Padova e la Porta della Misericordia nel carcere

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Anche a Padova il vescovo, mons. Claudio Cipolla, ha aperto la Porta della Misericordia della Cappella del Carcere Due Palazzi di Padova alla presenza di circa 150 detenuti (tra cui anche un gruppo di detenuti del reparto dell’alta sicurezza),

grazie anche alla collaborazione della parrocchia del Carcere coordinata dal cappellano don Marco Pozza, il gruppo di catechisti e catechiste, i rappresentanti delle associazioni che operano all’interno della casa di reclusione (Piccoli Passi, Ristretti Orizzonti) e delle cooperative ‘Officina Giotto’ e ‘Altra città’, insieme al direttore del carcere Ottavio Casarano, al presidente del tribunale di sorveglianza di Venezia Gianmaria Pavarin, al magistrato di sorveglianza di Padova Linda Arata ed al commissario della polizia penitenziaria Salvatore Parisi.

Nel dare il benvenuto a mons. Cipolla il cappellano del carcere ha affermato: “La vita è una sinfonia di suoni: suoni gravi e solenni, pungenti e ribelli, acuti e imponenti. Suoni che somigliano a dei tocchi, a dei rintocchi, anche ad arpeggi e palpeggi. Suoni che destano curiosità come il tintinnio di un lamento, che impauriscono come le sirene della Polizia, che consolano come un passo amico dentro la paura.

Ci sono suoni che rimangono suoni, altri diventano visioni, altri ancora odorano di vita. Pochi suoni, però, superano, per attrattiva, il bussare alla porta. Bussare è un pò come suonare,anche un annunciare ed annunciarsi, è un accendersi della memoria e dell’intuizione: ‘E’ lui. Anzi no: forse è lei. Chi è che bussa?’ Tante domande dietro un bussare… Oggi inizia il Giubileo della Misericordia in questa terra di nessuno che Dio ha fortemente voluto fare propria…

Che sia un Giubileo di misericordia per tutti, sopratutto per chi, come tanti di noi, nella vita ha fallito: saperci amati nel momento in cui non lo meriteremmo di meno è il vestito in borghese che Dio indossa qui dentro quando non vuol farsi riconoscere. Non è questione di vergogna, è questione di delicatezza: la misericordia è una manovra serissima. E’ roba da Dio”. Nell’omelia mons. Cipolla ha ricordato che ha fatto visita nel carcere per pregare insieme ai detenuti ed a chi ci lavora:

“Ma soprattutto sono qui umilmente per te, Signore, che non hai mai disdegnato di confonderti con i pubblicani e le prostitute, con i peccatori e i condannati. Sono qui per riconoscere e dire che Tu sei qui, non hai paura di sporcarti né mani né reputazione e custodisci per ciascuno una parola di salvezza. So che questo è stato un anno difficile per questi nostri fratelli: un anno che ha spento in tanti di loro speranze, sogni, spiragli di luce.

Per me è difficile, in questo contesto annunciare in modo credibile il tuo Vangelo di amore, di giustizia, di misericordia. Per questo Signore non voglio spiegare il tuo messaggio, ma insieme con tutti loro pregarti, semplicemente pregarti. Abbiamo bisogno di segni di consolazione, di parole di incoraggiamento, di gesti che ci diano speranza. Facceli vedere, Signore.

Dà intelligenza, volontà e forza a quanti ci governano, a quanti possono modificare regolamenti e leggi perché ad ogni uomo sia sempre riconosciuta dignità di uomo, perché vengano tolte le pene di morte, anche nascoste, come quelle di una pena che termina nell’anno 9999”.

Il vescovo di Padova ha anche pregato “anche per quanti non sanno che cosa sia il carcere e vivono schiavi delle banalità e delle luci, ingabbiati in stili di vita utili solo al consumismo e ai suoi meccanismi disumanizzanti. Ti preghiamo per quanti, senza saperlo e per debolezza, ci procurano ulteriore male scagliandosi contro chi ha sbagliato, contro chi sa di aver sbagliato e accetta di vivere un percorso di liberazione dal suo delitto.

Abbiamo di fronte agli occhi anche le persone alle quali, con le nostre azioni, abbiamo recato sofferenza e dolore. La nostra consolazione viene anche pensando che questo dolore possa essere in qualche modo risanato: forse tu, solo tu, puoi rimediare e portare consolazione dove noi abbiamo portato sofferenza”.

Infine ricordando che solo la misericordia potrà rendere più docile il cuore ha chiesto a Dio tre ‘miracoli’: “converti il mio cuore ad accogliere la tua tenerezza; fa che io, e don Marco che resterà in questa comunità, sappiamo parlare di qualcosa che abbiamo visto e toccato. E, quasi per contagio, molti altri sappiano raccontare il lieto annuncio del tuo amore misericordioso con la loro vita.

Cerca chi parli di te tra i volontari, tra gli agenti di polizia, tra i carcerati e costituiscili ‘tuoi angeli’ in mezzo a tanto dolore, rabbia e male. Il secondo miracolo è che tutti questi uomini percepiscano che tu vuoi loro bene, che li stai attendendo come il padre attende il figlio allontanato da casa. E li attendi per abbracciarli e accompagnarli anche nelle loro pene, per confermarli, se vogliono, nella dignità di essere tuoi figli, proprio qui.

Restituisci, o Signore, fin da ora coraggio e libertà di amare, di sperare, di sognare anche in una cella. Anche qui c’è spazio per la santità. E forse il tuo abbraccio è già avvenuto! Il terzo miracolo: aiuta tutti noi, preti, carcerati e liberi cittadini ad accorgerci dell’importanza fecondante e generante della tua infinita e illimitata misericordia. Aiutaci a restare fratelli e a correggerci cercando il bene e facendo il bene”.

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