Carlo Gnocchi apostolo dell’infanzia mutilata

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Carlo Gnocchi nacque a San Colombano al Lambro il 25 ottobre 1902 da Enrico e Clementina Pasta. Rimasto orfano del padre all’età di cinque anni, si trasferì a Milano con la madre e i suoi due fratelli, che di lì a poco moriranno di tubercolosi. Seminarista alla scuola del beato cardinale Ferrari, nel 1925 fu ordinato sacerdote dall’arcivescovo di Milano, Eugenio Tosi.

Celebrò la sua prima Messa a Montesiro, paesino della Brianza, dove viveva la sua zia e dove, fin da piccolo, aveva trascorso lunghi periodi di convalescenza, lui che di salute era molto cagionevole. Il suo primo impegno fu quello di responsabile dell’Oratorio, prima brevemente a Cernusco sul Naviglio e poi, più a lungo, nella popolosa parrocchia di San Pietro a sud di Milano.

Nel 1936 il beato cardinal Schuster lo nominò, a motivo della bella testimonianza che diede trai giovani, assistente spirituale in uno degli istituti scolastici più prestigiosi di Milano: il ‘Gonzaga’, retto dai Fratelli delle Scuole Cristiane. Allo scoppiare della Seconda Guerra Mondiale, don Carlo si arruolò come cappellano volontario e partì, prima per il fronte greco-albanese e poi, con gli alpini, per la campagna di Russia.

Nel gennaio 1943, durante la tragedia della ritirata del contingente italiano, cadde, sfinito per le forze, stremato ai margini della pista dove passava la fiumana dei soldati: raccolto da una slitta, si salvò, come lui stesso ebbe modo di dichiarare, miracolosamente. Durante i giorni della ritirata di Russia, una volta rimessosi in sesto, don Carlo, assistendo gli alpini feriti e, in molti casi, raccogliendone le ultime volontà, maturò il sogno di realizzare una grande opera di carità, che trovò compimento a guerra finita nel suo infaticabile impegno per l’infanzia sofferente.

Infatti, rientrato in Italia, egli iniziò il suo pietoso pellegrinaggio attraverso le vallate alpine, alla ricerca dei familiari dei caduti, per dare loro conforto materiale e spirituale: accolse così i primi orfani di guerra e i bambini mutilati, avviando così l’opera che lo portò a guadagnare sul campo il riconoscimento di “apostolo dell’infanzia mutilata”.

In guerra, nel 1942, aveva scritto al suo cugino Mario Biassoni: “Caro e buon Mario, a te lo posso dire come ad un grande amico: sogno, dopo la guerra, di potermi dedicare per sempre ad un’opera di carità, quale che sia, o meglio quale Dio me lo vorrà indicare. Desidero e prego dal Signore una sola cosa: servire per tutta la vita i suoi poveri. Ecco la mia ‘carriera’. Purtroppo non so se di questa grande grazia sono degno; perché si tratta di un privilegio”.

Nel 1949 l’opera di don Gnocchi ottenne il primo importante riconoscimento: nacque la Federazione Pro Infanzia Mutilata. Uno dopo l’altro aprirono collegi: Parma, Pessano, Torino, Invernigo, Roma, Salerno. L’11 febbraio 1952 nacque ufficialmente la Fondazione ‘Pro Juventute’. Nel pensiero di don Carlo e nella organizzazione dei collegi della Fonazione centrale era – ed è – ‘la restaurazione della persona umana’: il progetto di rieducazione integrale dell’individuo in un percorso che pone al centro del processo terapeutico l’uomo.

A tal proposito scriveva: “L’uomo è un pellegrino, malato di infinito, incamminato verso l’eternità. La personalità è sempre in marcia perché essa è un valore trascendente: la sua forma perfetta non si raggiunge che nell’altra vita, piena e indefettibile. Purché l’uomo non si lascia stancare dalla lotta, purché si opponga alla sclerosi progressiva o causata dagli anni e dalla delusioni della vita, purché dia ogni giorno un tratto alla costruzione del suo capolavoro. In vista dell’eternità”.

Nel 1953 don Carlo lanciò la sua ultima grande sfida: creare un Centro pilota che costituisse la sintesi della sua metodologia riabilitativa. L’11 settembre dello stesso anno, a Milano, alla presenza del Capo dello Stato Giovanni Gronchi, fu posta la prima pietra della struttura che fu inaugurata nel 1960.

Minato da un male incurabile, don Carlo morì prematuramente a Milano il 28 febbraio 1956. L’ultimo suo gesto profetico fu la donazione delle cornee a due ragazzi non vendenti, quando il trapianto d’organi in Italia non era ancora regolato da una apposita legge.

Il 25 ottobre 2009 è stato proclamato beato dall’arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi. Un’eco del grande amore per i poveri che animò don Gnocchi lo si può trovare in una lettera scritta al cugino dove afferma: “E’ questo che ti rende e renderà per sempre più vicino a Dio, perché Dio è tutto qui: nel fare del bene a quelli che soffrono e hanno bisogno d’aiuto materiale o morale. Il cristianesimo, e il Vangelo, a quelli che lo capiscono veramente non comanda altro. Tutto il resto viene dopo e viene da sé”.

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