Giorno della Memoria: non dimenticare ciò che è stato

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Nella visita alla comunità ebraica di Roma papa Francesco ha ricordato: “Il popolo ebraico, nella sua storia, ha dovuto sperimentare la violenza e la persecuzione, fino allo sterminio degli ebrei europei durante la Shoah. Sei milioni di persone, solo perché appartenenti al popolo ebraico, sono state vittime della più disumana barbarie, perpetrata in nome di un’ideologia che voleva sostituire l’uomo a Dio.

Il 16 ottobre 1943, oltre mille uomini, donne e bambini della comunità ebraica di Roma furono deportati ad Auschwitz. Oggi desidero ricordarli con il cuore, in modo particolare: le loro sofferenze, le loro angosce, le loro lacrime non devono mai essere dimenticate. E il passato ci deve servire da lezione per il presente e per il futuro.

La Shoah ci insegna che occorre sempre massima vigilanza, per poter intervenire tempestivamente in difesa della dignità umana e della pace. Vorrei esprimere la mia vicinanza ad ogni testimone della Shoah ancora vivente; e rivolgo il mio saluto particolare a voi, che siete qui presenti”.

Questo passo può essere preso da preludio per commemorare il ‘giorno della memoria’, che si celebra il 27 gennaio di ogni anno come giornata in commemorazione delle vittime dell’Olocausto, istituita dalla risoluzione 60/7 dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 1^ novembre 2005, durante la 42ª riunione plenaria. In questo giorno si celebra la liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, avvenuta il 27 gennaio 1945 ad opera delle truppe dell’Armata Rossa.

In Italia gli articoli 1 e 2 della legge n. 211/2000 hanno così definito le finalità di questo giorno: “La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, ‘Giorno della Memoria’, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.

Sono trascorsi 71 anno da quel tragico evento e la memoria sembra ‘sbiadire’ senza un narratore che rammenta ai posteri quello che è successo e quello che potrebbe succedere senza il ricordo, come ha scritto Primo Levi in ‘Se questo è un uomo’: “Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: considerate se questo è un uomo che lavora nel fango, che non conosce pace, che lotta per un pezzo di pane, che muore per un sì o per un no.

Considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome, senza più forza di ricordare, vuoti gli occhi e freddo il grembo come una rana d’inverno. Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Scolpitele nel vostro cuore stando in casa andando per via, coricandovi alzandovi; ripetetele ai vostri figli”.

Mimmo Franzelli nel libro ‘I delatori’ riporta una testimonianza di don Paolo Liggeri, rinchiuso a San Vittore nel maggio 1944 per avere dato aiuto a ebrei e a renitenti alla leva: “Vorrei conoscere anche una sola di queste guide per sputarle sul viso almeno; vorrei sapere se questi luridi figli di Giuda hanno dei bambini. perché neanche i bambini risparmiano col loro schifoso mercato.

Ed è uno spettacolo che farebbe fremere il più santo dei santi: pazienza portare in carcere le donne, pazienza ancora i vecchi, ma i bambini, poveri innocenti, alcuni ancora lattanti attaccati al collo della mamma, altri barcollanti sulle loro gambette malferme che si guardano attorno spauriti, e ad ogni passo, come per un misterioso presentimento, i loro occhi si riempiono sempre più di terrore”.

Lilia Millu nel libro ‘Chi è come te fra i muti? Lezioni promosse da Carlo Maria Martini’ ha raccontato la vita nel campo di concentramento di Auschwitz: “E’ stato detto che nessuno uscì dai lager come vi era entrato, ed è vero; io entrai atea e ne sono uscita agnostica. Un’agnostica seria, e questa volta non per incoscienza.

La domanda ultima: che cosa sarà di me quando il mio corpo giacerà sotto la terra?, l’ho ben presente. E come non potrei? La mia vita ormai è così vicina al suo termine! Ma, se il mistero c’è, io lo conoscerò. Questo dà al mio ultimo tratto di strada una serenità appena velata di malinconia. Cosa rimane delle tante cose che formano il tessuto di una lunga esistenza? Forse che tale tessuto ha seguito una trama che ci rimane misteriosamente celata? Non so e non cerco di saperlo”.

La testimonianza di Elisa Springer, che ho avuto l’onore di sentirla a Tolentino nei primi anni dello scorso decennio, ha raccontato, con sensibilità femminile, ciò chè è stato e non si può dimenticare: “Eravamo ebrei, esseri immondi da eliminare: questa la ferrea logica del Reich. I nostri indumenti furono accatastati su carrelli nel corridoio, mentre noi, costrette a passare in una grande sala attigua, fummo sottoposte a una doccia di gruppo: eravamo circa in trecento, pressate come le sardine.

Durante la doccia, sentivo i corpi delle mie compagne soffocare il mio e il contatto con quella pelle umida ed estranea, spingeva alla difesa il mio organismo ancora non abituato a quella vita disumana. Più tentavo di evitare quel contatto e più mi sembrava di rimanerne intrappolata. Mi sentivo impazzire… Auschwitz ha rappresentato, per noi, il buio, le nostre stelle son servite a illuminarlo. A 77 anni sono tornata ad Auschwitz-Birkenau. E’ stata la rivincita della mia vita sulle miserie della morte”.

E, nonostante l’assurda violenza, padre Massimiliano Kolbe dal campo di concentramento scriveva parole di amore: “L’odio divide, separa e distrugge, mentre al contrario l’amore unisce, dà pace ed edifica. Nulla di strano, quindi, che solo l’amore riesca a rendere sempre gli uomini perfetti. Perciò, solamente quella religione che insegna l’amore di Dio e del prossimo può perfezionare gli uomini”.

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