La più bella parabola di Gesù

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Chi aderisce a Cristo, afferma Paolo, è creatura nuova. La conversione, infatti, è il passaggio dalla morte alla vita. Questo avviene non per nostro merito o personali capacità, ma perché Dio ci ha riconciliati con lui in Cristo Gesù e ci ha innestati nella sua vita col perdono delle colpe. Nella passione e morte di Gesù, infatti, il peccato è stato sconfitto e distrutto e, come afferma san Paolo, siamo diventati per mezzo di lui giustizia di Dio. La quale è quel sublime dono di grazia che proviene da lui e che passa in noi attraverso il suo Figlio Gesù. All’origine, dunque, c’è Dio che è misericordia. È lui, infatti, che ricrea l’uomo nella morte e risurrezione del Figlio.

Tutti dovremmo essere sorpresi da questa “grazia” che ci rende figli di quel Dio che ci avvolge con la sua tenerezza di Padre. Al calore della divina tenerezza di Colui è definito “Dives in misericordia”, possiamo capire la malizia diabolica del peccato. Da qui esplode l’accorata supplica di san Paolo: Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio (2Cor 5,20). Bisogna rispondere subito senza rimandare. Questa misericordia è predicata e consegnata a noi attraverso il ministero della Chiesa di Cristo. Nel grembo misericordioso della Chiesa, troviamo il sacramento della riconciliazione consegnato da Cristo risorto nella sera di Pasqua. Quando manca il senso del peccato unito alla richiesta del perdono, non c’è misericordia. Quando manca il senso della fraternità umana e cristiana, non c’è misericordia.

Gesù racconta la sublime parabola del figlio prodigo in risposta alla mormorazione dei farisei che si stupiscono osservando la “comunione” che c’è tra lui e i pubblicani e i peccatori: Costui accoglie i peccatori e mangia con loro (Lc 15, 2), affermano, accusandolo di infrangere una legge della purità esteriore. È il solito scandalo delle cosiddette “persone pulite”.

Conosciamo l’itinerario drammatico e gioioso del figlio minore: l’allontanamento dal padre e dalla casa e il fascino stupendo del ritorno. Con illusa speranza e incauta determinazione, il figlio più giovane si allontana da casa. All’illusione, tuttavia, segue inesorabile la delusione, subentrano la fame, l’umiliazione e la vergogna. Poi, dopo la triste esperienza del male con il distacco dal padre, la dissipazione dei beni, il bisogno e l’abbandono, segue il ravvedimento con il ritorno umile e confuso, l’accoglienza commovente del padre, sempre in attesa del ritorno del figlio, l’abbraccio della tenerezza paterna, il convito e la festa.

Con il perdono, il figlio che ritorna viene rivestito di grazia, riceve il segno della fedeltà rinnovata, è ammesso al convito familiare tra lo stupore imbronciato del fratello che si ritiene giusto e defraudato nel proprio diritto a essere riconosciuto per i suoi meriti. Sono sempre i soliti atteggiamenti dei fratelli senza cuore.

È evidente come il protagonista della parabola sia Dio Padre di misericordia. Il padre ama il figlio e continua ad attenderlo. Non muta i suoi sentimenti di amore, non pretende di essere placato e ricompensato. Il suo, anche se è un amore che soffre, tuttavia non diminuisce. Non si ritiene offeso perché il figlio sciupa il patrimonio, ma perché si allontana da casa e dal suo cuore. Per perdonarlo, gli basta solo che si ravveda e torni a casa. Il peccato, infatti, nasce dalla sfiducia che porta alla convinzione che la legge di Dio opprime l’uomo e che altrove ci si trovi meglio. In realtà, il peccato è, fondamentalmente, delusione. Infatti, in ebraico, la parola “peccato” contiene l’idea di fallimento. La delusione è il castigo che il peccato porta con sé, ma è anche il luogo della salvezza. È proprio lì che il figlio, scappato da casa, prende coscienza dell’insostituibilità dell’amore paterno. Il peccato, dunque, non è solo offesa a Dio, ma è anche, per l’uomo, morte.

Il figlio maggiore rappresenta il fariseo apparentemente fedele perché è rimasto a casa. Anche se, in verità, vi è rimasto con l’animo del mercenario. Si ritiene giusto, è invidioso del perdono e della gioia del padre per il ritorno del fratello. Rappresenta il tipico personaggio che non ha capito niente dell’amore paterno e fraterno, anche se è rivestito dagli abiti familiari. Che dramma vedere tanti credenti praticanti senza cuore!

La vera colpa dei farisei non è quella di criticare Gesù che va con i peccatori, ma di costruirsi un Dio a propria misura e modello, giustificando il proprio comportamento discriminante. Gesù dimostra loro, decisamente, che non hanno capito nulla né di chi è Dio né di cosa siano il peccato e la conversione. Non si scaglia, perciò, contro la loro cattiveria ma contro la loro teologia sbagliata.

Il peccatore che si ravvede e chiede perdono canterà sempre col cuore di figlio:

Pietà di me, o Dio, nel tuo amore;

nella tua grande misericordia

cancella la mia iniquità.

Lavami tutto dalla mia colpa,

dal mio peccato rendimi puro.

Sal 51 (50)

Dio Padre, penetrando nell’intimo profondo dell’uomo, lo trasforma, lo redime, lo divinizza. Nella Chiesa di Cristo, se non rivelano il cuore del padre e si comportano come il fratello maggiore, i ministri del perdono saranno i traditori della misericordia divina.

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