Il Sermig e la Chiesa della misericordia

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Ernesto Olivero nella lettera di ringraziamento per il dono del sacerdozio dei tre consacrati del Sermig aveva scritto: “Non abbiamo mai sentito questa storia come nostra proprietà, l’abbiamo sempre vissuta come dono di Dio e proprietà degli altri, di quelli che avevano bisogno di tutto, degli ultimi, dei piccoli che ci hanno chiesto aiuto.

Sono loro che ci hanno portato dove la storia ci aspettava. Li chiamiamo appuntamenti con Dio… Alcuni di noi sono diventati sacerdoti per sempre: nelle loro mani, che abbiamo tante volte stretto con amicizia, il pane e il vino della quotidianità si fanno Dio, eucarestia, grazie da mangiare”.

Partendo da questa frase continuiamo il dialogo in questo anno giubilare della Misericordia con Simone Bernardi, Andrea Bisacchi e Lorenzo Nacheli, appartenenti alla Fraternità della Speranza del Sermig (Servizio Missionario Giovani), che il 3 ottobre scorso a Torino sono stati ordinati presbiteri dall’arcivescovo, mons. Cesare Nosiglia.

Perché un giovane sceglie la vita consacrata?
“Tutti hanno una vita da consacrare a Dio, ogni tipo di vela è un dono di Dio ai suoi amati. Non esiste una vocazione che sia migliore dell’altra. Tutti possiamo provare a vivere l’ ‘assurdità’ delle beatitudini, senza contestarle, ma fidandoci, cercando di viverle sulla nostra pelle, nella nostra vita, credendo che si può diventare buoni, che ci si può disarmare, che ci si può fare in quattro per gli altri…

Dire questo sì nella vita consacrata significa credere alla speranza, tuffarsi nell’arte del vivere continuamente alla presenza di Dio, donandosi senza sosta, dando il proprio tutto. Consacrarsi non è un sentirsi migliori o diversi dagli altri, pensare che la propria vela sia un abito più bello o più importante, ma essere disponibili a gonfiarsi non di se stessi, ma del vento dello Spirito, per essere incoraggiamento continuo, per far venir voglia a chiunque di salpare, di partire, di spiegare la propria vela. La consacrazione allora si scioglie nella vita del mondo e diventa fermento per un cammino che è proposto a tutti”.

Cosa significa vivere una Chiesa misericordiosa?
“Significa avere misericordia delle nostre fragilità e vivere la misericordia prima di tutto tra di noi, senza dimenticarci che la nostra comunità, la nostra Chiesa non può fare a meno del ‘Vedete come si vogliono bene’, del ‘Venite e vedete’: non possiamo essere misericordiosi con chi non conosciamo e poi alzare degli steccati, dei veri e propri muri dentro le nostre comunità.

L’invidia, l’orgoglio, la durezza di cuore non possono mai impedirci di spiegare le nostre vele e di aprirle al servizio dell’altro e di Dio. Le persone se ne accorgono, se ne sono già accorte, ma la Chiesa è Gesù ed è fatta da persone che si possono continuamente convertire alla Sua presenza. In una Chiesa misericordiosa non si può aver paura di riconoscere che l’altro è migliore di me e che io posso contribuire alla piena realizzazione del suo sì.

Quando vediamo la vela del nostro fratello gonfiarsi del soffio dello Spirito, se proviamo invidia significa che abbiamo già ammainato e chiuso la nostra vela e stiamo rallentando il viaggio di tutta l’imbarcazione. Al contrario, la bontà, il volerci bene, lo stimarci a vicenda, aiutano tutti ad essere più gonfi di Dio e le nostre vele ad essere più forti.

Oggi che siamo anche sacerdoti, vivere una Chiesa misericordiosa significa portare sull’altare la bellezza che ascoltiamo nella Parola di Dio, il Tutto che è nel pane e nel vino che consacriamo, la grazia del poter riconciliare i figli con il Padre che li ama, ma anche vivere la quotidianità di tutto quello che si respira nella vita di fraternità, degli Arsenali, delle case e degli ambienti in cui viviamo ed operiamo…

Allora, poter aiutare l’altro a riconciliarsi con Dio è la continuazione di quello che nella nostra comunità, nella Chiesa, è l’accogliere le persone con la misericordia con cui le accoglie Gesù. E’ Lui che ci chiede di accogliere chi ha bisogno di Lui, dargli un’altra possibilità. Celebrare l’eucarestia è la continuazione del lavoro e della restituzione di tanti amici e compagni di viaggio che ogni giorno permettono a migliaia di persone, nei nostri Arsenali, di alimentarsi e di recuperarsi da qualsiasi situazione di degrado.

Battezzare un bambino o un adulto è la continuazione di una famiglia che accoglie e che prova a scegliere la bontà che disarma l’odio, l’egoismo, dimostrando che esiste un cammino diverso, che porta all’altro e a Dio, al senso della vita”.

E non resta che concludere con la lettera di Ernesto Olivero per comprendere la gioia dei tre giovani sacerdoti: “Noi siamo i ‘piccoli’ che in qualunque stato si trovano continuano a pulire i bagni sporcati dagli altri. Siamo ‘piccoli’ con un solo compito: far risplendere anche in quei bagni il nostro sì, che è il nostro carisma. Un’amica mi ha ricordato che la parola carisma deriva dal greco ‘charis’, una parola che vuole semplicemente dire ‘grazie’.

Grazie a Dio, grazie di Dio, amici della Fraternità, sempre e solo grazie. Amici, manteniamo queste caratteristiche per non tradire il dono di Dio e la fiducia di tanta gente buona che ci ha aiutato e ci aiuta”.

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