, ci racconta un’altra storia”.

Quale tipo di storia?
“C’è in queste persone un bisogno profondo di entrare in contatto con una parte ferita di sé. Fin quando questo non avviene la persona è preda di una fortissima tensione, si sente come divisa in due e sepolta da un senso di vergogna. La negazione è, come l’erotizzazione dell’altro, un vano tentativo di anestetizzare il dolore proveniente dalla ferita. La rivendicazione di una pseudo identità gay finisce solo per coprire la sofferenza con una razionalizzazione, distogliendo l’attenzione della persona da un sé che resta percepito come inaccettabile”.

Ci sarebbe un’altra alternativa?
“La vera alternativa allora è un’autoaccettazione come percorso di presa di coscienza critica della propria fragilità umana, in cui la scoperta del limite diviene il luogo dell’incontro con Dio, dell’amore di sé e dell’apertura agli altri fino a realizzare come ‘la castità sia un profondo amore per Cristo espresso nell’amore per i propri simili’, come ha scritto padre John Harvey”.

Brevemente cosa è Courage Italia?
“Si tratta di un organizzazione internazionale di sacerdoti impegnati nell’accompagnamento pastorale delle persone con attrazione per lo stesso sesso (uomini e donne, laici e chierici, cattolici e non) e, mediante il programma ‘EnCourage’, dei loro famigliari.

Nasce 35 anni fa a New York per iniziativa del card. Cooke e da allora rappresenta l’espressione della sollecitudine pastorale dei vescovi cattolici verso tutti coloro che sperimentano un’attrazione omosessuale. Le diocesi organizzano gruppi di autoaiuto, come luogo sicuro e riservato dove ‘curare le ferite’ ed apprendere ad ascoltare come Dio c’interpelli attraverso la vicenda di altre persone in cammino, veri e propri ‘guaritori feriti’, testimoni di gioia e di speranza”.

Cosa propone il progetto ‘Coming Home’?
“Si tratta di uno sportello di ascolto per l’anno santo della Misericordia gestito da Courage, in collaborazione con le diocesi che aderiscono all’iniziativa, per proporre a chi prova un’attrazione omosessuale ed è in cerca di risposte un’alternativa concreta al ‘coming out’ (la rivendicazione di un’identità gay), con l’invito ad affacciarsi in Chiesa, la sua vera casa (Coming Home), per scoprire il progetto speciale che Dio ha in serbo per lui o lei”.

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